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RecensioniNovitàDio odia gli astronauti: il nonsense secondo Ryan Browne

Dio odia gli astronauti: il nonsense secondo Ryan Browne

Nel corso degli ultimi anni sono state poche le trasformazioni, nel fumetto, ad avere avuto più peso del fenomeno webcomics. In breve tempo moltissimi autori si sono trovati nelle condizioni di poter gestire un periodico a cadenza (ir)regolare distribuito, spesso senza alcun costo, nell’edicola più grande che si possa immaginare. Proprio come è successo con YouTube, e il proliferare dei suoi canali da cameretta, la sempiterna divisione tra un lato o l’altro della barricata è svanita. Ora abbiamo tutti gli stessi mezzi. Da questo nuovo punto di partenza abbiamo assistito a un continuo alzarsi dell’asticella degli impegni produttivi. Se agli albori del fenomeno ci si limitava alle classiche strip auto-conclusive, ora si è arrivati a intere serie. Realizzate da autori più o meno emergenti (sarebbe interessante, un giorno, fare il punto sui flussi migratori da webcomics a major, e viceversa) in totale e completa libertà creativa.

God Hates Astronauts

Nonostante queste premesse la cosa che colpisce di più rimane un’altra. Per quanto ci sforziamo di fare i moderni e i progressisti ad ogni costo, rimane innegabile che una serie nata sul web raggiunga la vera consacrazione, in gran parte dei casi, solo dopo essere stampata su carta. E se un simile destino potevamo aspettarcelo, quantomeno in un mercato refrattario ai cambiamenti come quello italiano, meno scontato era che tutto ciò succedesse anche negli Stati Uniti. Il fandom del fumetto non perde occasione per dimostrarsi una bizzarra creatura dalla contraddizione facile, affamata di novità, certo, ma che siano sempre uguali a sé stesse.

E arriviamo al punto. Ovvero, l’arrivo sugli scaffali delle fumetterie statunitensi, sotto il marchio Image Comics, della raccolta definitiva di God Hates Astronauts. Terza incarnazione della creatura di Ryan Browne (dopo il successo sul web e la fortunatissima raccolta fondi via Kickstarter – tanto per non farsi mancare nulla) e, si spera, trampolino di lancio verso la seconda serie di uno dei titoli più genuinamente fuori di testa che abbiate potuto leggere negli scorsi anni (o leggerete nei prossimi).

God Hates Astronauts parte da un generale nonsense, piuttosto comune in quella categoria di produzioni inscrivibili nel genere “fumetti disegnati male”, e finisce per rafforzare il presupposto con una serie di tavole che di disegnato male non hanno nulla. Anzi. Il tratto di Ryan è dinamico, aggressivo, perfetto per qualche serie super-eroistica dal taglio più moderno (tipo Thunderbolt, X-Force e altre). Peccato – o per fortuna – che sia alla mercé di una sceneggiatura priva di ogni forma di freno inibitore.

god hates astronauts

Un eroe galattico finisce per farsi sbriciolare a pugni le ossa del cranio, ritrovandosi così la faccia trasformata in un sacco deforme. Si consideri poi che il Nostro è semplicemente immortale, non un uomo con qualità auto-rigenerative alla Wolverine. Quindi nessun reset alla forma precedente: storpio sei e storpio rimani. E la vita non è esattamente facile quando neppure tua moglie riesce più a guardarti negli occhi. Sempre che li si trovi, in mezzo a tutta quella pelle cadente, capace di far sembrare l’uomo elefante di David Lynch un modello di bellezza. A questo aggiungete sovrani Ippopotami, contadini con la passione per l’esplorazione galattica, braccia che spuntano in mezzo al petto, vendicativi fantasmi bovini e un sacco di altri elementi che sembrano (sono) presi a caso. Insomma, un bel guazzabuglio senza capo né coda.

E proprio questo è il punto di forza e, insieme, di maggiore debolezza di tutta l’operazione. Perché se è innegabile che God Hates Astronauts sia disgustoso, divertente, oltraggioso e mai, mai, mai banale, è altrettanto vero che oltre a una selvaggia successione di trovate sopra le righe non ci sia nulla. Lo zero assoluto. Si divorano le pagine solo per il gusto di sapere cosa si troverà nella prossima. Se sarà ancora più fuori posto (e fuori luogo?) di quella appena passata sotto i nostri occhi. Cosa che, tra parentesi, puntualmente succede.

god hates astronauts

Se al di là di tutto questo il buon Ryan si fosse ricordato di far quadrare ogni stramberia della sua produzione e per fargli guadagnare quello spessore obbligatorio per renderlo un cult irrinunciabile – alla Seaguy di Morrison, non sarebbe stato male. Ma forse nei dovrei discutere con le 1768 persone che gli hanno permesso di sfondare i 75.000 $ di raccolta fondi su Kickstarter. Come si diceva una volta, non potranno avere tutti torto.

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