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FocusProfiliFumetto popolare e omosessualità, oggi (3): intervista a Luca Enoch

Fumetto popolare e omosessualità, oggi (3): intervista a Luca Enoch

Chiudiamo oggi, con questa terza conversazione, una breve serie di interviste con cui abbiamo provato a indagare un tema tanto classico quanto ancora piuttosto ‘invisibile’ nel fumetto popolare: la rappresentazione di personaggi e temi omosessuali e glbt. Dopo avere raccolto le idee di Gianfranco Manfredi e di Antonio Serra, oggi tocca a Luca Enoch, creatore per Sergio Bonelli Editore di Gea, Lilith e della serie fantasy Dragonero. Un autore che ha mostrato – sin dai suoi anni pre-Bonelli con il cult Sprayliz – una sensibilità spiccatamente gay-friendly, inserendo con grande naturalezza personaggi gay o lesbiche, tenendosi ben lontano da ritratti macchiettistici. Proprio per questo, il suo punto di vista non poteva mancare, e per l’occasione pubblichiamo una conversazione che riprende e aggiorna quanto Enoch aveva espresso sul tema già nel 2007, nel corso di un’intervista concessa al mensile gay Pride.

srayliz

Kate in Sprayliz o Sigfrido in Gea, per non dire di vari comprimari, hanno mostrato la costanza del tuo interesse per i personaggi gay e lesbici. È cambiato il tuo approccio nei confronti dell’argomento, in questi anni?

Non so dire se sia cambiato. Sono passati più di vent’anni dalle prime avventure di Sprayliz e sicuramente sono cambiato io. È cambiato l’atteggiamento dell’entertainment nei confronti dei gay. Ad esempio, all’epoca lo stereotipo del “gay migliore amico della ragazza innamorata di un altro” non aveva ancora fatto capolino nel cinema e nella televisione. È cambiato anche l’atteggiamento della stessa comunità gaylesbica nei confronti di alcuni suoi membri: all’epoca  ricordo che i bisex non erano visti di buon occhio e venivano considerati come persone che tenevano il piede in due staffe, che non sapevano prendere una posizione netta, mentre oggi si parla tranquillamente di “comunità glbt” (gay, lesbica, bisessuale e transgender). E grazie alla libertà concessa da internet, una mia striscia a tematica lesbica, Daphne&Cloe, è approdata anni fa sul sito fuorispazio.net, anche se ora non è più disponibile.

Il personaggio di Sigfrido in Gea è molto simpatico e per nulla stereotipato, però sembra aver suscitato meno interesse rispetto al clamore che provocasti col personaggio di Kate. Per quale motivo, dal tuo punto di vista?

Forse perché allora Kate era una vera novità, nel mondo del fumetto. Non era la classica sexy-eroina etero che non disdegnava un amore saffico, ma una lesbica convinta, lontana dagli stereotipi imperanti allora, che le volevano maschi mancati. Sigfrido arriva dodici anni dopo e, pur avendo avuto apprezzamenti da lettori gay per questo personaggio, i media non se lo sono filato. Meglio così: lui è un tipo che non ama i riflettori…

Parlando di Kate, hai mai cercato di prendere le distanze dal tipico approccio al personaggio lesbico che piace agli etero, rispetto al suo ruolo in Sprayliz? Ossia: sei mai stato attaccato per come hai gestito il punto di vista lesbico-femminile, oppure ti è venuto naturale ed è stato sempre ben accolto?

Vent’anni fa ebbi solo commenti positivi da parte della comunità glbt. Il personaggio di Kate era ispirato a quello di Cay del bel film “Cuori nel deserto” di Donna Deitch. Avere un personaggio femminile bello, sicuro di sé e sessualmente aggressivo – che nello stereotipo imperante all’epoca “avrebbe potuto avere tutti i ragazzi che voleva”  e che viveva la sua omosessualità in modo intraprendente e senza complessi – piacque a tutti.

