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FocusOpinioniIntervista a Tom Orzechowski, il ‘Maestro del Pennino’

Intervista a Tom Orzechowski, il ‘Maestro del Pennino’ [prima parte]

Tom Orzechowski non ha bisogno di presentazioni. La sua bravura come letterista lo ha reso un modello da imitare per chiunque tentasse di intraprendere questa fatale carriera. La sua stoica collaborazione con gli X-Men, durata 18 anni, ha caratterizzato quella serie quanto l’apporto di Chris Claremont, John Byrne e Terry Austin. Quella che segue è la traduzione della prima parte di un’intervista a Tom apparsa sul blog “The Silver Lantern” e che Bryan D. Stroud (alias Professor Sage) ha curato nel 2009, concedendomi gentilmente il permesso di utilizzarla per Fumettologica. Qua e là compare qualche domanda posta da me a Tom recentemente, a corredo delle già peraltro ricche informazioni che il Maestro del Pennino ci regala. Dalle risposte di Tom traspare la sua immensa modestia e la sua grande curiosità e voglia di sperimentare costantemente.

Qui sotto il meglio del meglio del lettering americano: partendo da sin. Todd Klein, Clem Robins, Tom Orzechowski, Gaspar Saladino. Dietro di loro David Marshall, disegnatore e letterista seguace di Artie Simek.

Orzechowski1

Prof: Il più vecchio “credit”che ho potuto trovare per te risale al 1973. E’ stato allora che hai cominciato?

Esattamente. Era il 2 gennaio 1973. Non si può dimenticare. Tony Isabella, un caro vecchio amico, aveva ottenuto un lavoro nella redazione Marvel nel periodo di Halloween dell’anno precedente. Era saltato fuori un lavoro di correzione del lettering e mi chiamò per vedere se volevo lavorare per 100 dollari a settimana. Per la Marvel! 

Andai dall’aeroporto dritto alla redazione senza avere un’idea chiara di dove avrei dormito la notte. Klaus Janson era già nello staff quando arrivai io, ma non so se Tony avesse avuto una parte in questo. Jim Starlin e Al Milgrom, altri due ragazzi della zona di Detroit, avevano avuto lavoro forse già dall’estate precedente, Jim faceva i layout di Spider-man per Romita (senior) e Milgrom inchiostrava gli sfondi di Superman per Murphy Anderson. Rich Buckler era a New York già da un paio d’anni, disegnava per la Warren e  per la Marvel, e io fui il successivo del nostro gruppo a essere preso. Quando spuntava qualche lavoretto, chiamavamo in città i nostri amici fan.

Tony mi fece ritoccare le prime storie Marvel per un paio di settimanali inglesi, Spider-Man Comics Weekly e Mighty World Of Marvel. Dovevo reperire i riferimenti ai personaggi che non si erano ancora visti e rivedere qualche parola. “Check” diventava “chèque”, cose così. In effetti, ce n’era un bell’elenco. “Colour”, naturalmente. “Gaol” invece di “Jail” (differenze tra inglese americano e inglese britannico – Ndt).

In effetti fu un bell’allenamento, perché cominciai a letterare delle sceneggiature di Chris Claremont quello stesso anno. Un paio d’anni prima degli X-Men. I genitori di Chris erano inglesi. Lui aveva trascorso i primi mesi della sua vita nella “Vecchia Inghilterra” e aveva acquisito accento e ortografia in quel periodo. Aver lavorato su questi fumetti dall’americano all’inglese mi mise in guardia su un sacco di cose che Chris metteva inconsciamente nelle sue sceneggiature.

Prof: Quindi la cosa funzionò egregiamente. 

