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FocusProfiliJack Cole: tra leggenda e suicidio (Parte II)

Jack Cole: tra leggenda e suicidio (Parte II)

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jack cole playboy

Tra le donnine e la famiglia “perfetta”

La collaborazione con il magazine di Hefner porta Cole ad esplorare nuove tecniche. Per le pagine di Playboy, approfondisce lo studio dell’acquarello, lasciandosi alla spalle lo stile lineare, ma al contempo dinamico e complesso che per quindici lunghi anni aveva caratterizzato le sue creazioni, e si dedica abilmente alle illustrazioni a colori. I colori servono ad enfatizzare la procacità delle sue pin-up, dettando uno standard per la rivista. Lo stesso Hefner si dilettava nell’illustrazione, ma la rapidità con cui Cole conduce la sua tecnica e il suo stile dai primi esperimenti su Humorama, dove il disegno era ancora la solida base su cui poi andava ad inserire tocchi di acquerello per sottolineare la carnalità delle sue donne, lo convincono ad avviare un prolifico rapporto lavorativo con Cole. Infatti, oltre alle pin-up, Hefner affida a Cole una serie di ritratti satirici intitolati “Females by Cole”, questi invece disegnati a china e con un tratto molto veloce e minimale.

La collaborazione con Hugh Hefner convince Jack Cole a trasferirsi da Milford, nel Connecticut, a Cary, nell’Illinois. Qui i coniugi Cole comprano una casa e dopo anni di continui spostamenti sembrano trovare una pace momentanea. Nonostante, il lavoro su Playboy fosse appagante sia da un punto di vista economico che artistico, il chiodo fisso dell’autore continuavano ad essere le strisce sindacate. In realtà, come tutti sapevano, i guadagni più lauti per un fumettista risiedevano proprio nelle strisce. Nei primi mesi del 1958, Cole riesce finalmente a vendere una sua striscia al Chicago Sun-Times Syndicate, incominciando la pubblicazione il 26 Maggio dello stesso anno.

Betsy and Me – questo il titolo della striscia – è un passaggio importante nella carriera di Cole, nonché la sua ennesima e finale trasformazione.
Infatti, sin dai suoi oscuri esordi come vignettista satirico, innamorato di uno stile anti-realistico fatto di deformazioni anatomiche, prospettive grandangolari ardite e ossessioni decorative, nonché da una sana dose di genio, il tratto caratteristico di Cole è il trasformismo. E Betsy and Me è l’ennesima prova del suo talento mimetico e della sua capacità di adattamento.

Betsy jack cole

Il segno plastico e dinamico di Cole diviene minimale e astratto, pescando a piene mani dallo stile portato al successo dai cartoni dello studio UPA, fatto di linee piatte, allungate, spigolose. Si cominciano a intravedere similitudini coi tratti sintetici e asciutti di Saul Steinberg e spuntano riferimenti all’avanguardia che in un certo senso erano forse insiti in Cole, ma che con Betsy and Me trovano per la prima volta un’espressione concreta.

La striscia parla di Chet Tibbit, marito della Betsy del titolo e di un bambino geniale e iper-dotato di nome Farley. Si tratta di una classica e conformista striscia con protagonista una famiglia, ma l’approccio di Cole riesce a renderla qualcosa di unico. Infatti, l’autore decide di utilizzare come narratore Chet – una sorta di suo alter ego – e di creare una scollamento tra il disegno e la parola. Mentre Chet racconta la sua versione dei fatti, le immagini mostrano azioni che si pongono agli antipodi di quanto narrato, mostrando la frustrazione del protagonista/narratore.

Per farsi un’idea, basta dare un’occhiata alle prime strisce prodotte da Cole. Chet Tabbit racconta il corteggiamento e i primi appuntamenti con Betsy con un tono idilliaco e pieno di affettata romanticheria, ma la realtà dei fatti mostra qualcosa di ben diverso: un universo di imprevisti e situazioni al limite del ridicolo, che avrebbero fatto demordere chiunque. Lasciandosi alle spalle le strutture dominate da punch line e battute al vetriolo, Cole esplora la striscia lavorando su due livelli di narrazione e mostrando le potenzialità insite nella loro interazione. La maturità di Cole è visibile confrontando la striscia con i suoi fumetti umoristici basati per lo più sul peso specifico dell’azione o, al contrario, con i suoi suoi fumetti del crimine dove – come succedeva frequentemente all’epoca – vi era una presenza verbale quasi ingombrante.

Betsy and Me non dura molto. Infatti, nell’Agosto dello stesso anno Jack Cole si spara con un fucile calibro 22 in un strada di campagna del sobborgo in cui aveva da poco comprato casa, e lasciando due missive: una all’amico e datore di lavoro Hugh Hefner, l’altra alla moglie Dorothy (quest’ultima mai resa pubblica).

Il suicidio di Jack Cole interrompe una carriera piena di successi e in costante crescita, gettando però un ombra sulla sua vita privata e aprendo alle più disparate congetture.

Art Spiegelman, al culmine della sua analisi, si chiede se la morte di Cole non sia stata causata da un eccesso di “crescita”. Secondo Spiegelman, quando Cole «scambiò il pongo di Plastic Man con il silicone di Playboy, gettò via l’innocenza e la sessualità poliedrica dell’infanzia per la semplice eterosessualità dell’adolescenza». Il punto successivo e di non-ritorno fu proprio Betsy and Me. Infatti, in 24 anni di matrimonio i coniugi Cole non erano riusciti ad avere figli, mentre la coppia dei coniugi Tabbit corona subito il proprio amore con la nascita del piccolo Farley. Spiegelman si spinge anche oltre, e ipotizza che il suicidio non fosse dovuto solo alle aspettative mancate della coppia, ma che Cole non potesse sostanzialmente soddisfare queste stesse aspettative, poiché impotente.

Betsy jack cole

R.C. Harvey – nel saggio introduttivo all’integrale di Betsy and Me pubblicata da Fantagraphics Books – vagliando le varie ipotesi cerca la soluzione nel rapporto tra alcuni episodi narrati nella striscia e oscuri e inconfessati segreti, che minacciavano la felicità di Cole. Il confronto quotidiano tra l’idillio romantico dei Tabbit e la sua attuale vita, con la situazione resa instabile anche dall’amicizia con Hefner, costringevano Cole a fare i conti con i suoi fantasmi e con i suoi fallimenti domestici.

Il lavoro, paradossalmente, invece di allontanarlo dai suoi patemi era un persistente assillo, sbattendogli in faccia la realtà divergente che la sua fantasia ogni giorno idealizzava nelle vicende di Chat e Betsy. Nella lettera indirizzata a Hefner, Cole scriveva: «Non posso vivere con me stesso e offendere quanto di più caro abbia», palesando un conflitto tra l’egoismo artistico e un senso doveroso della famiglia e degli affetti che lo contraddistingueva. Infatti, pur frequentando Hefner e le sue conigliette, il celebre editore diceva di Cole che fosse un tipo abbastanza conservatore e devoto a sua moglie, difficilmente accostabile al modello di Playboy. Secondo il fotografo e giornalista Clay Geerdes, è proprio questo marito devoto che Cole volle uccidere, in un modo che affermasse la sua mascolinità.

Al di là delle congetture, è indubbio che Cole vivesse un qualche profondo dramma interiore e che le sue ultime opere fossero al contempo sia un tentativo di fuga che un continuo rovello per la sua anima. Nonostante ciò, è indubbio che le strisce Betsy and Me possano essere viste come il coronamento della sua arte di fumettista e come un doloroso tentativo di completare anche la sua parabola umana.

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