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FocusProfiliIntervista a Kaare Andrews, nuovo autore di Iron Fist

Intervista a Kaare Andrews, nuovo autore di Iron Fist

Scrittore, disegnatore e regista, il canadese Kaare Andrews è un fumettista dai molteplici talenti. Il suo ultimo progetto è la mini-serie in 12 numeri Iron Fist: l’Arma Vivente, per cui ricopre il ruolo di sceneggiatore, disegnatore, inchiostratore e colorista.

Lo abbiamo incontrato a Napoli in occasione del Comicon, per chiaccherare un po’ di questa mini-serie, il cui primo numero è uscito in Italia a maggio per Panini Comics, e di tante altre cose.

All’intervista ha collaborato Andrea Fiamma.

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Ok, partiamo da un argomento che so starti molto a cuore: il tuo lavoro di regista. Ho parlato poco fa con Nicola Peruzzi (coordinatore editoriale di Panini Comics) e mi ha raccontato che sei recentemente stato a Santo Domingo per tre mesi per realizzare alcune riprese. Cosa stavi combinando? Con le tempistiche strettissime che il lavoro di fumettista richiede, come fai a mettere in pausa il tuo lavoro per lassi di tempo così ampi?

Generalmente riesco a fare entrambe le cose, film e fumetti, allo stesso tempo, perlomeno finché il film non entra in produzione. In quel momento mi fermo coi fumetti, solitamente per quasi un anno, 10 mesi. Girare un film è un lavoro troppo intenso, quindi niente fumetti in quel periodo, assolutamente.

Sono stato a Santo Domingo per qualche mese a girare, poi ci sono stati sei mesi di post-produzione e quando ho finito ero pronto per re-iniziare coi fumetti. Ho parlato con la Marvel – che è stata gentile a lasciarmi fare le mie cose – ho incontrato Axel Alonso, che mi ha chiesto cosa mi andasse di fare adesso che ero tornato. Mi ha proposto di lavorare sul rilancio di cinque diversi personaggi – non mi ricordo quali, c’erano dentro gli Inumani e ovviamente Iron Fist. Mi ha chiesto se fossi interessato a lavorare su qualcuno di loro e io ho risposto di sì per Iron Fist, anche se non era un personaggio che conoscevo bene quanto Spider-Man. A parte il lavoro di Fraction e Brubaker, perché aveva ricevuto un’ampia copertura e se n’era parlato molto. Però non avevo mai letto gli albi originali storici.

Parli di quelli di Roy Thomas e Gil Kane?

Sì, quindi ho subito sopperito alla lacuna.

Non avevi mai letto nemmeno il ciclo di Chris Claremont e John Byrne?

Anche le loro storie le ho lette prima di mettermi al lavoro. Ho letto due volte praticamente tutto quello che sia mai stato scritto del personaggio, ma le storie che mi hanno ispirato sono quelle originali. Erano così folli, così dark, mi hanno dato un sacco di idee su quello che volevo fare con il personaggio. Alla fine ho presentato una di queste idee alla Marvel e loro l’hanno accettata.

A proposito di idee particolari. Faccio un lungo passo indietro. La prima volta che ho letto qualcosa di tuo, era una storia presa da X-Men Unlimited con protagonista Illyana Rasputin, una scelta abbastanza particolare. Era stata un’idea della Marvel o era qualcosa che proveniva da te?

Parli della storia con la jam-session di disegnatori?

Sì, quella!

Ogni tanto la Marvel se ne esce con qualche idea e viene da te e ti dice ‘Ehi, Kaare, abbiamo qualcosa per te, sei interessato?’ e tu gli dici sì o no. Altre volte sei tu che vai da loro con qualcosa in testa.

In quel caso com’è andata?

Ho sempre amato le jam-session di disegnatori, come fanno i musicisti nel jazz, genere che adoro. Un editor mi contattò e mi chiese se avessi qualche storia degli X-Men in testa che mi sarebbe piaciuto realizzare. Io gli risposi che mi sarebbe piaciuto fare un albo collettivo e lui mi rispose semplicemente ‘OK’.

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Quindi la scelta di Illyana come protagonista è tua?

Sì, sono sempre stato innamorato del suo personaggio. In realtà ho sempre adorato tutti gli X-Men, soprattutto quelli classici di Claremont, Byrne e Dave Cockrum.

