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La Milano malinconica di ‘In inverno le mie mani sapevano di mandarino’ [Recensione]

È all’insegna della malinconia l’ultima opera di Sergio Gerasi, pubblicata da Bao Publishing nella collana “Le città viste dall’alto”. Una malinconia che trova una specifica rappresentazione grafica e una propria dimensione urbana: Milano.

Il protagonista di In inverno le mie mani sapevano di mandarino è Nani, un uomo che non vuole ricordare. Ha infatti in testa una cerniera, che tiene ben chiusa, per bloccare la memoria e vivere nell’oblio. Ma la dimenticanza forzata ha degli effetti collaterali: talvolta alcuni mostricciattoli colorati appaiono nella sua immaginazione per infastidirlo e spingerlo ad aprire la cerniera. Inoltre la nonna, alla quale è molto legato, è affetta da Alzheimer, motivo per cui Nani decide di partire per un viaggio nel tentativo di comprare una nuova memoria per la propria amata nonna.

Leggi anche l’intervista all’autore

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In inverno è un lungo dialogo con il sogno e il ricordo, due dimensioni che tendono a convergere per scontrarsi e confondere il piano della realtà e ciò che il lettore stesso percepisce come reale. Non si tratta di un’opera surrealista, ma il sogno diventa la chiave con cui raggiungere una verità negata, e grazie a questo Gerasi ha la possibilità di lavorare molto sulle distorsioni della linearità narrativa, creando un proprio mondo visivo.

E’ Milano la città che fa da quinta a questa storia, una città che non solo ricopre certamente il ruolo di componente scenografica ma anche di vero e proprio personaggio, che avvolge con delicatezza l’intima storia di Nani. Qui sta il primo, interessante risultato di In inverno: Milano, grazie alle splendide matite di Gerasi, cambia continuamente, fino a diventare orizzonte onirico, utopia dello sguardo. I navigli si trasformano presto in fiumi da attraversare alla ricerca dell’isola di Onalim, e Nani – quasi fosse un Marlow di conradiana memoria – diventa presto un uomo alla ricerca del proprio Kurtz, un folle che si addentra nei meandri oscuri del proprio passato, di una memoria a tutti i costi rinnegata.

I riferimenti cinematografici sono molti, da Memento a Insomnia (infatti In inverno contiene molte delle ossessioni tipicamente nolaniane) passando per il cinema trasognante di Federico Fellini o per quello oniricamente sublime di Luis Buñuel, così come non mancano le citazioni fumettistiche, tra le quali emerge con prepotenza il riferimento a Corto Maltese.

Lo stesso sguardo di Gerasi assomiglia a quello di un regista, capace di mescolare facilmente passato, presente e futuro in un vortice di emozioni molto diverse fra loro. E qui sta la seconda qualità del libro: a dispetto della sua semplicità, riesce nel difficilissimo intento di commuovere, toccando corde emozionali di carattere universale. Il rapporto con la nonna, gli amori giovanili, il rifiuto della realtà, del proprio passato e di se stesso, il tono che, con astuzia, mescola toni ironici (quasi tutta la prima parte) con atmosfere delicate e toccanti: tutto concorre a rendere questa graphic novel un’opera di sicuro interesse, tra le sorprese più piacevoli del ricco panorama italiano di questo autunno.

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Infine ci sono i disegni, l’anima di ogni fumetto, che lasciano emergere il talento di Gerasi: con semplicità disarmante, l’autore trasforma Nani e il suo mondo nello specchio in cui si riflette l’uomo contemporaneo. Optando (in maniera funzionale) per il bianco e nero, Gerasi sottolinea ulteriormente il sentimento dominante di In inverno le mie mani sapevano di mandarino, quella malinconia di cui si parlava all’inizio: una malinconia che, inevitabilmente, è fattore assoluto quando si parla di memoria, di ricordi e di passato. Una malinconia che, nella figura di Nani, passa attraverso l’innocenza dell’infanzia e l’arroganza dell’adolescenza, fino alla disillusione dell’età adulta.

E il finale, senza spoilerare troppo, è un (meraviglioso) pugno allo stomaco. In inverno le mie mani sapevano di mandarino si apre con un sogno e si chiude con l’insostenibilità dello sguardo in quello che, in ambito cinematografico, è noto come fuori campo. Perché si può sfuggire da tutto, ma non dall’ombra spaventosa del proprio passato.

In inverno le mie mani sapevano di mandarino
di Sergio Gerasi

Bao Publishing, 2014
128 pagine, 15 €

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