Già. Be’, eccetto il fatto che non reggevo molto la pressione della redazione, e il capo di Tony, dopo qualche mese, mi fece sapere che, se volevo lavorare a casa, non ci sarebbero stati problemi. Me la dovevo cavare, però, o avrebbero assunto qualche altro ragazzino fanatico disponibile a lavorare per qualche dollaro l’ora. Allora correggevo anche le loro riviste horror in bianco e nero. Tales of the Zombie e qualche altra. Ristampavano storie anni ’50 e contenevano anche materiale nuovo. Uno dei miei lavori era fare un nuovo titolo per le vecchie storie così sembravano meno ristampe. Quelli che facevo erano tremendi. L’allora editor-in-chef Roy Thomas si lamentava che somigliassero troppo a quelli dei fumetti underground. Cosa posso dire?! Era il 1973! (Periodo di massimo fulgore dei fumetti underground – NdT) Mi ci volle un po’ per capire come adattarmi allo stile Marvel.

Diego: Il Grand Comics Database riporta Tomb of Dracula n.11 come primo albo completo con il tuo lettering. E’ esatto?

È stato quello il mio primo albo. Con i titoli non ero ancora molto bravo, così Danny Crespi, uno dei vecchi in redazione, lo fece per me. D’altro canto, stavo ancora facendo soltanto ritocchi e correzioni alle tavole già fumettate. Ma migliorai molto rapidamente e cominciai a letterare circa un albo a settimana.

TombOfDracula11

Prof: Tom, che tipo di formazione avevi? 

Non avevo alcuna formazione. C’era un club dedicato ai fumetti, a Detroit, in cui mi ero imbattuto durante una convention nel ’68. Ci si incontrava per parlare dei fumetti del momento e anche tirar fuori quelli vecchi. Pensavo: “Oh, è perfetto. Avevo aspettato tutta la mia vita di quindicenne per questo”. E di certo avevano delle copie di Black Magic e di The Spirit e qualsiasi altro genere di fumetto ma, meglio ancora, producevano questa fanzine che raccoglieva le notizie delle case editrici.

Un giorno d’estate avevamo bisogno di altro materiale e Arvell Jones, che la pubblicava, disse: “Perché non chiami la DC Comics e curiosi un po’?” Chi, io?! Mi armai di coraggio e telefonai. E chi beccai al telefono, se non Carmine Infantino? Il direttore. Che rispondeva al telefono! E qui c’era questo diciassettenne brufoloso che gli faceva un sacco di domande su cose che per lui erano soltanto noiose. Disse: “Be’, Wrightson sta facendo della roba su House of Secrets, credo…” (Swamp Thing, presumibilmente. NdT). Assolutamente non collaborativo. Ma io prendevo nota e cercavo di capire come fare a parlare con questi professionisti. Loro capivano di dover parlare con i fan, di tanto in tanto. Io pensavo che avrei dovuto aver a che fare con 3 o 4 livelli di intermediari prima di arrivare a qualcuno del settore creativo, magari uno sceneggiatore, e avevo beccato il boss. Questo demistificò un tantino la cosa, perché qui c’era il tipo che pubblicava tutto quanto e non gli veniva in mente niente degno di nota da raccontare alla stampa.

Prof: (Risate).

Avevano appena assunto Dick Giordano dalla Charlton in quel periodo, così il giovane Jim Aparo e Steve Skeates stavano lavorando su una versione rinnovata di Aquaman. Erano appena usciti i primi numeri di Phantom Stranger. Succedeva di tutto. C’era Mike Kaluta che stava facendo The Shadow. Credo che Shazam! stesse per uscire, sai, ogni genere di cosa e lui era tutto un “ehm”, “uhm” e trafficava con le prove di stampa e cercava di assicurarsi che il costo della carta non salisse troppo quel mese e così via. Apparentemente, il contenuto dei comic book era l’ultima cosa che aveva in mente.

Prof: Perso in un mare di incombenze.

Credo di sì. Mi domandavo spesso come facessero quelli per cui lavoravo, come Sol Brodsky, che era stato un inchiostratore formidabile di tutte le copertine di Jack Kirby negli anni ’60 – e Joe Orlando alla DC – come avessero potuto mollare matite e pennelli per passare a un lavoro da scrivania. Come si fa a stancarsi di disegnare questa roba a tal punto da voler lavorare a programmi di produzione, ad assegnare il lavoro e non guardare mai veramente con attenzione il prodotto finito? Ma è quello che Carmine faceva come direttore. Era il capo dell’amministrazione. Come art director faceva il layout delle copertine, ma degli interni se ne occupavano altre persone. Questo mi fece capire che si tratta di un business.

