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FocusProfiliIl giro per l'Italia a chilometro zero di Paolo Castaldi

Il giro per l’Italia a chilometro zero di Paolo Castaldi [Intervista]

C’è un’Italia che non si accontenta dei canali ufficiali del mercato e che preferisce “consumare” in modo attento, magari trasformando l’acquisto in un’azione da condividere e promuovendo uno stile di vita più lento e sostenibile, basato sul rispetto per la vita umana e l’ambiente. È un’Italia che si si ritrova soprattutto nell’associazionismo, ed è quella che racconta Chilometri Zero (BeccoGiallo), il nuovo libro di Paolo Castaldi (già autore di un libro a fumetti su Diego Armando Maradona), realizzato viaggiando per il nostro Paese e scoprendo realtà come Apprezziamolo di Padova, Tutta farina del nostro sacco di San Marco, Mereto di Tomba (UD), GenuinaGente di Milano, Condominio Ecosol di Fidenza (PR), Scuole SIP di Torre Cajetani (FR), SOS Rosarno di Rosarno (RC) e TerraMatta Lab di Palermo.

Abbiamo così deciso di incontrare Paolo per farci raccontare la sua esperienza.

QUI L’ANTEPRIMA DEL LIBRO

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Da chi è partita l’idea per Chilometri Zero? Quanto eri pratico di concetti come “economia solidale” e “consumo critico”, prima di iniziare a lavorare a questo libro?

La prima volta che io, Guido e Federico (gli editori) abbiamo discusso di un progetto legato all’economia solidale ed al consumo critico credo sia stato un paio di anni fa, forse ancor prima di pubblicare Maradona. La proposta iniziale è arrivata da loro, ma si sono rivolti a me sapendo di trovare una “sponda” amica in tal senso. Difatti sono concetti che già da molti anni fanno parte del mio vivere quotidiano. Mia madre, per esempio, ha fondato il primo Gruppo di Acquisto Solidale (G.A.S.) del paese in cui abito, Settimo Milanese. Per me non è una moda radical ­chic del momento, esistono realmente soluzioni legate a tutti gli aspetti del nostro quotidiano, magari meno convenzionali rispetto alle normali abitudini, ma più intelligenti, più etiche e a portata di mano. Semplicemente migliori. Per se stessi e per gli altri. Perché non utilizzarle

Fondamentale è stato infine l’appoggio di Biorekk, G.A.S. di Padova che ci ha supportato in varie fasi della lavorazione. Possono tranquillamente essere considerati co­-autori del libro!

Hai viaggiato attraverso l’Italia, incontrando diverse realtà. Qual è l’impressione che hai avuto e che hai riversato nel libro?

Ho avuto sempre la piacevole sensazione di avere a che fare con persone consapevoli, che capiscono esattamente da che parte sta andando questa società e come potervi convivere nella maniera migliore. Non sto parlando di un’élite, di una setta di illuminati, ma di gente semplice, con quella cultura di fondo che non si impara sui banchi di scuola ma che fa la differenza. Questo è il concetto principale che ho voluto riversare nel libro.

Ormai se a Milano pronunci la parola “chilometro zero” sei immediatamente etichettato come individuo tendenzialmente di sinistra o centro­sinistra, medio­alto spendente, che si può permettere di comprare una zucchina un po’ più sporca di terra rispetto a quella del supermercato, a cinque o sei euro al chilo. Ecco. Ho voluto sradicare questa stupidaggine. Realtà come SOS Rosarno, come Apprezziamolo, come Ecosol, non se lo meritano. Perché appunto, sono realtà. Offrono una reale alternativa. Che funziona. E che magari è diffusa da decenni in paesi più attenti del nostro a determinate tematiche, come quelli scandinavi.

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Che reazione hai avuto da parte della gente che hai incontrato e con cui hai parlato per la realizzazione del libro?

All’inizio molto stupore e curiosità. Non capivano come Tex potesse parlare di cohousing o di raccolta delle arance nella Piana di Gioia Tauro. L’immaginario di tantissimi italiani che non seguono il mercato rimanda subito ai miti Bonelli, a Topolino o a Diabolik. I più giovani invece conoscevano la casa editrice BeccoGiallo. A loro dire è la stessa sensibilità che li ha condotti a determinate scelte di vita a portarli all’inevitabile incontro coi titoli dell’editore. «Prima o poi ne senti parlare, o da amici o in qualche fiera del libro, sullo scaffale della libreria in centro, e te ne appassioni,» dicevano, capendo esattamente che tipo di prodotto stavo per realizzare.

Tutti comunque erano molto molto contenti di raccontare la propria esperienza. La vivevano un po’ come un passaggio di consegna…

È facile forse capire il perché sia importante parlare di tali argomenti in un mondo sempre più orientato verso rapporti sociali più scollati e distanti. Però mi piacerebbe capire cosa significano per te e quanto di personale ci hai messo in questo libro.

