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RecensioniNovitàBentornato al sud: Southern Bastards di Jason Aaron e Jason Latour

Bentornato al sud: Southern Bastards di Jason Aaron e Jason Latour

Jason Aaron è la cosa più vicina all’HBO successa al fumetto statunitense negli ultimi anni. Proprio come la nota emittente via cavo (quella dei drama Soprano e di The Wire, ma anche di ottime commedie come Bored to Death e Silicon Valley) anche il Nostro è noto per il suo amore incondizionato per storie sordide e crude, spesso indugianti sulla provocazione fine a se stessa e sull’amorevole presa a cazzotti dello spettatore.

Non è un caso se la sua produzione più bella rimane quello Scalped che di fumettistico non ha proprio nulla. Parliamo di una storia dura e amara come un pezzo di asfalto consumato dalla gomma di decine di copertoni e bruciato sotto il sole di qualche Stato disperso nella Bible Belt. Nessun virtuosismo stilistico o giochi legati al linguaggio specifico. Solo la totale assenza di speranza nell’umanità, il degrado e la capacità di virare i dialoghi di Elmore Leonard in una versione più vicina al lerciume da frontiera di Cormac McCarthy (due nomi che penso il Nostro conosca perlomeno – eufemismo – benino). Dopotutto, la run dello scrittore dell’Alabama sulle pagine del Punitore è l’unica capace di tenere testa al capolavoro di Garth Ennis. E non certo per la profusione di buoni sentimenti e l’umorismo sofisticato e brillante.

Southern Bastards recensione
Questo tanto per chiarire quali siano i generi in cui il Nostro si muove meglio, alla faccia di tanti megaeventi e dei del tuono che la dirigenza Marvel continua ad affidargli. E infatti, da buona superstar di cui si tratta, il buon Jason non poteva certo farsi mancare la sua personale serie Image creator owned, tanto per non rimanere indietro rispetto a tanti suoi blasonati colleghi e per non far arrugginire la sua personale verve da narratore di frontiera. E proprio come gli illustri predecessori anche lui prende l’occasione per rischiare tutto e svuotare il sacco.

Southern Bastards (Image Comics) non sarà certo annoverabile tra le serie più incise dell’anno, ma ha dalla sua una sincerità così potente da farsi perdonare un sacco di peccati veniali. Jason Aaron sfrutta la mitologia del grande sud degli Stati Uniti – quello fatto di pollo fritto, dinner scadenti, pick-up infangati e comunità non proprio apertissime alle nuove esperienze. Il microcosmo da cui proviene lui stesso – per darci un suo ritratto della virilità, partendo dalla paternità e finendo per illustrarci le conseguenze iper-realiste del dogma a stelle e strisce “un uomo deve fare quello che deve fare”.

Southern Bastards recensione
Già il fatto che il protagonista sia un uomo di mezza età, costantemente in fuga da ogni tipo di problema e oppresso dall’ombra del padre nonostante gli anni sulle spalle, è una dichiarazione d’intenti. Un mediocre, figlio di un altrettanto mediocre, ancora suddito della rigidità della figura genitoriale. Va detto, non deve essere facile crescere con un tizio così in casa (anzi, sotto il porticato che dà sulla strada. Come vuole il cliché dell’architettura white trash). Un uomo devoto alla sua terra nonostante la consapevolezza del grado di disumanità della gente che la popola. Uno sceriffo duro (e ottuso) come la roccia. Ligio al dovere anche se capace di perpetrarlo solo fendendo una mazza da baseball. Il Nostro protagonista preferisce fuggire in Vietnam piuttosto che vivere il resto della sua vita nella piccola cittadina dove è nato, sotto l’egida di un padre che non è tale. Tutore della legge anche sotto il tetto coniugale. Peccato che le radici – in questo caso letterali (capirete leggendo il primo story-arc di questo Southern Bastards) – riescano sempre a richiamare all’ovile i propri figliol prodighi.

Così ci si ritrova a tornare a casa dopo anni di latitanza, pronti a misurarsi con quello che ogni bambino vede come l’UOMO per eccellenza. E uscendone ancora una volta sconfitti, nonostante questo sia venuto a mancare ormai da anni. Questa la trama fino all’investizione di matrice quasi divina del protagonista, un passaggio di testimone che non poteva non essere scritto in maniera così seria e convinta se non da un autore americano fino al midollo. E allora la serie si trasforma in una versione livida e povera del cult Rolling Thunder di John Flynn. L’esule ritorna a casa e quello che trova non gli piace per nulla. Come vorrebbe lo zio Sam pensa bene di rimettere le cose a posto. Ma si sa, le cose vanno diversamente al cinema rispetto che nella realtà.

Southern Bastards

Grandioso l’inaspettato epilogo, autentico colpo da maestro che se sviluppato a dovere parrebbe destinato a rimettere tutto nuovamente in discussione. Compresa la visione di figura forte e virile tipica della narrativa seriale. Per rigore di cronaca va ammesso che oltre a questi spunti di riflessione la serie non offre molto. Il ritmo è placido, molto sudista verrebbe da dire, e lo sviluppo lineare. Un telefilm su carta.

Per essere onesti quattro numeri per quello che si presenta come una sorta di preambolo e poco altro mi paiono esagerati. Per nostra fortuna le spigolose matite di Jason Latour sono grandiose e valgono bene i soldi investiti. Ruvide, sanguigne, scolpite a scalpellate. Perfette per accentuare i passaggi più cinematografici e votati alla frase a effetto. Vedremo se gli sviluppi porteranno a galla anche tutto il resto delle cose buone che paiono agitarsi sul fondo di questo maleodorante acquitrino dell’Alabama.

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