La cosa che mi ha davvero fatto felice di questa storia, è stata la possibilità di portare alcuni ottimi disegnatori a lavorare tutti insieme e a creare un’atmosfera unica: Joshua Middleton, al suo primo lavoro per la Marvel – sì, gli ho procurato il suo primo lavoro in Marvel! –, Skottie Young, Mike Kunkel, Troy Nixel. Tutti disegnatori che adoro, e nel caso di alcuni era il primo lavoro con la Marvel.

Ti è capitato di leggere gli X-Men di Bendis? Illyana è una delle protagoniste principali, ma non mi piace molto la nuova versione ‘stronza dal cuore di ghiaccio’. Sembra soltanto Emma Frost n°2.

È un peccato! No, non li ho letti in realtà. Mentre stavo scrivendo le storie di Iron Fist, non ho letto molta roba nuova, a parte le storie di Spider-Man. Nell’ultimo anno e mezzo ho letto molta roba vecchia per trovare ispirazione. Ho iniziato a leggere il Moon Knight di Ellis recentemente.

Cosa ne pensi di questo nuovo approccio della Marvel ai propri personaggi? Ci sono miniserie di altissima qualità dedicate a personaggi ‘minori’ come Occhio di Falco, Moon Knight, la Vedova Nera, il Soldato d’Inverno, lo stesso Iron Fist. Ti piace questa tendenza?

Penso che uno dei più grandi tesori in possesso della Marvel sia il suo universo di personaggi incredibili. Talvolta interagiscono fra di loro, talvolta no, ma hanno quasi tutti qualcosa da dire. Tant’è che comunque Vedova Nera e Occhio di Falco hanno parti consistenti anche nei film e Iron Fist ha una serie televisiva a lui dedicata in produzione.

Ci sei coinvolto in qualche modo?

No, non sono coinvolto.

Peccato.

Eh sì, sarebbe divertente.

Non quando andare a girare a Santo Domingo, suppongo.

No di certo [ride].

Comunque ho sempre adorato i personaggi secondari. Penso che uno dei miei personaggi preferiti di sempre sia Dakota North, ne hai mai sentito parlare?

Chi?

Dakota North, le dedicarono una mini-serie negli anni ’80, era questa ragazza coi capelli rossi, proprietaria di un’agenzia di investigazioni privata, piena di passione per il suo lavoro.

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Ma è della Marvel?

Sì.

Ho sempre creduto di essere uno dei più grossi Marvel Zombie sulla terra, ma questa non l’ho mai sentita.

Sì, non è propriamente molto conosciuta, ma non so per quale ragione mi è sempre piaciuta molto la miniserie di cinque numeri che le dedicarono negli anni ’80 e mi piacerebbe lavorarci sopra.

Ho adorato anche un’altra miniserie dagli anni ’80, una roba folle che raccontava la storia di un gruppo di volontari che si era sottoposta ad alcuni esperimenti alieni per ottenere dei poteri da usare per salvare la Terra. Il prezzo da pagare era che sarebbero tutti morti entro un anno.

Ci sono così tante storie da raccontare con i personaggi Marvel.

Sei sia scrittore che disegnatore delle tue storie. Come funziona? Scrittura e disegno sono due processi separati o alla fine si mischia tutto?

Si mischia tutto. Parto da una traccia scritta e inizio a disegnare, mi accorgo di voler disegnare una particolare cosa e quindi vado a modificare la sceneggiatura. Oppure quando realizzo i layout, inizio a inserire i dialoghi e mi accorgo che qualcosa non funziona e allora vado a riscriverli. Ogni passaggio influenza quello successivo o precedente. Quando inchiostro, modifico le mie matite; quando coloro, cambio la mia inchiostratura; cambio le storie. Alla fine l’albo viene letterato e magari torno a modificare la sceneggiatura, perché c’è qualcosa che non suona bene o ci sono troppe parole. Quando sei il responsabile di tutto, non funziona per compartimenti stagni. Posso continuare a cambiare le cose. Se sto disegnando il terzo numero e non ho ancora chiuso il primo, posso tornare indietro e cambiarlo, per esempio se ho un’idea per il terzo albo che deve essere però preparata negli albi precedenti. È una cosa molto divertente da fare.

Quanto tempo ci impieghi a realizzare un albo? Se non sbaglio al momento sei l’unico autore alla Marvel a occuparsi di tutto, sceneggiatura, disegni e colori. Forse c’è Skottie Young con Rocket Raccoon, ma non so se colori da solo i propri disegni.