Stan Lee ha creato questo mito dell’allegro “Bullpen Marvel”, e noi pensavamo che la Marvel possedesse un palazzo e tutti venissero a lavorarci tutti i giorni e si divertissero. No. Tutti lavoravano a casa. C’erano cinque persone in redazione: Stan e Roy Thomas, Marie Severin, Sol Brodsky, il tipo che faceva le fotocopie… basta. Quello era il “Bullpen Marvel”. Okay. (Ridacchia). Immagina il mio disappunto quando andai alla Marvel con le mie prove di lettering a sedici anni e lo scoprii.

Prof: Oh, sì. E tanti saluti alla montatura pubblicitaria. 

Già, ma la montatura funzionava, grazie a Stan Lee. E non so se guardava gli albi completati una volta rinunciato a scriverli. A quell’epoca la Marvel era una storia di successo di 12 anni che necessitava di una supervisione più ampia, e suppongo che si fosse davvero stancato di scrivere tutte quelle pagine ogni mese, tutta quella roba.

Allo stesso modo, il capo del lettering alla Marvel, Danny Crespi, mi offrì un impiego fisso nello staff per imparare a letterare le copertine, di cui si era occupato fino ad allora. Pensava che avrei guadagnato di più che dal letterare “tutte quelle pagine ogni mese”, come disse lui. Questo da un uomo che le aveva letterate dagli anni ’50. Non accettai, il che può essere stato stupido, non lo so. Se lo avessi fatto, è possibile che non avrei avuto il lavoro con gli X-Men, ma sarei rimasto a New York, piuttosto, forse in redazione e sarei salito di grado nella casa editrice. Sì, c’erano i benefit e l’assicurazione sanitaria, ma io avevo già preso gusto a tutte quelle pagine

Prof: Questa è una cosa che Carmine mi disse – il che per me era una notizia – che in redazione c’erano solo gli editor e chi si occupava della produzione. Io non so come pensavo che fosse organizzata una redazione, ma fu veramente una rivelazione.

Be’, immagina lo studio Eisner/Iger, un ricordo che tutti noi teniamo caro. Ci sono Bob Powell e Chuck Cuidera e tutti gli altri nella stessa stanza nello stesso momento a fare il supplemento di Spirit e i fumetti per la Quality Comics e tutto il resto.

Prof: Sì, credo che sia quello che avevo immaginato. Una linea di montaggio con gente che lavorava dalle nove alle cinque.

Sì, confrontando le tavole e facendosi scherzi. Io vidi la Marvel per la prima volta quando avevo sedici anni nel 1969. Vivevo a Detroit, come ho già detto, e portai un portfolio a far vedere. Andai a una convention e dopo mi recai da DC e Marvel e forse dalla Warren. Alla Marvel non potei neanche oltrepassare la porta. Riuscii a sbirciare ed era forse delle dimensioni del tuo soggiorno. Divisori di cartone e poca gente. Non c’era nessuno ad accogliere una persona come me e ad accompagnarla in redazione. Morrie Kuramoto, un letterista  contemporaneo di Dan Crespi, chiacchierò con me per un paio di minuti, rientrò, venne fuori con una fotocopia di grandi dimensioni di una “splash page” di Capitan America, me la diede e fu tutto.

Diego: Facesti vedere le tue prime prove di lettering alla Marvel a soli sedici anni. Il lettering era  la tua unica aspirazione riguardo ai fumetti o sognavi anche di disegnarli e inchiostrarli?

Avevo fatto disegni di personaggi per delle fanzine quando avevo quindici anni (1968). Gli altri appassionati di fumetti della zona erano molto più bravi, però, così smisi presto di disegnare. Tentai con l’inchiostratura, ma il look di quel nuovo tipo, Neal Adams, stava diventando popolare e non c’era modo di inchiostrare come lui senza possedere un buon senso della luce e dell’anatomia. Ortografia e grammatica erano il mio forte, così cominciai a fumettare le sceneggiature dei miei amici, facendo anche qualche piccola correzione. Questo quando avevo sedici anni. Quell’estate feci il mio primo viaggio a New York alla redazione della Marvel. Mi diedero una fotocopia di una pagina letterata da Artie Simek, come modello, ma quella volta non mi diedero lavoro.