Una volta arrivato in Bonelli, hai avuto difficoltà a far passare  personaggi – peraltro ricorrenti – come il disabile Leo e il gay Sigfrido? Inoltre, non sono mancate frequenti scene di sesso e di nudo (anche maschile) nelle storie di Gea e Lilith.

Nessuna difficoltà per Leo e Sig. Sono due personaggi originali, ma per nulla disturbanti. Non vado a giocare sporco, insistendo sul pietismo per l’handicappato o sul pruriginoso per l’omosessuale. Quindi nessuno in redazione si è infastidito, perché hanno capito che mi sono accostato a questi personaggi cercando di evitare i luoghi comuni e con rispetto. Oddio, visto come Gea trattava Leo, forse “rispetto” non è la parola giusta… Per il sesso e il nudo, invece, occorre sempre dosare humor e ciccia.

gea

Hai ricevuto proteste da parte dei lettori di Gea, per questo approccio al fumetto popolare certamente coraggioso?

Direi solo apprezzamenti. Ci sono stati un paio di lettori che mi hanno accusato di giocare col pietismo e i buoni sentimenti, ma l’evoluzione dei personaggi di Leo e Sig sta lì a dimostrare il contrario. Carta canta.

Il mondo glbt, invece, come ha reagito?

All’epoca di Liz la comunità lesbica fu attenta al personaggio ed ebbi molti attestati di stima. Con Sigfrido, a parte i singoli lettori, non c’è stato alcun riscontro da parte della comunità gay. Forse perché Bonelli è troppo mainstream per i loro gusti, mentre Sprayliz era più alternativa? A questo non so rispondere.

Le tue storie sono spesso un amalgama riuscito di avventura e attenzione a temi ‘sensibili’. Qual è il segreto per evitare il didascalismo e l’effetto “predica edificante”?

Vallo a sapere. Non credo di possederlo, forse; infatti, rileggendo i miei  fumetti, trovo spesso che l’intento esplicativo è risultato preponderante su quello narrativo, col risultato di ottenere polpettoni didascalici molto poco fruibili. Ma questi sono limiti miei come sceneggiatore che tento costantemente di smussare.

Hai trovato spazio per altri personaggi gay o lesbici anche nelle tue storie a fumetti extra-bonelliane?

Di solito non “pianifico” di inserire personaggi glbt nei miei fumetti: sarebbe come ragionare a tavolino preparando gli ingredienti per un cocktail. Ma non si scappa: di qualunque umanità io parli, a qualunque latitudine e in qualunque epoca io collochi la storia, c’è sempre quel ricco dieci per cento che mi aspetta al varco. Nella storia che io e Maurizio Di Vincenzo (ai disegni) abbiamo preparato per la Francia nel lontano 2007 – Rangaku – ambientata nel Giappone del 1600 e che vede protagonisti un medico olandese e un samurai di lungo corso, ho trattato anche di un amore gay, quello tra un samurai e un onnagata (l’attore che nel teatro Kabuki interpreta i ruoli femminili). Peccato che la storia si sia fermata al primo dei due volumi previsti, a causa dei problemi economici dell’editore Les Humanoïdes Associés. Per quanto riguarda Bonelli e Lilith, invece, nel numero 2, “Il vessillo di Re Morte”, ha fatto la sua comparsa un pirata omosessuale.

Dopo la scomparsa di Sergio Bonelli e nell’ambito del rilancio che sta impegnando la casa editrice, credo che nei fumetti che escono da via Buonarroti permangano comunque varie resistenze a proposito della rappresentazione dell’omosessualità. La tua attenzione a questi argomenti sembra perciò un’eccezione, ed è come se tu avessi lavorato (e lavorassi ancora?) in una specie di riserva indiana. Senza dover rendere conto dell’approccio dei colleghi, puoi raccontarci qualcosa dell’atmosfera che hai respirato a proposito della questione gay, quando Sergio era in vita?

