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RecensioniNovità(Anche) questa è Sparta! 'Three' di Kieron Gillen

(Anche) questa è Sparta! ‘Three’ di Kieron Gillen [recensione]

Com’è possibile far conciliare in un racconto di fiction il rispetto per la ricostruzione fedele e quanto possibile accurata di un ambiente o di un evento storico e la ricerca dell’intrattenimento, dell’immedesimazione, del divertimento adrenalinico tipico di un linguaggio eminentemente visuale come il fumetto d’azione americano? Questa domanda è stata al centro, lo scorso 15 aprile, di una tavola rotonda che si è svolta durante la conferenza annuale della Classical Association dell’Università di Nottingham, cui hanno preso parte lo sceneggiatore inglese Kieron Gillen (Phonogram, Young Avengers, Iron Man, X-Men) e il professor Stephen Hodkinson, docente di Storia Antica presso l’ateneo britannico e direttore di un importante centro di studi su Sparta e sul Peloponneso. Occasione dell’incontro l’ultima fatica di Gillen, disegnata da Ryan Kelly (Saucer County, Local) e colorata da Jordie Bellaire (The Manhattan Projects, Nowhere Men): Three, miniserie in cinque parti pubblicata da Image comics fra ottobre 2013 e febbraio 2014, raccolta in volume unico la primavera scorsa.

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Devo ammettere che ciò che in prima battuta mi ha incuriosito dell’incontro di Nottingham è stata la presenza di uno sceneggiatore di comics nelle aule di un dipartimento di Scienze dell’Antichità. Tuttavia, dopo aver scoperto – con mia grande sorpresa – che il professor Hodkinson aveva svolto il ruolo piuttosto originale di historical consultant nella realizzazione di Three, ho deciso di dare un’occhiata al risultato di una così inedita collaborazione.

Three narra la storia di tre Iloti, ovverosia il gradino più basso della società spartana antica, in fuga dai loro padroni, un esercito di Spartiati, coloro cioè che il grande pubblico riconoscerebbe subito come quegli stessi soldati guidati da Leonida e protagonisti di 300, il film di Zack Snyder (2007) tratto dall’omonimo graphic novel di Frank Miller con Lynn Varley (1999). Ed è proprio dalla lettura di quest’ultima opera che ha preso avvio la realizzazione di Three, come racconta lo stesso Gillen nella postfazione al primo volume:

L’idea di questo libro mi è venuta una notte. Ero tornato a casa dopo una di queste tradizionali serate di bevute fra autori di fumetti a Londra e, dopo essere sprofondato sul divano, presi un volume a caso dalla mia libreria di fumetti. La scelta è caduta su 300 di Miller e Varley. Mi piace molto 300. Dal punto di vista grafico è stupefacente e, insieme al suo adattamento per il grande schermo, è il maggior responsabile della crescente visibilità di Sparta nella cultura pop contemporanea. Esso guarda a cosa sappiamo oggi di Sparta, seleziona ciò che ritiene interessante e lo trasforma in una storia sulla libertà e la schiavitù. I 300 come lo scudo dell’Occidente, posti a difesa della nascente cultura occidentale che rischiava di essere spazzata via dalla monarchia persiana. In altri casi, sono stati capace di riconoscere pregi e difetti di un’opera e di passarci sopra. Ma non quella notte. Non appena i miei occhi caddero sull’ennesimo monologo esposto da uno di questi spartani belli, eroici e perfetti a difesa della libertà contro le opprimenti orde dell’irrazionalità, mi arrabbiai e mi rivolsi al libro gridando: “Fottetevi, voi schiavi braccati!”.

È fuor di dubbio, infatti, che dal racconto di Miller poco o nulla emerga sul fatto che la società spartana fosse suddivisa in tre classi – liberi o spartiati, semiliberi o perieci, schiavi o iloti – e che sulla totale sudditanza degli iloti si fondasse la libertà degli Spartiati, anche quando questa veniva minacciata. Così conclude, infatti, Gillen:

I 300 morti alle Termopili rappresentano un grande sacrificio. Ma il fatto che ancora mi dà da pensare è che ogni uomo libero aveva almeno uno schiavo accanto a sé e che questi schiavi morirono per una libertà che non avevano mai posseduto. Adesso immaginate i 300 in marcia alle Termopili. A meno che voi non conosciate bene questo periodo storico, avrete bene in mente l’immagine di questi imponenti eroi, con la lancia in una mano e lo scudo nell’altra. Gli spartani non portavano mai il loro scudo.

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Insomma il cuore dell’ispirazione di Gillen sta nel riproporre la stessa antinomia che sta alla base di 300, e cioè quella fra schiavitù e libertà, ma sostituendo ai persiani, nel ruolo di schiavisti, gli spartiati, e ai trecento eroi delle Termopili, tre iloti. Si tratta pertanto di un vero capovolgimento di prospettiva, concettuale e politica, che mira esplicitamente, attraverso una rilettura più problematica dell’antico, a una visione più chiaroscurale e complessa del contemporaneo, come  ha dichiarato lo stesso autore:

Ciò che ho trovato interessante in questa storia è la differenza fra quando l’ho concepita e la nostra situazione nel mondo oggi. Mi pare di aver pensato a questa storia prima del collasso economico. Improvvisamente la questione su chi provvede alla società e chi è mantenuto da essa, insieme agli aspetti economici di questo rapporto, è divenuta di strettissima attualità. Questa è una delle cose che mi aspetto – spero – che la gente legga nella mia serie.