Biglietto da visita (1975 circa)
Biglietto da visita (1975 circa)

Quando fui assunto tre anni dopo, la redazione occupava tutto un piano condiviso con un gruppo chiamato Magazine Management, che era una branca diversa della stessa casa editrice. Magazine Management produceva quelle che si chiamavano riviste d’avventure per uomini. Avevano copertine dipinte da Earl Norem e altri che in seguito dipinsero copertine per Savage Sword of Conan.

Queste copertine mostravano dei tipi robusti in lotta contro degli orsi mentre, in primo piano, donne in abiti succinti si facevano piccole piccole, e ragazzi in canoa, con il fucile, sparavano alle aquile o a roba del genere. Tutte queste situazioni virili e piene di testosterone e stavano sullo stesso piano e pubblicavano le stesse pubblicità dei fumetti Marvel, il che spiega perché la Marvel avesse tutti questi annunci di bodybuilding e di polvere per starnutire e tutta questa roba strana che non sembrava potesse allettare gli appassionati di fumetti.

Prof: Ah-hah!

Devo credere che il loro responsabile della pubblicità fosse una specie di genio, riuscendo a barcamenarsi tra i due tipi di pubblico. Vendeva un sacco di spazi pubblicitari con distribuzione garantita per questo blocco di età da 10 a 25 anni, che consentiva di mandare avanti fumetti e riviste della casa editrice. Perciò avevo a che fare con questi editor quasi con la stessa frequenza di quelli della Marvel.

La Marvel, all’epoca, aveva una redazione notevole. C’era un sacco di gente in piccole stanze e un mucchio di tavoli da disegno ovunque e tutti questo eroi, questi professionisti da 25 anni come Frank Giacoia, Mike Esposito e Sol Brodsky. Marie Severin. George Roussos. E c’era John Romita senior come art director. Wow! Leggende.  Non potevi andare in giro a occhi chiusi per tre secondi senza sbattere contro qualcuno famoso. E tutti questi dicevano solo: “Cerco soltanto di guadagnarmi la pagnotta, qui”.

Naturalmente, oggi la Marvel è un animale diverso. C’è un sacco di soldi in più in ballo, con i film e quant’altro. Nel ’73 era ancora molto naif. Esisteva solo da 12 anni. Spider-Man 120 uscì quell’anno, Conan 25 uscì il giorno in cui io ci misi piede. Così, lavorando sui fumetti per il Regno Unito, finii a ritoccare The Hulk dal numero 1 al 6 ed erano numeri abbastanza recenti. Lavorai con Lee & Kirby e Lee & Ditko e Lee & Heck e Lee & Ayers. Era veramente entusiasmante. Era quasi come essere tornato un pochino indietro nel tempo alla primissima ondata della Marvel. Avevo comprato quegli albi, e adesso ci lavoravo sopra. Uno strano déja vu.

Prof: Roba esaltante. 

Adesso quelli sono come i fumetti del nonno. Sono disponibili su CD-Rom il che, in un certo senso, li pone ancora più indietro nel tempo. Recuperabili sono attraverso la scienza.

KittyPride
Logo della mini-serie omonima – 1984

Prof: Già, come hai detto prima, con la popolarità dei film è il passo naturale successivo per fare cassa con il catalogo.

Recentemente ho visto un’edizione rilegata di Amazing Adult Fantasy dal numero 1 al 15 per, tipo, cento dollari. Un libro di grande formato come le ristampe degli EC Comics che faceva uscire Cochran e lì c’è tutta la serie di Amazing Fantasy. Io ho la maggior parte di quei fumetti, ma adesso sono in un volume da museo. Quasi tutto quello che ho comprato dal 1960 al 1985… Ho appena visto DNAgents, quasi tutta quella roba è stata ristampata da qualche parte, in qualche modo. Solo Sugar and Spike non è stato ristampato. C’è anche uno Showcase dedicato a Blackhawk, adesso.