Posso solo parlare per me, come hai anticipato. Per quanto mi riguarda, la presenza di personaggi omosessuali nelle mie storie non è un ingrediente da usare per insaporire il racconto, renderlo più trasgressivo o più alla moda, a seconda delle contingenze. Deve avere un senso nell’economia del racconto. Per questo in Lilith c’è stato solo uno sporadico riferimento all’omosessualità “di situazione”, come nella realtà era il matelotage tra i pirati. Avendo solo un episodio per raccontare l’avventura ambientata in un particolare segmento temporale, non ho mai avuto tempo di inserire una figura gay interessante. Diverso discorso per la trilogia finale di Lilith, che sarà ambientata tutta nel nord America in piena distopia; lì avrò agio per tratteggiare una tormentata relazione tra un samurai e un onnagata, proprio quella che non ero riuscito a sviluppare adeguatamente in Rangaku. Tornando alla domanda, devo dire in tutta sincerità che le discussioni che ho avuto con Sergio Bonelli a proposito dei contenuti delle mie storie non hanno mai riguardato il tema dell’omosessualità. Non ci sono stati malumori né tanto meno richieste di moderarsi o addirittura di evitare certi argomenti. Ho potuto abbozzare il personaggio di Sigfrido senza alcuna ingerenza da parte dell’editore.

Può anche essere che agli altri colleghi la cosa non interessi, e questo fa parte delle libere scelte narrative di ogni autore. Non è un argomento obbligato. Io creai il personaggio di Kate in Sprayliz nel ’92 perché ero stufo delle macchiette che ci venivano propinate dai cinepanettoni e dall’intrattenimento popolare, con i gay effeminati e imbelli e le lesbiche mascoline e cozze, e volevo costruire un personaggio non stereotipato, forte e vincente. Ma in vent’anni l’atteggiamento verso i gay è molto cambiato. Oggi anche l’intrattenimento mainstream – quello che viene dall’estero, bisogna dire – presenta figure piacevoli e rassicuranti di gay (mi viene in mente la serie tv Glee, dove abbiamo dei bei giovanotti gay che piacciono un sacco alle giovani spettatrici), tanto che le ragazze oggi li trovano “così carini”, rischiando però di cadere in altri stereotipi. Il fumetto Bonelli è narrativa popolare e non vedo impedimenti perché anch’esso possa adottare, in futuro, atteggiamenti più rilassati di fronte al mondo omosessuale.

gea

Forse la tua è una condizione privilegiata, in un certo senso: Lilith è un fumetto più autorialmente personale di altri analoghi bonelliani, mentre chi lavora a icone monolitiche come Tex o Dylan Dog (soprattutto prima del rilancio), non se lo può permettere, specie in questa fase di crisi di vendite.

Io ho il mio angolino del matto, bisogna dirlo, ma in Bonelli non mi sono stati dati limiti espliciti e nemmeno “velati consigli” di prudenza. Mi sono concesse cose che nelle serie ufficiali non si vedono, come la costante nudità di Lilith e la disordinata promiscuità sessuale di Gea. La dimensione autoriale di questa nicchia editoriale mi aiuta a osare di più, questo è certo, ma non è detto che non si possa caratterizzare come gay, ad esempio, un personaggio coprotagonista in Dragonero. No, non si tratta di Gmor, il quale frequenta con assiduità le “tende del sudore” delle orchesse, anche se la cosa non appare nelle storie. Verrà fuori in una delle prossime storie e anche nel romanzo di Dragonero che sto ultimando per Mondadori.

Pensi che col nuovo corso col figlio Davide la prudenza su certi argomenti rimarrà?

Posso dire che vedo continuità tra Sergio e Davide, e lo dico in senso positivo. L’intenzione di produrre narrativa popolare di qualità con scrittori e disegnatori di grande professionalità rimane inalterata, così come la consapevolezza di rivolgersi a un pubblico vasto e con opinioni differenti su differenti argomenti. Il giorno che qualcuno in casa editrice mi verrà a dire che non posso creare e sviluppare personaggi gay, allora potrò dire che è qualcosa è cambiato in Bonelli, e in peggio. Ma al momento non mi è successo nulla di simile.

