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Fumetto: nativi e immigrati

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I frequentatori abituali di Lucca Comics & Games hanno imparato, nel tempo, a mettere in atto alcune cautele che, alla lunga, diventano strategie di sopravvivenza. Questi individui, mossi al sacrificio dalle ragioni più disparate, sanno con precisione dove parcheggiare, quali sono i bagni più puliti, quali zone della città bisogna evitare il sabato pomeriggio, dove si riesce a trovare un tavolo per bere una birra con gli amici… Condividono un sistema di regole non scritte che, tra le altre cose, impone loro di evitare la serata della premiazione. Da quell’evento, si aspettano oratori prolissi, momenti di fragore incomprensibile e pressoché totale assenza di senso: l’occasione ideale per distribuire premi confusi e, purtroppo, poco prestigiosi.

Quest’anno, sul palco della premiazione, sono successe due cose degne di rilievo. Te le posso raccontare perché, nonostante io sia un frequentatore abituale di Lucca Comics, non sono resiliente e non ho ancora imparato le strategie di sopravvivenza: ero seduto in sala.

La prima è stata la premiazione di Hugo Pratt: Le lezioni perdute, raccolta di insegnamenti sul fumetto curata da Laura Scarpa. L’autrice, ritirando la targa, ha ricordato la scomparsa di Luigi Bernardi e ha espresso il proprio disagio per il fatto che il festival, a oltre due settimane dalla morte di uno dei più importanti operatori del fumetto italiano, non sia stato in grado di dedicargli un evento commemorativo. Laura, scandendo parole commosse, ha chiesto all’organizzazione di rimediare, allestendo rapidamente un incontro per parlare dell’importanza di Luigi, e io, seduto su uno dei seggiolini in sala, mi sono ritrovato col fiato corto e gli occhi umidi. L’organizzazione non ha risposto. Neanche con un gentile diniego. Un silenzio assordante. Purtroppo.

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La seconda cosa degna di rilievo avvenuta su quel palco non è successa sul serio: me la sono immaginata. È stato premiato “Topolino” ma, dalle parole dette, avevo capito fosse un premio specificamente indirizzato al numero 3000 del settimanale. Non è così: è stato premiato il giornale “Topolino”. Peccato.

“Topolino” 3000 è stato una bella sorpresa: evento annunciato con largo anticipo e promosso con cura, bella copertina, ottima selezione di autori e indice composto con grande attenzione. Purtroppo, quel numero bellissimo non ha resistito al duro esame di realtà con cui il periodico ha dovuto confrontarsi allo scadere della settimana. Il numero 3001 era noiosetto, sottotono e montato affastellando riempitivi. Un albo scaccialettori: il modo più sicuro per allontanare rapidamente e con decisione chiunque, incuriosito dalla bellezza (o dall’introvabilità) di un giornale presto esaurito avesse deciso di dare un’altra chance a “Topolino”.

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Donatella mi dice che lei legge fumetti perché dagli otto ai quattordici anni è stata abbonata al settimanale Disney. Proprio così. È una donna lucida, la mia amica, e sa che quell’abbonamento non è un punto di partenza, ma una causa scatenante. I suoi amici che non leggono fumetti, mi dice, non hanno letto le storie dei paperi e dei topi. Adesso, senza quell’innesco, sono incapaci di leggere fumetti, anche se glieli chiami graphic novel. Quando lei glieli presta o regala, loro la guardano inquieti, di sottecchi, e cambiano discorso.

È strano. Anche Luigi Bernardi, uno specialista dello sguardo di sottecchi, diceva che leggere fumetti richiedeva un sistema complesso di competenze che bisognava acquisire da bambini. Diceva che l’assenza di fumetti specificamente indirizzati all’infanzia avrebbe portato progressivamente alla scomparsa di quegli strani oggetti fatti di parole e immagini. Da sempre ossessionato dalla capacità di adattamento, mi è capitato di rispondere a Luigi che non era vero e che eravamo solo di fronte a una trasformazione e non avevamo ancora le parole per dirlo. La mia saggezza mi aveva fatto guadagnare uno dei proverbiali lunghi silenzi di Luigi, accompagnato dal solito sguardo.

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Donatella, oggi, è una donna interessante e interessata: lavora, educa, legge, danza, gioca e, soprattutto, sa sedere al tavolo dell’osteria, dove beve birra e chiacchiera con gli amici. Legge anche fumetti, qualche volta, e quando te li racconta, ti spiega cose difficili con parole semplici. Mi parla dell’Intervista di Manuele Fior e mi spiega che io non l’ho capito fino in fondo. Infastidito, cerco di spostare la sua attenzione sulla struttura, sul segno e sulla pagina. Non funziona. Cincischio attorno al racconto, gonfiandomi di Propp. Anche lì, niente. Quando sto ormai convincendomi dell’impossibilità di comunicare con la mia interlocutrice, lei mi tira uno scossone, sbilanciandomi completamente e facendomi crollare dal piedistallo da meschino monomaniaco del fumetto. Mi dice:

“Sai? Quando ho finito di leggere L’intervista, mi sono sentita come quando la persona che ami esce di casa e tu resti a letto. Sei un po’ triste, ma sei anche felice. Tutto insieme.”

Una lettura emotiva, che si tinge di sinestesie e mi ricorda, ancora una volta, Luigi Bernardi. Il suo modo di fare critica era lontanissimo da tutto ciò che noi, i più attenti in classe, avevamo capito dovesse fare un intellettuale. Quando lo incontravi, con il suo sguardo e i suoi silenzi, poteva sembrarti un tipo un po’ anaffettivo, ma era sensibilissimo alle emozioni e stringeva le sue letture in un nodo di ansia, stizza, malinconia, gioia, angoscia, rabbia, struggimento, eccitazione, terrore, furore, disperazione, estasi…

La lettura di Donatella mi ha fatto ripensare a una raccolta di racconti intitolata semplicemente Complicità. Su quelle pagine Luigi, parlando di relazioni umane, mi ha spiegato il patto segreto della lettura:

“Sì, complicità. Né amore, né interesse, due sentimenti che si corrompono in fretta, ma piacere e sintonia, un equilibrio molto delicato. (…) Un’amicizia con un patto speciale. (…) La segretezza. La complicità ha bisogno di segretezza, si nutre del suo essere nascosta agli occhi di tutti.”

Grazie, Donatella.

Ciao, Luigi.

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