Prof: Credo che Shelly Mayer avesse una sorta di proprietà esclusiva su Sugar and Spike, ma non ne sono sicuro.

Potrebbe essere. So che hanno fatto uscire i peluche di Sugar and Spike, qualche tempo fa.

Prof: Ne ho sentito parlare, ma non li ho visti. Ho un paio di peluche di Bat-Mite e Mxyzyptlk.

Credo che siano usciti nello stesso periodo.

Prof: A proposito, ricordi di aver fatto il lettering dell’albo “World’s Funnest”?

Sì, certo.

Prof: Buona notte! L’ho sfogliato e ho pensato: “Quanti anni gli ci sono voluti per letterare questa bestia?” 

Meno di quelli che pensi, ma più di quanto avrei voluto.

Worldsfunnest

(Qui mancava la domanda, ma è facile immaginarla – NdT)

Ho una bella collezione. Ho un sacco di Quality Comics. Blackhawk era la mia passione tra il 1970 e il 1973, quando la Overstreet Guide non controllava ancora i prezzi. Ho quasi tutti i numeri di Blackhawk a partire dal numero 9 (in effetti il primo della serie) e un paio di dozzine di Military Comics. Sam Rosen era il letterista per un mucchio dei fumetti della Quality Comics, nei primi tempi. Fece anche The Spirit per parecchi anni. Allora li ingrandivo e li tracopiavo febbrilmente e tracopiavo le cose di Gaspar Saladino, quelle di John Costanza, C.C.Beck e Ben Oda e altri. Ci ho speso ore e ore, il che era un esercizio molto buono. Era un modo utilissimo per cogliere il senso delle proporzioni di qualcun altro. Suona quasi osceno, non è vero?

Prof: (Risate).

Come calligrafo, ho studiato tantissime mani diverse e sono diventato abbastanza okay per diversi stili. Non era molto diverso copiare, il meglio possibile, le cose di Saladino o quelle di C.C.Beck. Mi dava una serie di caratteri del tutto diversi per capire come  potevano apparire le diverse forme delle lettere. Questo avveniva nell’ultimo periodo in cui facevo le fumettature  a mano. All’incirca nel 2000 o 2001. Adesso che sto facendo Savage Dragon a mano cerco di avere un approccio differente verso le lettere. Uso ancora la stessa penna che ho usato dalla metà degli anni ’80, comunque.

Prof: Che è… ?

Una Osmiroid India Ink Sketch Pen. Non si trovano più. Penso che la Osmiroid non esista nemmeno più da almeno 10 anni. E’ una penna a cartuccia con pistoncino. Così posso andare di pagina in pagina senza ricaricarla, senza intingerla. E il pennino è in una lega d’oro. Non so quanta percentuale d’oro ci sia, ma le dà più flessibilità. Il pennino probabilmente vale più della mia vita in questo momento. L’ho tirata fuori dalla naftalina per lavorare su Savage Dragon. L’ho anche affilata un pochino. Ho conservato tutti i trucioli e li ho venduti. Be’, no, in effetti non l’ho fatto. Mi dà una bella linea. E’ magnifico lavorare di nuovo con penna e inchiostro.

Prof: Stavo per chiedertelo. E’ una cosa divertente?

È gioia pura.

Diego: Ho letto su “Dial B for Blog” che la lettera che odi di più scrivere è la “x” (lo stesso per me, per coincidenza), il che può sembrare quasi ironico, nel tuo caso. Quali altri aspetti del lettering a mano ti danno problemi e quali sono, invece, un piacere per te?

Durante i primi anni di scuola non imparai a tenere correttamente la matita. Non faceva una gran differenza, perciò nessuno degli insegnanti mi corresse. Non fu un problema finché cominciai a imparare la calligrafia. Impugno la penna con un angolo che me la fa tenere troppo vicino alla punta, il che causa un angolo di pressione sbagliato sul pennino! Nello stesso tempo, vorrei imparare a fare insegne dipinte a mano. Potrei essere il più vecchio apprendista al mondo.