Un parere su una delle interviste che hanno preceduto questa. Perché la conversazione con Antonio Serra, sebbene abbia toccato un tema – la crisi del mercato fumettistico – secondario rispetto a ciò di cui abbiamo parlato oggi, ha suscitato interesse ma anche perplessità. Premesso che il “pessimismo” di Serra sul futuro della formula di fumetto popolare bonelliano è noto da tempo, cosa pensi in proposito? È giusto avere dubbi sul perpetuarsi di questo modo di fare fumetti, visti i dati di vendita sempre meno incoraggianti, oppure ritieni che la Casa editrice si sta muovendo in una direzione di rinnovamento adeguata per trovare nuovi lettori, o almeno per non perdere quelli attuali?

Antonio è la persona che mi permise di entrare in Bonelli, accogliendomi nello staff di Legs Weaver dopo la chiusura del tascabile di Sprayliz della Star Comics. Lo conosco quindi da molto tempo e gli ho sempre sentito fare questi discorsi sull’Apocalisse prossima ventura. Di come noi fumettisti saremmo tutti morti di lì a poco e, al più, di come ci saremmo ritrovati tutti insieme attorno al fuoco in un bidone sotto i ponti, eventualità da non escludere 😉

La casa editrice milanese sta ora vivendo un periodo di grande cambiamento. Semplicemente, si può subirlo e lamentarsi di come le cose stiano andando a rotoli e di come si stava meglio prima, oppure diventarne parte attiva con idee, proposte o anche “solo” cercando di rinnovarsi dal punto di vista professionale, che poi è la cosa più difficile per chi si è abituato da anni a una produzione in serie. E mi ci metto anch’io, nella categoria.

Forse il tuo approccio più autoriale e libero, già con Gea e ora con Lilith, è già l’anticipazione ben rodata di una formula meno generalista e più specialistica di fumetto? Potrebbe essere una strada da percorrere in futuro, trovando un pubblico meno ampio, ma più appassionato?

Avendo avuto da quasi subito la possibilità di scrivere e gestire i miei personaggi, di farli crescere e portare avanti le loro storie come meglio credevo, sono sempre stato stimolato a leggere, trovare spunti narrativi e iconografici per le mie creature. Ho avuto modo di poter esprimere sulla carta anche le mie personali idee sociali e politiche, nel senso più generale del termine, cosa che ha allontanato una parte del pubblico generalista bonelliano e ne ha fidelizzato un’altra. Posso perciò dire che sì, ho personalmente sperimentato la creazione di una pubblicazione “di nicchia”.

Se è evidente che parlare di omosessualità nel fumetto popolare è problematico, ti sei imbattuto in fumetti di altri editori, italiani e no, che secondo te hanno trovato il modo ideale per parlare di questi argomenti, sempre all’interno del fumetto d’avventura (o supereroistico, o altro)?

Non ne ho incontrati molti, a dire il vero: non leggendo più i supereroi non conosco il fenomeno del politically correct gay. E i pochi che ricordo non sono nel fumetto di avventura. Mi piacciono molto i personaggi gay tosti e tamarri di Ralf König. L’ispettore Mackeroni de Il condom assassino è un personaggio riuscitissimo, hard boiled gay! Così come mi è davvero simpatico Paul, il piccoletto ruvidissimo e sboccato di Super Paradise e di altri albi. Quello che funziona in quelle storie divertentissime è il contrasto tra il mondo etero che, nella sfera socio-sessuale, vive di stereotipi ed esclusioni e i personaggi gay (termine che io non considero nella sua traduzione di “gaio, allegro” ma per il valore ideologico del suo acronimo Good As You) che sono mostrati in un ampio ventaglio di personalità –  il prepotente, il timido, il porco, il raffinato, il vanesio e il truzzo – che possiamo tranquillamente ritrovare anche nel maschio medio eterosessuale.

Hai già in mente quale sarà il fumetto che sostituirà Lilith? Ci sarà spazio per argomenti e temi glbt? E ti interesserà ancora esplorare il punto di vista femminile, visto che lo pratichi così bene?