Skottie ha colorato per i primi albi, poi ha passato il compito. Io invece non sono furbo come lui. [ride]

Sai, è dura, è un sacco di lavoro, è davvero duro fare tutto. Capisco perché le altre persone hanno chi le aiuta. Credo di essere il primo autore Marvel di sempre ad aver scritto, disegnato, inchiostrato e colorato 12 numeri di una serie. Non credo sia mai successo. Anche se è adesso è un po’ più veloce con gli strumenti digitali. Io li uso per crearmi una struttura in ogni area di lavoro per risparmiare tempo. Se grazie al digitale posso risparmiare il 5% del tempo in ogni passaggio, alla fine è un risparmio del 20% in totale.

Poi ci sono altri accorgimenti. Per esempio non scrivo mai una sceneggiatura completa, parte di essa rimane nella mia testa. Delle volte non ha senso per me tradurre in parole un’idea visiva che ho in testa. Parto e la disegno e basta. Oppure sviluppo i disegni finali partendo direttamente dai layout. Al mio editor basta che lo tenga informato su come vanno le cose e che il prodotto finale sia fatto bene.

Ok, gioco delle citazioni. “Le vere arti marziali non riguardano un unico stile perfetto. È la combinazione di diversi stili che ti rende perfetto”. Immagino l’avrai riconosciuta, visto che è una cosa che hai detto tu. Stavi parlando di te stesso? Secondo me il concetto si applica bene al tuo approccio ai fumetti, che è sempre stato vario, viaggiando (e mischiando) da uno stile più realistico a uno più cartoonesco, con le anatomie esagerate. Che differenze ci sono tra te e il Kaare Andrews degli esordi? Cosa hai imparato in questi anni?

Credo di aver sviluppato molto la mia arte nel corso del tempo. Non avrei mai potuto lavorare con uno stile solo, sarebbe stato noioso e non era una cosa che avrei voluto fare.

La parte difficile di essere un artista è trovare l’ispirazione. Io ho sempre trovato ispirazione provando nuovi stili di disegno. Sono sempre esaltato da quest’idea. È una sfida cercare di cambiare continuamente e rimanere comunque coerenti con quello che si sta facendo. Ogni volta che inizio un nuovo progetto, mi concedo la libertà di disegnare in qualunque maniera io voglia disegnare. Adoro apprendere nuovi stili e nuove tecniche, e adoro disegnare e poi colorare, sia analogicamente che digitalmente. Mi piace continuare a cambiare dal punto di vista artistico, penso che la migliore maniera per crescere sia continuare a muoversi in avanti.

Riguardo al tuo uso del digitale, penso che tu abbia attraversato diverse fasi con diversi esiti. Per esempio, il digitale nella storia di Spider Man Ray of light è ancora apprezzabile, mentre gli sfondi de Il regno invece paiono un po’ datati e sorpassati.

Oh sì, paiono davvero datati. [ride]

In realtà, non creo arte affinché duri nel tempo. Di solito sto creando arte in quel preciso momento. Non è una gran preoccupazione per me se qualcosa non reggerà da qui a vent’anni. La Storia alla fine sconfigge ogni cosa.

Succede bene o male con ogni cosa. È pieno di storie che ai tempi sembravano freschissime e adesso sono illeggibili.

Esatto, quindi per me non è un gran problema, anche se sì, sono d’accordo, qualche volta i disegni possono invecchiare male, come agli sfondi de Il regno. La mia filosofia però è: dimentica il passato, rifiuta il futuro e vivi nel presente.

E non è una questione di digitale o tradizione. In questo momento sto disegnando quasi esclusivamente digitalmente, ma il mio stile è molto più tradizionale grazie all’uso del bianco e del nero e sembra meno digitale dei disegni de Il regno, quando in realtà però sono realizzati con molto più utilizzo del digitale.

Il ciclo di storie di Ed Brubaker e Matt Fraction, con David Aja ai disegni, ha visto un’intelligente re-invenzione di Iron Fist. Com’è stato approcciarsi al personaggio venendo dopo di loro? Pressione?

Beh, sono entrambi due dei più importanti scrittori della Marvel. Brubaker è uno dei migliori e Fraction uno dei più popolari al momento, mentre Aja è uno dei disegnatori più rispettati in circolazione, quindi sì, è una dura lotta combattere contro tre grandi nomi così, però a un certo punto devi darti il permesso di fregartene. Ho letto una recensione del primo numero che diceva che avevo un ‘chip on my shoulder’. Aspetta, sai cosa significa?

Sì, noi in Italia però sostituiamo il legno con le scimmie.