Questa fulminea intuizione trascina lo sceneggiatore a dare corpo alla propria idea, approfondendo lo studio della storia di Sparta, e a parlarne con la sua amica Lynn Fotherigam, giovane studiosa dell’università di Nottingham e collaboratrice del professor Hadkinson, che viene presto coinvolto nel progetto. A Gillen è infatti chiaro che, per trasformare degli oscuri schiavi in eroi, è necessario conoscere a fondo la complessa composizione e le particolari regole della società spartana.  Complessità che non emerge dal racconto di Miller, il quale decide di non soffermarsi su questo aspetto, tutto proteso nello sforzo di rappresentare i soldati delle Termopili come uomini tutti d’un pezzo determinati a difendere la (loro) libertà dalla schiavitù persiana: «Trovo ironico,» ha dichiarato lo stesso Miller in un’intervista del 2007, «che una tribù così tirannica nei confronti di tanti suoi sudditi fu anche una fonte di libertà, ma quelli erano tempi pieni di ironia. Senza Sparta non ci sarebbe stata la prosperità ad Atene e senza Atene non ci sarebbe stata Roma. Così, anche se gli Spartani furono un vero ‘mucchio selvaggio’, furono allo stesso tempo necessari contro un tiranno che aveva represso il resto del mondo.»

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L’attenzione dell’autore americano è pertanto rivolta altrove, a narrare un evento storico, che già molto tempo prima di lui – basti pensare a Erodoto, principale fonte di informazioni per 300 – veniva narrata secondo i tratti caratteristici dell’avvenimento leggendario e i cui protagonisti, al di là di ogni contestualizzazione storico-sociale, avevano assunto l’aura di eroi, e cioè di coloro che, sempre secondo Miller, sono coloro che «fanno qualcosa per la propria tribù, per il proprio onore e per la propria società, perché è giusto così e non perché ci si aspetti una qualche ricompensa materiale o onore di alcun tipo.»

Al contrario, Gillen deve partire dalla realtà storica, da quel poco che ci è dato sapere sulle reali condizioni di vita degli iloti e dalle dinamiche sociali che li legavano ai loro padroni. E questi ultimi devono essere ben diversi dagli eroi senza macchia di Miller, e cioè fragili e vulnerabili nel loro ostinato attaccamento alle proprie tradizioni e ai propri privilegi. Probabilmente è per questo motivo che lo sceneggiatore di Three sceglie di ambientare la propria narrazione nel 364 a. C. La Sparta narrata da Gillen è, infatti, al centro di un inesorabile declino, a sette anni di distanza dalla sconfitta di Leuttra e dalla conseguente perdita dell’egemonia sulla Grecia a favore di Tebe, e a ben 116 anni da quella battaglia delle Termopili, che aleggia ormai sulla città, come su tutta la narrazione, al pari di una orrenda maledizione piuttosto che come una trionfale leggenda.

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La necessità di far convivere fedeltà storica e racconto d’azione conducono Gillen, da un lato a una sceneggiatura sicuramente coesa e ben scritta, ma a volte un po’ prolissa, soprattutto in alcune digressioni che rischiano di appesantire la lettura, dall’altro alla scelta delle matite di Ryan Kelly per donare al proprio plot al tempo stesso dinamicità e accuratezza nel dettaglio. Il risultato dal punto di vista grafico è sicuramente riuscito, anche se, nonostante la potenza di alcune splash page, Gillen e Kelly non riescono a donare grandezza epica ai propri personaggi così com’era riuscito a Miller, in virtù non solo della straordinaria capacità evocativa del proprio tratto, ma anche di una sceneggiatura più asciutta e scorrevole.

Credo, tuttavia, che questo sia stato il prezzo da pagare per un progetto sicuramente originale e innovativo, almeno per quanto riguarda il mercato americano, e che, come il bellissimo Age of Bronze di Eric Shanower, denota il sorprendente interesse di un editore mainstream come Image Comics per storie ambientate nell’antichità greco-latina, che mirano a percorsi narrativi alternativi alle ormai superate riproposizioni di semplificativi luoghi comuni. Ci auguriamo, davvero, che molto presto sia Three che Age of Bronze (il cui quarto volume è ancora inedito nel nostro Paese, mentre i primi tre sono ormai introvabili) possano trovare un editore in Italia altrettanto attento alla particolare cifra di novità che, non solo nel mondo del fumetto, queste opere rappresentano.

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Sia Gillen che Shanower, infatti, nelle loro opere di ri-narrazione dell’antico, grazie alla loro sensibilità ma anche ad accurati studi e documentazione, riescono non solo nell’impegnativo compito di dare il senso della complessità di quel mondo e della sua tradizione, ma anche in quello altrettanto arduo di proporre nuovi punti di vista e problematiche attuali attraverso uno sguardo moderno sull’antico.

Motivazioni più che sufficienti, mi sembra, per alimentare il dibattito intorno alle enormi potenzialità del medium fumetto e alla viva presenza del ‘classico’ nella società e cultura contemporanee. O anche, se volete, più semplicemente per auspicare l’imminente pubblicazione di due belle storie, come Three e Age of Bronze, nel nostro Paese.

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