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Pensierini sulla storiografia fumettistica

Sto terminando il mio primo corso di Storia del fumetto, all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Quello che più mi è costato fatica è stato raccogliere le immagini da mostrare. Per fortuna e per disgrazia esiste il Web. Per fortuna, perché rispetto ai tempi per scansionare dalla carta quelli del rinvenimento sul Web sono molto minori. Per disgrazia, perché per questa medesima ragione si è facilmente colti da una sorta di bulimia, e le immagini sembrano non bastare mai.

In effetti non bastano mai. Anche se a lezione su moltissime sorvoli, poi ti raccomandi con gli studenti (a cui le immagini vengono poi fatte avere) di guardarle tutte con attenzione. Non si impara la storia del fumetto senza guardare innumerevoli figure. In verità bisognerebbe leggere innumerevoli storie, e con questo guardarne ovviamente anche le figure. Però più di tanto agli studenti del primo anno non si può chiedere, e andrebbe già bene se si leggessero un po’ di storie (qua e là sono riuscito a metterne di intere, o grossi stralci), riuscendo comunque a riconoscere gli stili grafici, almeno per epoca e paese.

In sostanza, è stata una sfacchinata. Alla fine sono più di seimilacinquecento immagini. Ma è stata anche un’avventura visiva e un grande ripasso: per ogni immagine, ogni volta che potevo, ho cercato l’anno e il titolo della serie o della storia – oltre agli autori, ovviamente. Preso dalla verve storiografica, mi sono trovato anche a riflettere sul senso del fare storia del fumetto – non solo per insegnarla a un primo anno di Accademia, ma in generale.

Certo, capire il cambiamento delle condizioni di pubblicazione e di vendita è necessario, come necessario è capire che cosa sta succedendo nel mondo attorno ai fatti che studiamo, e l’età che hanno gli autori e dove si trovano e chi possono aver conosciuto. Tutto questo va tenuto presente, ma non costituisce il cuore di una storia che non voglia ridursi a essere un mero elenco di serie e graphic novel.

Mi sono ritrovato di fronte, recentemente, a un’interessante e cruciale presa di posizione già di Ferdinand de Saussure, circa un secolo fa. Il punto che sottolinea Saussure (e che sarà in seguito cruciale per lo strutturalismo) è che è sbagliato studiare la lingua (facendo il linguista) in termini storici, ovvero diacronici. Per capire il funzionamento della lingua, essa va studiata sincronicamente, nella sua struttura del presente. Solo quando io possiedo una sufficiente comprensione della struttura della lingua di oggi e di quella della lingua di ieri (anch’essa studiata sincronicamente) posso rimettere in gioco eventualmente la diacronia, comparandole, e facendo davvero storia della lingua.

Il fumetto non è una lingua. Non è nemmeno un sistema semiotico stabile. Vi sono delle ricorrenze e delle regolarità più o meno generali o locali. Essendo però uno strumento di carattere artistico, basato sul rinnovamento, e non sull’efficacia comunicativa, ogni testo fa struttura a sé, e andrebbe studiato come un piccolo sistema, una piccola struttura, una piccola lingua.

Solo quando avessimo una sufficiente comprensione della struttura di un sufficiente numero di testi a fumetti, potremmo incominciare a compararli, per trovare, da un lato, ancora sincronicamente, delle ricorrenze strutturali più generali, comuni a più testi, e per trovare anche, dall’altro, le trasformazioni storiche, le relazioni, le dipendenze, le innovazioni.

Kazuo Koike, Gosemi Kojima: Kozure Okami (Lone Wolf and Cub)
Kazuo Koike, Gosemi Kojima: Kozure Okami (Lone Wolf and Cub)

In altre parole, per fare davvero storia del fumetto (ma anche del cinema, della letteratura, dell’arte…) io dovrei prima di tutto analizzare a fondo una quantità di testi, e poi compararne il funzionamento complessivo, al di là delle singole somiglianze nel disegno, nella gabbia grafica, nello sviluppo narrativo. Potremmo scoprire allora, per esempio, che le stesse strategie di smarginatura (parziale o totale) delle vignette hanno un ruolo diverso in Koike e Kojima da un lato e in Miller dall’altro, quando pure è un fatto noto che lui le ha ricavate da loro; però mentre in Koike e Kojima la vignetta al vivo aumenta il respiro e rallenta il ritmo narrativo (perché tutto deve apparire lento e quasi sospeso), in Miller la vignetta al vivo ha un ruolo di creazione della continuità temporale e di spettacolarizzazione grafica della pagina, anche attraverso l’evocazione di una tridimensionalità che fa riferimento ai diversi tipi di transizione tra un quadro e l’altro che possiamo avere nel cinema.

Alla fine, scrivere una storia della letteratura a fumetti che non sia una breve storia, lavorando in questo modo, l’unico vero, sarebbe davvero un lavoro immane: ma non ci sono solo le storie universali a questo mondo! Si può lavorare anche sul piccolo, sul dettaglio, sulle specifiche transizioni.

Frank Miller Ronin
Frank Miller, Ronin

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