Ah, interessante!

Beh, penso che il recensore c’abbia preso, che fosse una cosa vera. Perché sono una persona competitiva. Per me la cosa peggiore sarebbe stato se la gente avesse detto e scritto cose come ‘Oh, ricorda molto le storie di Brubaker e Fraction, quindi lo amerete’.

Volevi che si dicesse ‘è una storia di Kaare Andrews’.

Esatto, odiatela o amatela, ma che sia qualcosa di mio. Ho cercato di distruggere il mondo di Iron Fist, di lasciarlo distrutto e a pezzi per vedere come si sarebbe rialzato. Ho adorato distruggere Danny Rand. Per me sono le migliori storie di supereroi quelle dove prendi un uomo, lo metti in una situazione disperata e vedi come ne esce e si rialza. E se l’uomo in questione è un superumano, devi fare davvero del tuo meglio per metterlo in difficoltà. Devi metterlo in situazioni in cui non sei certo possa sopravvivere. Ho cercato di discostarmi a livello di atmosfere dalle loro storie, che erano molto noir e violente, ma non è che abbia lavorato con in testa il pensiero del loro lavoro. Io sapevo che avevo degli albi da scrivere e disegnare e quella era la mia preoccupazione.

Curiosità che mi è venuta leggendo il primo numero, in cui il disegno dei vari combattimenti sembravano molto realistici: hai mai fatto kung-fu nella tua vita?

Ho fatto un po’ di karate quando ero un ragazzino, taekwondo quando ero adolescente e pancrazio da adulto. In generale sono un grandissimo fan delle arti marziali, sono un grande appassionato dei film e di tutto il resto.

Vedo l’artista un po’ come il praticante di arti marziali: il tentativo di assimilare tutta la conoscenza del passato per usarla per sfidare chiunque nel presente, con la speranza di creare nuove forme per il futuro. Il viaggio di uno studioso di arti marziali è molto simile al mio viaggio di artista visivo.

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Che referenze hai usato per disegnare il kung-fu di Iron Fist?

Essendo un grande appassionato di arti marziali, è successo quasi sempre che sapessi effettivamente come si realizzasse una mossa, magari perché l’ho imparato guardando i film di arti marziali.

Poi c’è da dire che K’un-Lun è una città immaginaria, quindi, nella mia idea, il kung-fu che insegnano lì è un kung-fu diverso dal nostro. Quindi mi sono ripromesso di non seguire pedissequamente i dettami del kung-fu reale, e ci ho buttate dentro anche mosse di altri stili, tipo il taekwondo.

L’atmosfera di questa mini-serie di Iron Fist va un po’ controcorrente rispetto a buona parte del resto della produzione Marvel. È molto dark e manca completamente di momenti ironici. È stata una tua scelta precisa?

Sì, scelta precisa. La storia di origine di Iron Fist è la storia più dark di tutte le storie d’origini. Batman: vede i suoi genitori morire e decide di combattere il crimine. Peter Parker: lo Zio Ben muore, lui impara la lezione sulle responsabilità e i poteri e diventa un eroe. Iron Fist: i suoi genitori vengono assassinati, e lui non decide di salvare il mondo e aiutare la gente, ma di allenarsi per 10 anni, diventare un superumano, solo per uccidere un vecchio e vendicarsi.

È un supereroe un po’ egoista.

Esatto, e si porta dietro questa storia d’origine molto dark.

Se ci pensi, anche i colori del suo costume non sono quelli tipici dei supereroi. C’è predominanza del verde, colore secondario solitamente associato ai villain.

Non ci avevo mai pensato. Come la metti con Hulk però? [ride]

Beh dai, Hulk non è mai stato neanche lui un eroe al 100%. Scusami comunque, ti ho interrotto per dire una nerdata.

Quello che deriva da una storia d’origine del genere è che esiste un prezzo da pagare per la vendetta, e Danny Rand non l’ha mai pagato. S’è allenato per 10 anni per uccidere un uomo, che poi non l’abbia fatto è un altro discorso, ma non ha mai scelto di salvare il mondo rispetto al perseguire la sua vendetta. E per questo c’è un prezzo da pagare che lui non ha mai pagato. Nelle mie storie gli farò pagare quel prezzo.

Bisogna leggere l’intera mini-serie, è un viaggio completo, si inizia dal primo albo con la caduta, è una storia che inizia con la morte e finisce con la vita. Per me, non puoi trovare temi più grandi della morte e della vita.

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