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Perché Topolino deve vivere il presente, caro Buttafuoco

«Mettiamola così: è un punto a favore dei tagliagola. Che l’edizione italiana di Topolino, il più bel settimanale in edicola, abbia oggi una copertina dedicata a Charlie Hebdo – la rivista satirica francese oggetto di uno spaventoso agguato stragista a opera dei fanatici fondamentalisti – è un cedimento alla strategia del terrore.»

Esordisce così Pietrangelo Buttafuoco in un articolo intitolato Se anche Topolino è Charlie, pubblicato sul Sole 24Ore ieri, primo febbraio, e relativo alla prossima copertina del settimanale Topolino, in edicola da mercoledì prossimo.

topolino
Stefano Turconi, Copertina di ‘Topolino’ n. 3809

L’attacco di Buttafuoco si concentra sul presupposto appiattimento del settimanale – descritto precauzionalmente come il più bello in edicola – sulle posizioni del pensiero unico e, tra le righe, su quelle di un terzomondismo ideologico e astratto, condito in salsa United Colors of Benetton. Che questa copertina possa essere criticata è ovvio, ma l’esercizio retorico del giornalista e scrittore siciliano è interessante da analizzare per comprenderne meglio le finalità strumentali.

Innanzitutto, come detto, Buttafuoco, si mette al riparo dalle critiche elogiando il settimanale, senza però specificare le motivazione del panegirico, forse per non tradire una scarsa conoscenza dell’argomento. Perché Topolino è il migliore settimanale italiano? Lo è in assoluto o all’interno del proprio settore di riferimento? Cosa lo configura come tale? La sua storia passata o quella attuale? Per puntellare questa prudente premessa Buttafuoco tira in mezzo Giulio Giorello «filosofo della scienza, l’unico titolato a spiegare Topolino». Alla faccia del pensiero unico. Perché mai Giorello sarebbe l’unico in grado di sviscerare un universo complesso come quello dei personaggi Disney? Non si sa perché Buttafuoco non lo spiega. Ma, si sa, se ci si appresta a parlare di opere di largo consumo, associare preventivamente una prestigiosa targa in ottone tirata a lucido come quella di «filosofo della scienza» torna sempre utile.

Niente da dire contro Giorello, il cui lavoro su personaggi e topoi relativi all’universo Disney non è certo iniziato ieri ed ha contribuito a sviluppare una riflessione seria intorno a questi argomenti, ma il suo contributo si concentra soprattutto sulle origini di questo mondo narrativo – americane e italiane. L’unica opera specificatamente dedicata all’argomento che l’autore ha dato alle stampe (assieme a Ilaria Cozzaglio), La filosofia di Topolino, oltre a concentrarsi solo sulle primissime strisce dedicate alla creatura di Walt Disney (e soprattutto Ub Iwerks), ha un approccio da “pop philosophy” che, oltre a suscitare più di un dubbio, può tranquillamente risultare parziale.

Con più onestà Buttafuoco avrebbe potuto citare un altro autore, Gianni Maritati, che ha dedicato un saggio all’immaginario Disney (Emozioni su Topolino. Il mondo Disney e i suoi valori da Biancaneve al Gobbo di Notre-Dame) e che, senza portare con sé la stessa prestigiosa eredità di quella offerta da un filosofo della scienza, sarebbe risultato di sicuro più allineato al suo pensiero:

Ma c’è una «visione disneyana del mondo»? Quali sono i valori che ispirano i personaggi e le storie di Walt Disney amati da tutte le generazioni, genitori e figli, nonni e nipoti? Se questa visione c’è, senza dubbio essa mette al centro di tutto la famiglia, sentita come realtà unica e irrinunciabile, fondata su un sentimento di coppia pulito, fedele, sempre aperto al miracolo della vita. La nostra esplorazione del mondo disneyano comincia proprio da qui, per poi affrontare un altro grande tema: l’amicizia. Un legame forte, nel mondo Disney, un legame che spesso soccorre l’assenza di una vera famiglia e aiuta i personaggi positivi ad affrontare l’inevitabile agrodolce della vita. Accanto all’amicizia, l’amore, esperienza inebriante ma anche impegnativa, che coinvolge il centro stesso della nostra esistenza e la schiude allo stupore dell’altro.

