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Questioni di “letteratura”

Questa rubrica si chiama “Filosofia del fumetto”. Fondamentalmente vorrei scriverci, periodicamente, quello che mi passa per la testa, a proposito di fumetto. E siccome i miei interessi sono teorici, parlerò soprattutto di teoria. Questo non vuol dire che non parlerò di singoli testi. Potrà anche capitare che qualcosa di quello che scrivo possa assomigliare a una recensione. Ma le recensioni in senso stretto credo che non le farò. Se parlerò di un testo specifico sarà perché vi ho trovato un motivo di interesse più ampio, o anche solo per cercare di capire perché mi è piaciuto (o perché, viceversa, non mi è piaciuto). Ovviamente anche l’estetica del fumetto ha cittadinanza qui.

Ma inizierò con un tema ontologico, ovvero relativo a cosa il fumetto è. Ho sposato anch’io, ma con giudizio, la definizione prattiana del fumetto come letteratura disegnata. Ho preferito però parlare piuttosto di letteratura a fumetti: a rigore, la definizione letteratura disegnata comprende anche ambiti che fumetto non sono, come il picture book, per esempio, ovvero quel tipo di libro illustrato (quasi sempre per l’infanzia) in cui, come nel fumetto, le immagini hanno un ruolo narrativo indispensabile, ma il testo verbale le accompagna in modo diverso che nel fumetto.

Letteratura a fumetti, dunque, intendeva sottolineare che l’insieme della produzione fumettistica costituisce un corpus cartaceo (spesso librario) che esiste per essere letto (sul rapporto tra leggere e guardare i fumetti torneremo certamente, ma se avete fretta potete leggere il mio libro Guardare e leggere, o fare un po’ di ricerca sul mio blog). Con la letteratura tout court, quella costituita fondamentalmente di prosa e poesia, ci sono evidentemente delle somiglianze e altrettanto evidentemente delle differenze.

Mi preme, per oggi, sottolineare una differenza, che è una di quelle che fanno sì che il fumetto sia ciò che è. Prendete un romanzo famoso, poniamo Ivanhoe di Walter Scott: ne esistono chissà quante edizioni, stampate con chissà quanti caratteri diversi, con diversa impaginazione, diversa carta, diverso formato. Ce ne sono di belle e di brutte, di più leggibili e di meno leggibili; ma sono tutte edizioni di Ivanhoe, il quale romanzo non viene toccato dalla qualità della sua edizione. Potremmo dire che, per quanto riguarda il godimento del romanzo, qualsiasi edizione che rispetti le condizioni di buona leggibilità vale quanto qualsiasi altra che ugualmente le rispetti. Una volta che la leggibilità è assicurata, le differenze tra le edizioni non riguardano il lavoro di Walter Scott, ma una gradevolezza grafica che potrà migliorare la vendibilità, o assicurare al libro come oggetto materiale una posizione di maggiore visibilità nella nostra collezione. Insomma, anche se per leggere il romanzo abbiamo bisogno del libro, il romanzo è qualcosa di astratto, una sequenza di parole che consideriamo equivalente qualunque sia la forma grafica che prende (fatte salve le condizioni di cui sopra).

Per il fumetto non è così. Se cambia il lettering, è già cambiato anche il testo a fumetti nel suo complesso; se cambia il formato, pure; se cambia l’impaginazione, la trasformazione sta sul limite del tradimento e spesso lo supera (sarebbe come pubblicare Ivanhoe modificando i punti di inizio dei singoli capitoli). Anche se, nel loro insieme, i fumetti si leggono, come i romanzi, il guardare ha un ruolo così importante da modificare il senso del leggere.

Tutto ciò che cambia quello che si vede, dunque, mi modifica il testo a fumetti, a partire dalla qualità dell’inchiostro e della carta. Naturalmente, non è detto che sia sempre la prima edizione a fare testo: prendete il Tex di Magnus; la sua prima edizione nei texoni non poteva certo fare testo, per qualità degli inchiostri e della carta, e questo per ragioni di collana. Edizioni successive sono state sicuramente migliori in questo senso. Erano migliori, sì, e quindi certamente diverse, e mi cambiavano la ricezione del testo – mentre con Ivanhoe questo non succede, o succede in misura molto minore (fatti salvi, come sempre, i requisiti di base di leggibilità).

MagnusTex

Ma se il fumetto è così sensibile alla propria modalità di presentazione, che cosa succede quando il supporto diventa sostanzialmente diverso? Di nuovo, leggere Ivanhoe su un lettore di ebook potrà essere più comodo o più scomodo, ma non cambia l’opera di Walter Scott. Ma leggere il Tex di Magnus su un i-pad cambia l’opera di Magnus, eccome!

Io capisco i feticisti della carta, i fanatici dell’odore dell’inchiostro, del fruscio quando si gira la pagina, ma il romanzo è da sempre una sequenza virtuale di parole, indifferente al supporto. Al romanzo è sufficiente che il supporto ne garantisca la leggibilità: carta o video (o quant’altro) che sia, tutto va bene. Si potranno fare obiezioni (del tutto sensate, ma non decisive) sulla maggiore o minore praticità dei supporti elettronici; tuttavia il libro, come oggetto fisico, nei confronti del romanzo è ormai un supporto tecnicamente abbandonabile.

La specificazione “nei confronti del romanzo” è importante. Già se parliamo di saggi le cose sono un poco differenti: sottolineare le parti importanti, prendere appunti a margine e fare cose del genere si possono fare anche elettronicamente, ormai, ma restano un po’ più faticose e meno spontanee che a matita sulla carta. Probabilmente è solo questione di tempo, e di abitudine. Se parliamo di poesia, la differenza si fa sentire ancora di più, e i lettori di poesia, se pur abituati a leggere a schermo, non ritengono abbandonabile l’esperienza cartacea. E non è questione di feticismo: il fatto è che la poesia possiede una dimensione grafica molto più definita della prosa, ed evoca un rapporto molto più diretto e carnale con il testo.

Il libro, come oggetto fisico, nei confronti del fumetto non è invece affatto un supporto abbandonabile. Nel fumetto, il formato e la qualità dello sfondo, cioè della carta, sono parte del testo stesso. Le stesse tavole, stampate su carta e viste a schermo, non sono lo stesso testo a fumetti.

(Gli editori dovrebbero saperlo. E invece sembra che no. Ho fatto parte di tante giurie, e c’è sempre qualche editore che – suppongo per risparmiare – spedisce la versione ebook delle sue pubblicazioni. Non vince mai, ed è giusto così.)

Non si possono dunque fare fumetti per lo schermo? Certo che si possono fare, ma saranno (appunto) fumetti per lo schermo, pensati apposta per quel supporto e per quello sfondo e per quel sistema di possibilità, ben diverso e ben più ampio di quello della carta.

In un’epoca in cui tutto segue la sorte immateriale del linguaggio, il fumetto si presenta come una naturale irriducibile linea di resistenza. Il computer si basa sulla natura immateriale del linguaggio, e ha la straordinaria capacità di estenderla agli ambiti più disparati; non c’è il minimo dubbio che la sua invenzione rappresenta un gradino fondamentale dell’evoluzione tecnologica umana. Ma l’immaterialità ha la sgradevole tendenza a espandersi anche ad ambiti che sono profondamente e intimamente materiali.

Rinuncereste al sesso, quello vero, quello che si fa con una persona che ci fa impazzire, in cambio di un’analoga esperienza immateriale? Potete ballare virtualmente? Potete mangiare virtualmente? Il fumetto è come il sesso, la danza, il cibo. Non lo si può ridurre, e questo fa parte della sua forza.

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