Come dicevo prima, significano tutto. Per me i rapporti sociali, il ritorno ad un certo tipo di lentezza, di ritmo naturale, il valore, anche politico, del cibo, sono cardini fondamentali. Per dirla in breve, non è un libro che ho fatto per far numero sullo scaffale, né per avere l’uscita a Lucca, né tanto meno per “sfruttare” una tendenza. È un lavoro sincero, molto personale. È anche il mio modo di fare attivismo. E questo mi basta.

Per ognuna delle 7 tappe descritte nel libro hai usato uno stile grafico diverso, che legame c’è tra la situazione raccontata e il tipo di disegno utilizzato?

I fattori che mi hanno condotto a questa scelta sono stati due. Il primo, più personale e artistico, il secondo invece più concettuale. Avevo voglia di divertirmi, di sperimentare, e Chilometri Zero, per sua stessa natura, non poneva limiti. È un diario di viaggio, un reportage, non segue le regole del normale flusso narrativo del fumetto. A dir la verità non segue nessuna regola. Ci sono schizzi, foto, scritti, oltre alle tavole disegnate.
Un fil rouge stilistico non era necessario. Quindi perché non tentare esperimenti che magari potevano tornarmi utili per futuri lavori? Così ho deciso di lasciarmi andare e ho usato strumenti che fino ad oggi non avevo mai adoperato nei miei lavori, come il carboncino.

Volevo inoltre che ogni capitolo vivesse una vita propria, con una propria identità, e il tratto doveva rappresentarne al meglio l’anima. Un tratto più ruvido e duro per SOS Rosarno, un disegno che strizza l’occhio agli studi preparatori degli architetti per il cohousing Ecosol, un tratto più poetico e morbido per la vicenda del piccolo paesino di San Marco in Friuli, un tratto minimal, molto grafico ed ispirato al logo di Expo per Genuinagente, che si occupa del Parco Agricolo sud Milano.

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Con libri come il tuo, c’è sempre il rischio che si possa risultare troppo didascalici: come hai cercato di aggirare questo problema?

In effetti era la mia più grande paura. Abbiamo aggirato l’ostacolo decidendo di non voler per forza raccontare tutto di tutti. Ho scelto un piccolo momento per ogni situazione, un incontro, un singolo aspetto e intorno ad esso ho costruito una storia. Abbiamo cercato di giocare sulle atmosfere, sui dialoghi, sulla poesia.

Se poi qualche lettore, incuriosito da qualche racconto volesse approfondire, può sempre documentarsi in rete in un secondo momento. Nelle ultime pagine del libro abbiamo inserito un apparato con i contatti, siti Internet e email di tutte le associazioni coinvolte nel progetto, e di altre ancora che per ovvi motivi di spazio non abbiamo potuto metter su carta. Il fumetto deve solo accendere la scintilla…

Chiaramente non in tutti e sette i capitoli la cosa è riuscita come speravo. Ma posso affermare con certezza che non si tratta di un libro didascalico. Non racconto concetti, ma momenti di vita vissuta. In alcuni casi poi si trascende dalla realtà. C’è un mio dialogo con la Sicilia, compaiono cavalieri medioevali e famosi intellettuali del ‘900 ormai deceduti.

Consideri Chilometri Zero solo un’opera divulgativa o anche qualcosa di diverso?

Considero Chilometri Zero una testimonianza di un’ Italia “altra”, viva e pulsante. Ho cercato di fare quello che fanno i giornalisti con i reportage. Guardare e raccontare. Solo che, al contrario dei giornalisti, io non sono costretto a mostrare la realtà così come la telecamera la riporta. Io posso andare oltre. Posso ridisegnarla come mi pare, senza ovviamente deformarla nei contenuti. Da sempre sono convinto che il fumetto sia un mezzo di comunicazione dal potenziale enorme. Anzi, mi correggo: infinito. Ci puoi raccontare dei cowboy, dello spazio e degli alieni, del tuo vicino di casa, della tua compagna di scuola che ti piace tanto, di storie inventate e realmente accadute, di economia sostenibile.
Sono d’accordo con quello che Igort scriveva sul suo profilo Facebook qualche tempo fa. Scriveva che i fumettisti hanno utilizzato finora una piccola percentuale del potenziale che hanno a disposizione. Credo che ci sia troppa paura di “sporcarsi le mani”, con questo benedetto fumetto, andrebbe un po’ maltrattato. Lo si rispetta troppo. Ci siamo dati delle regole laddove regole non ce ne sono. Regole incise nella pietra dai Maestri del passato. E che quindi generano ancora più timori reverenziali.

Non mi stupirò nel sentir dire da qualcuno “tra i corridoi” che un fumetto sull’economia solidale non è un vero fumetto. Per fortuna non la penseranno così i G.A.S. di tutta Italia che lo ordineranno, senza il passaggio del distributore librario, in una logica di filiera corta che fa risparmiare chi acquista e fa guadagnare di più chi disegna e chi pubblica. Per fortuna non la penserà così chi magari non aveva mai letto un fumetto in vita sua a parte Topolino ma è interessato ai temi della sostenibilità e si ritroverà tra gli scaffali di una libreria per acquistarlo, tra molti altri fumetti, e incuriosito inizierà a sfogliarne alcuni. Un attimo e te lo ritrovi ad una presentazione di Gipi…

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