Maritati, giornalista di estrazione cattolica (il saggio citato è introdotto da una lettera indirizzata a Karol Wojtyła) e Buttafuoco, già militante di destra e di estrema destra, cadono nello stesso errore: considerare quello disneyano un universo granitico, praticamente immutato dal momento della sua apparizione fino ad oggi. Un universo che corrisponde ad un insieme di valori piuttosto conservatori, cristiani e filo occidentali, naturalmente. Un conservatorismo in cui Buttafuoco, così come altri prima di lui, sembrano identificare la vera forza del messaggio disneyano, cioè una resistenza rispetto al sopravanzare del pensiero debole e del relativismo. In altre parole, quando il giornalista afferma che «il mondo di Walt Disney è il mondo della ribellione per eccellenza» la ribellione di cui parla è una ribellione della tradizione nei confronti delle devianze della modernità, il confortevole focolare intorno a cui riunirsi che resiste al rimbombare caotico della modernità. Posizione su cui convergono, bisogna dirlo, pur partendo da presupposti diversi, molti dei lettori più conservatori e nostalgici del settimanale. Sorvolando sul fatto che Buttafuoco cade nel classico errore che porta a far coincidere la produzione disneyana con Walt Disney, così come Maritati butta in un unico calderone la produzione animata e quella a fumetti, ciò che ha fatto sì che le storie aventi come protagonisti Paperi&Topi resistessero così a lungo, continuando a suscitare discussioni e riflessioni, è un mix di elementi che coinvolgono l’immaginario dei principali autori all’opera su questi personaggi, la capacità di cavalcare se non anticipare la modernità e di essere sia conservatori che in una certa misura avanguardisti.

Del resto su Topolino&Co. si è detto di tutto, analizzandoli e attaccandoli da qualsiasi posizione ideologica. Topolino è stato considerato per lungo tempo il più tipico rappresentante dell’ottimistico borghese statunitense post New Deal. Alessandro Barbera ha messo in risalto le coincidenze e le similitudini del pensiero conservatore di Walt Disney con quelle del “nazismo magico”. Ariel Dorfman e Armand Mattelart hanno condotto, da posizioni marxiste, una profondamente critica lettura di Paperino in Come leggere Paperino; posizione poi parzialmente ribaltata e corretta nel più interessante Carl Barks il Signore di Paperopoli. Zio Paperone e la critica della modernità di Thomas Andrae, che invece collega l’opera di Carl Barks ad un messaggio anticapitalista, venato di nostalgie primitive. Ma quello che rende i personaggi disneyani così interessanti è che, in ultima analisi, nessuna di queste ipotesi può essere del tutto smentita. La «ribellione per eccellenza» a cui fa riferimento Buttafuoco, dovrebbe essere considerata questa.

Restringiamo il discorso alla produzione Disney italiana, che è riuscita a restare attuale proprio perché non ha mai rinunciato del tutto a criticare la modernità, anche con una certa attitudine moralista e luddista persino. Quelle prodotte dai Disney italiani sono quasi sempre, nei casi più riusciti, favole morali, impreziosite e mitigate da un’abbondante dose di anarchia e bizzarria che non hanno risparmiato nessuno (o quasi): i classici della letteratura, i politici della Prima Repubblica, l’assurdità di alcune grandi opere, l’arte moderna, il femminismo, il movimento beat etc… Sono questi gli elementi che hanno fatto di Topolino una istituzione. Negli ultimi anni, complici sia scelte editoriali sbagliate sia il rafforzamento dell’esportazione del prodotto in ottica multinazionale, l’attualità – in particolar modo l’attualità nazionale – è rimasta fuori fuoco. Solo da poco la realtà ha ricominciato a bussare alle porte del settimanale. Intanto, però, il mondo è cambiato, si è fatto più più veloce, più globale e multiculturale, per concludere con due aggettivi che a Buttafuoco farebbero probabilmente venire l’itterizia. Di questo sembra lamentarsi il giornalista nel suo polemico e superficiale articolo, del fatto che Topolino, come nei suoi anni migliori, stia agendo nel presente e nella modernità, invece di abbarbicarsi in quel nostalgico e un po’ paternalista conservatorismo che lo scrittore vedrebbe calzargli a pennello.