Ho in mente diverse cose che vorrei fare dopo Lilith, non ultimo scrivere e disegnare delle storie di Dragonero. Non so se ci sarà ancora spazio per serie come Lilith e Gea nel nuovo corso bonelliano. Ora si pensa a progetto, come è giusto per una casa editrice che voglia investire prima sul fumetto e poi sulle produzioni televisive e cinematografiche. Sono d’accordo con Gianfranco Manfredi quando dice [in questa intervista, NdR] che non serve precisare la sessualità di un personaggio, se la sessualità non fa parte del racconto, altrimenti si rischia di creare una macchietta o di produrre qualcosa di forzato e artificioso. Quindi, quale che sarà la mia nuova serie, la presenza di personaggi omosessuali dipenderà da molti fattori. A pelle, oggi mi verrebbe di contrastare il nuovo trend del gay carino e amicone della protagonista di turno, con un personaggio rozzo e laido, un vero “spaccaculi” – detto con tutto il rispetto per la delicata zona perineale – che però compete con i maschi etero in quello che molti uomini considerano ancora uno spazio sacro della “vera virilità”, ovvero lo sport agonistico. Non posso poi che confermare il mio interesse per i personaggi femminili. Per citare Sanguineti, “femmina penso, se penso una gioia: pensarci il maschio, ci penso la noia”. Un personaggio lesbico bello e “naturale”, ad esempio, è la poliziotta Kima della strepitosa serie televisiva The Wire. Magari riuscissi a tratteggiare in modo originale un personaggio del genere!

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Hai già detto del personaggio gay in Dragonero, romanzo e serie a fumetti. Cosa pensi degli scenari fantasy, riguardo alla possibilità di inserire argomenti – personaggi – glbt: credi che siano più accettabili le diversità sentimental-sessuali in contesti narrativi così slegati dal racconto classicamente bonelliano?

Il genere fantasy è narrativamente più libero di altri generi di avventura classici: penso al western. Uno si può tranquillamente immaginare una società impostata come il Giappone feudale, che aveva allontanato la fede Cattolica, da sempre ostile all’omosessualità – nel Vecchio Testamento si dice che effeminati e sodomiti vanno ammazzati, non dimentichiamocelo, e anche nel Nuovo è scritto che essi non verranno ammessi al regno dei cieli – società in cui la condizione omosessuale non è condannata né biasimata. Ho in mente personaggi apertamente omosessuali nel ciclo del Trono di Spade di George Martin, ben tratteggiati, con una spiccata personalità e la cui sessualità ha un ruolo importante nello svolgimento del racconto. Nel romanzo di Dragonero che sto scrivendo per Mondadori e che verrà presentato alla prossima Lucca Comics&Games, in un capitolo introduco, ad esempio, una società matriarcale di feroci guerriere che utilizzano i maschi solo a fini riproduttivi. Chiaro che in una società tratteggiata in questo modo i legami affettivi delle guerriere saranno unicamente tra donne.

Ti sei dovuto scontrare col co-creatore Stefano Vietti da questo punto di vista, oppure avete trovato un accordo onorevole su questo e altri argomenti? Come vi dividete esattamente i ruoli ai soggetti e alle sceneggiature?

Vietti e io discutiamo di ogni soggetto, prima di entrare nella fase di sceneggiatura; questo per dare una coerenza solida a tutto il mondo che stiamo costruendo. Per le storie importanti il soggetto lo scriviamo a quattro mani, scambiandocelo via mail fino a quando è messo a punto. Poi ognuno realizza la sceneggiatura singolarmente, che viene letta dall’altro una volta ultimati i disegni. Per il momento ci siamo trovati in accordo su tutto, compresa la caratterizzazione del comprimario in chiave omosessuale. Ci sono cose su cui non abbiamo trovato un accordo, come è naturale.  A lui, ad esempio, non piace l’idea che le donne dei Nani abbiano la barba, mentre io me le immagino tutte belle barbute in un’allegra confusione di genere, come nei divertentissimi romanzi del Mondo Disco di Terry Pratchett. E quando a uno dei due autori  non piace un’idea, questa viene accantonata.

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