Prod: Ho letto i commenti più spiritosi sul blog di Mark Evanier un giorno parlando di lettering e di come ci avesse provato, ma non sopportasse la forza nel polso che richiedeva. L’effetto dopo un po’ era che le sue lettere sembravano scritte da Katharine Hepburn mentre andava su una slitta.

E’ vero. Si fanno movimenti… la forma delle lettere implica cinque movimenti diversi. Tutto lì. E le fai alte poco più di tre millimetri e ogni volta devono sembrare identiche. E molto rapidamente. E devi fare attenzione alla sceneggiatura più che a quello che stai facendo. Perciò è come essere su un palcoscenico. Se lavori su Daredevil è quasi come se stessi interpretando Enrico VIII, come Olivier e Kenneth Branagh. Tutte queste persone incredibili lo hanno fatto prima di te ed è roba molto vecchia: è stata vista da milioni di persone; tutti l’hanno sentita che l’abbiano vista o no, e tu fai parte di quella tradizione. Altre persone la faranno dopo di te.

Quindi tu cerchi solo di restare invisibile mentre ci metti dentro un po’ delle tue emozioni. Perché altra gente le farà dopo di te, altra gente le ha fatte prima, poi arriverà qualcun altro come Todd Klein o Comicraft e ne fornirà una nuova versione che sarà il modello per un po’ e poi qualcuno più tardi ne farà una versione ancora più nuova. E’ fantastico, in un certo senso. Per me è ancora fantastico. Così sono gli X-Men. Sono passati sul grande schermo, sono stati cartoni animati e te li trovi sulle coppette dei gelati. A volte il MIO lavoro è sulle coppette dei gelati. E’ possibile che nelle vignette sparate a ripetizione nei titoli di testa dei film degli X-Men ci siano delle mie vignette. Se rallenti il lettore, mi puoi vedere. Non ho avuto un centesimo per questo, ma sono lì. C’è Costanza e c’è Artie Simek ed è tutto lì, se fai caso alle cose come faccio io.

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Splash page da Uncanny X-Men 111, uno dei primi numeri fumettati da Tom Orzechowski

Prof: Grande. E dopo tutto non sei stato gli X-Men per qualcosa come 18 anni?

Già, 18 anni per il primo periodo e poi… una cosa qua e là. Sentivo che era tempo di fare qualcos’altro. Autografavo fumetti per gente che aveva meno anni di quelli che avevo passato sul comic book…

Prof: (Risate.)

E’ una cosa che arriva come uno shock. Improvvisamente, quel momento esistenziale. “Okay, vediamo un po’”. E l’editor e io non andavamo molto d’accordo. Non mi ricordo nemmeno più perché. Tutto lì.

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Splash page da Uncanny X-Men 205

Claremont era appena stato estromesso e io rimasi comunque per un altro anno, solo perché era lavoro, e poi ne ebbi abbastanza e dissi: “Adesso che cosa faccio?” E naturalmente chiunque altro avrebbe semplicemente chiamato uno degli altri sei editor della Marvel e avrebbe detto: “Be’, adesso ho del tempo libero. Avete qualche fumetto in giro?” Ma no, io ero stato incollato agli X-Men per così tanto tempo che non sapevo veramente cosa fare dopo.

Fortunatamente, Todd McFarlane mi chiamò la settimana stessa in cui la Image venne lanciata. Credo fosse nel ’92. Così, sì, 18 anni a fare 100 pagine al mese o anche di più, tra New Mutants , Wolverine e i vari Annual e speciali.

Prof: Accidenti, e mi ricordo che quelle sceneggiature di Claremont erano maledettamente piene di testo.

Eccome.

Prof: Corre voce che tu prendessi un compenso extra per tutto quel lavoro supplementare. C’è del vero?

Uh, ci sono voci, sì…

Prof: (Risate).

Chris scriveva su fogli 21×35, non 21×29,7. E a volte proseguiva su un secondo foglio.

Prof: Buon Dio.