Eppure è possibile anche appoggiare in parte le tesi di Buttafuoco. In risposta ad un terrore cieco e indifferente al dialogo sarebbe stato forse auspicabile un altrettanto indifferente silenzio o, per lo meno, una minimizzazione, atta a disinnescare l’attentato. La paura si alimenta di paura e ridurre l’eco mediatica successiva alle stragi avrebbe di certo impedito che i gruppi fondamentalisti ad esse collegate ne traessero vantaggio in termini di visibilità. Naturalmente, questo, specialmente nel mondo di oggi, è assolutamente impossibile e allora qual è l’idea di pedagogia di Buttafuoco?

«Manca poco e, assecondando la tirannia del pensiero unico a vocazione pedagogica, arriveranno le copertine arcobaleno affinché le sensibilità Lgbt possano radicarsi al resto dei dispotismi psicologici reclutando giovani pionieri tra i piccini. Se vale la lectio di Giulio Giorello – filosofo della scienza, l’unico titolato a spiegare Topolino – il mondo di Walt Disney è il mondo della ribellione per eccellenza. Quei fumetti dai colori pastello, con la matita in pugno, infatti, non meritano di ricalcare la posa di Julie Gayet, l’amante di François Hollande, con le matite nello chignon. Mettiamola, quindi, così: ridurre Topolino, in una palestra dell’ovvietà, ci priva dei fondamentali anticorpi, quelli dell’immaginazione. L’orrore ridotto a pretesto della convenzionalità bohémien è solo un regalo al Califfo.»

Di che fantasia si parla e di cosa dovrebbe nutrirsi? Qual è l’idea di pedagogia di Buttafuoco se non quella che si muove nel senso di un’epurazione, di un distacco paternalistico rispetto al reale, che applica una logica riduzionista che in fondo è la stessa dei libri che propongono “le 100 pagine migliori di Moby Dick” o che eliminano i brani scomodi dai classici della letteratura? Si noti la retorica, spesso autocontradditoria, di cui si nutre la prosa dell’autore: le «camerette» segnate dal sangue, il «sentimentalismo», la «fantasia sporcata», i «colori pastello». La contrapposizione fra una presupposta ma mai dichiarata purezza dell’infanzia – a sua volta una pericolosa e ideologica astrazione – e un’aggettivazione che evoca lo sporco, lo «spurgo» e il sangue.

Tutto questo per mascherare la vera tesi dell’autore, non che un’iniziativa come quella del settimanale possa essere in realtà asservita agli scopi degli stragisti ma piuttosto che un’apertura di questo tipo al reale possa servire da testa di ponte per “contrabbandare” nell’immaginario dei più piccini un’ideologia invisa allo stesso Buttafuoco, qui esemplificata e riassunta nelle rivendicazioni della comunità Lgbt. Come se invece il nascondere, il celare il mondo, oppure proporne una sola, consolatoria, faccia non fosse al tempo stesso un atto di terrorismo ugualmente grave e, allo stesso tempo, inattuale. Il mondo, infatti, non comunica, non si manifesta – ma lo ha mai fatto? – solo attraverso i maggiormente protetti canali dei prodotti destinati all’infanzia. Il mondo è.

Cosa avrebbe dovuto fare la redazione del settimanale? Nascondersi dietro una muta facciata mentre slogan, certo abusati, come Je Suis Charlie riecheggiavano in ogni dove? Sarebbe stato possibile? Sarebbe stato utile? La copertina in questione, inoltre, non è stata certo la prima iniziativa che Topolino ha varato in collegamento ai fatti di Parigi. La pagina facebook della rivista aveva osservato una giornata di silenzio, il redazionale della direttrice Valentina De Poli immediatamente successivo all’evento era stato pubblicato vuoto, come un cordoglio. Si possono rimproverare tante cose a questa copertina. Ad esempio la si può trovare troppo ottimista (eppure ci sarà tempo per il cinismo e la disillusione), si può obiettare che altrove simili questioni, su pubblicazioni (quasi) omologhe sono state trattate con ben altro approfondimento (vedi QUI, ma ogni personaggio, ogni universo, ogni realtà industriale dell’intrattenimento ha una propria, specifica identità) eppure quel gesto muto, quelle mani alzate, quei volti sorridenti, offrono probabilmente la migliore mediazione fra un incomprensibile silenzio e una più netta e articolata presa di posizione. E fa piacere che ci sia.

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