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RecensioniNovitàUniversal War Two, il ritorno (muscolare) alla fantascienza sociale

Universal War Two, il ritorno (muscolare) alla fantascienza sociale

E’ arrivato per Mondadori Comics il seguito della celebrata serie francese Universal War One. Ed era ora.

Leggi l’anteprima di Universal War Two vol. 1

Progetto di ampissimo respiro, capace di raccogliere consensi praticamente ovunque e in grado di consacrare il nome dell’autore già alla prima uscita, nell’ormai lontano 1998. Un successo internazionale (uscito negli Usa per Marvel, con tanto di vendita dei diritti per un adattamento al cinema) che non sembra però aver gettato nel panico l’autore Bajram, all’epoca praticamente esordiente. Così, dopo qualche tempo passato a mettere in ordine gli appunti su di una storia scritta oltre quindici anni prima, pare che oggi il Nostro sia completamente votato a dare alle stampe la seconda parte (in sei capitoli) della sua trilogia fantascientifica. Nonostante il ritmo folle con cui le pagine vengono consegnate all’editore (un capitolo all’anno: una produttività non da poco, se si considera che stiamo parlando di un autore unico) il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il tempo nel deserto, primo capitolo della nuova saga, funziona decisamente bene, permettendo ai nuovi arrivati di raccogliere tutte le informazioni necessarie (con un artificio molto sottile), e lanciando tutti i lettori verso i prossimi drammatici eventi.

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La trama. Anche dopo la distruzione della Terra (evento portante di Universal War One) gli umani non riescono a trovare pace. Come se le tensioni sociali su Marte – pianeta colonizzato dagli ex-terrestri – non fossero sufficienti, nel Sole compare un misterioso wormhole dall’inconsueta forma triangolare. Così, mentre un team scientifico si occupa della risoluzione del problema legato alla misteriosa apparizione, il resto dell’umanità pensa a come mettersi in salvo abbandonando i più deboli. Fino a quando un evento sconvolgente cambierà tutto.

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Certo, la narrazione potrà sembrare un po’ troppo decompressa per gli standard a cui è abituato il lettore italiano. Eppure, con il suo andamento imponente, riesce a ottenere due risultati non da poco. Prima di tutto costruisce un mondo credibile, dotato di una compattezza e di uno spessore che, da soli, rappresentano fondamenta solidissime su cui innalzare architetture narrative destinate a trovare compimento nei prossimi undici (!) anni. In secondo luogo, l’approccio hardcore di Bajram alla fantascienza ci fa tornare agli anni d’oro di questo filone. Si potrebbe quasi parlare di fantascienza vintage, tanto questo approccio così puro pare essere relegato, ormai, quasi solo alle ristampe delle grandi serie classiche, da Flash GordonValérian, o ai maestri della EC Comics.

In particolare, la volontà di introdurre in maniera organica toni (e temi) ambiziosi, se non ‘alti’, ci riporta alle sorgenti classiche di questo filone, lasciando da parte disillusione e cinismo e (ri)aprendo la via a un certo tipo di fantascienza sociale, dotata di un orizzonte dal sapore quasi spirituale. L’appartenenza dei protagonisti a una razza occupatrice, che finisce per spacciare come protezione  un’approccio coloniale verso gli abitanti di Marte, suona come una rilettura alla Conrad di quanto accaduto in Iraq negli scorsi anni.

Il rischio di sconfinare nel didascalico, in questi casi, è certamente dietro l’angolo, e può portare dritto a conclusioni paternalistiche. Molto meglio battere la via, anche questa vintage e relegabile al cinema sci-fi anni ’70, della metafora. In questo caso, l’enorme triangolo apparso apparso nel Sole, e l’approccio tecno-religioso portato avanti dagli scienziati Canaaniti, rappresentano punti di interesse più stimolanti e in grado di risolvere in maniera elegante anche le intuizioni di cui sopra. Vedremo se nei prossimi volumi del ciclo Bajram saprà restituirci una visione del mondo lucida e priva di divisioni manichee tra buoni e cattivi, evitando di rifugiarsi tra i luoghi comuni. Resta indubbio che scene cruente e legate all’attualità come un massacro di bambini, in un volume tanto mainstream e di evasione – non stiamo certo parlando di graphic journalism – siano indici di scelte coraggiose, ben poco scontate.

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Un perfetto contraltare a quanto sta facendo per esempio Marvel, con quel pasticcio dei nuovi Guardiani della Galassia. Passati da controparte epica, priva dei ‘limiti’ dei supereroi terrestri, a gruppo di macchiette dipendenti proprio dagli stessi superuomini. Sarà anche ciò che il pubblico odierno (americano) vuole, eppure il fascino dell’intramontabile “where no man has gone before” – che UW2 riesce a suggerire ben più dei comics Marvel – rimane ancora irraggiungibile. E in fin dei conti, ben più visionario e ambizioso.

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