Be’, c’erano otto vignette per pagina, otto personaggi per vignetta. Cuori infranti, universi distrutti. C’era un sacco da dire. E forse esagerava un po’, ma avevamo un rapporto lavorativo molto soddisfacente. Io non vivevo a New York. Eravamo buoni amici e quando capitavo a New York mi fermavo nel suo appartamento.

Ma, per finire quello da cui siamo partiti, lasciai New York abbastanza velocemente nel ’73. Non la reggevo proprio. Manhattan era troppo grande per me, troppo intensa sotto vari aspetti. Dopo otto mesi me ne andai a ovest, ma loro continuarono a mandarmi sceneggiature, il che era veramente stupefacente, se ci pensi, perché i comic book facevano molto riferimento a New York.

Non esisteva una cosa come la consegna il giorno seguente. La posta raccomandata ci metteva tre o quattro giorni. Perché non se le tenessero a New York non lo capirò mai.

Prof: Oh, io un’idea ce l’ho.

Be’, okay, grazie. Ma c’eravamo io e Chris e la cosa funzionava bene. Nessun altro voleva toccare quelle sceneggiature perché erano troppo lunghe, e io dicevo: “Mandatemene altre”.

Sopravvivemmo a circa sei editor-in-chief, e ho perso il conto di sotto quanti editor passammo. Probabilmente quasi una dozzina e innumerevoli aiuto editor.

Normalmente, un nuovo editor vuole mettere il suo marchio su una serie, come un nuovo logo o un nuovo team creativo, ma loro andavano e venivano ed eravamo sempre Chris e io. E quando alla fine lui fu tolto dalla testata, a me mancava il ritmo del suo lavoro. I personaggi non suonavano più giusti. Così, passato un anno, fu tempo di andare. Non era più la mia squadra. Quando un progetto di Chris e Rick Leonardi da tempo rimandato tornò di nuovo d’attualità, all’incirca nel 2000, Ralph Macchio mi chiamò ed io ritornai.

Prof: Molto bello.

Sono stato assegnato a una serie intitolata X-Men Forever. La disegna Tom Grummett, e mi sembra proprio adatto. Credo si possa dire che sta a metà tra Dave Cockrum e Jim Lee. Comincia all’incirca da dove Chris lasciò la serie nel 1992, con lo stesso team, più o meno. Storm, Kitty e Scott non saranno morti e risorti un paio di volte o che diavolo è successo nei 15 anni trascorsi. A dire il vero, non ho letto un albo degli X-Men da quando me ne sono andato agli inizi degli anni ’90.

XmenForever1

Prof: Parlando con Joe Rubinstein, che credo sia all’incirca tuo coetaneo, mi diceva che veniva percepito come facente parte della vecchia guardia, a 50 anni, e si è trovato per un certo periodo senza lavoro. 

C’è una stranezza che permea i fumetti quanto tutto il resto. Quando arrivi a 50 anni diventi invisibile. E’ stato così per Frank Giacoia quando si trovò sorpassato dai tipi come Scott Williams e quelli che sono diventati Image attorno al 1990. Wayne Boring perse il suo lavoro su Superman quando aveva circa 50 anni. Non penso che Sheldon Moldoff durò oltre i 50-55 anni su Batman. Alla mia età sono contento di avere tanto lavoro quanto riesco a farne e anche un pochettino di più. Non sono più sugli albi che sono al centro dell’attenzione, ma gli assegni arrivano e, se devo scegliere, sì, desidero che il mio conto in banca resti stabile.

Prof: Assolutamente.

Todd Klein, Nate Piekos e qualche altro lavorano sui fumetti che hanno tutta la notorietà, tutta l’attenzione e, be’, non c’è niente da criticare in quello che fanno. Fanno un lavoro favoloso, e magari uno di questi giorni, se Todd e Nate saranno troppo occupati, magari riuscirò ad avere la prossima serie tipo Secret Invasion.

Prof: Be’, il tuo è certamente uno dei nomi più di spicco tra i tuoi contemporanei, su questo non c’è dubbio.

Già, probabilmente è il più famoso cognome polacco nel mondo del lettering. Nessuno riesce a pronunciarlo, ma lo riconoscono a vista.

Fine prima parte

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