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FocusProfiliNel segno del cinema: il Texone di Massimo Rotundo

Nel segno del cinema: il Texone di Massimo Rotundo [Intervista]

Quella dei Texoni è una tradizione che prosegue ormai da 27 anni in casa Bonelli. Si tratta infatti di veri e propri albi speciali dedicati a Tex, per il formato (più grande) e per la tipologia della storia, disegnata da un grande nome del panorama italiano… e non solo.

Dopo Guido Buzzelli, Magnus, Joe Kubert e i più recenti Andrea Venturi e Corrado Roi, per l’albo di quest’anno la casa editrice ha scelto Massimo Rotundo, professionista di lungo corso che ha attraversato l’epoca d’oro delle riviste per poi alternarsi tra il lavoro per la Francia e quello per Bonelli. Per quest’ultima ha dato forma al personaggio di Brendon (creato da Claudio Chiaverotti), di cui è stato a lungo anche copertinista, e ha collaborato con Gianfranco Manfredi sulla miniserie Volto Nascosto. In parallelo al fumetto, però, lavora anche per il cinema, e tra le sue collaborazioni più eccellenti ci sono senza dubbio quelle come sketch artist per Paul Verhoeven e Martin Scorsese, tra gli altri.

Il suo Texone è il trentesimo della serie, scritto da Pasquale Ruju e intitolato “Tempesta su Galveston” (in edicola ufficialmente a partire dal 20 giugno). Qui ne abbiamo mostrato alcune pagine in anteprima. Per l’occasione, abbiamo contattato il disegnatore romano, che ci ha raccontato i dettagli di questa sua importante esperienza.

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Come e quando sei stato contattato per realizzare un Texone?

Sono stato contattato due anni fa, circa, da Mauro Marcheselli, direttore editoriale della Sergio Bonelli Editore , che ringrazio di cuore per la fiducia. La fase realizzativa mi ha preso completamente e sono riuscito a farlo in tempi accettabili… pensavo di metterci di più, in realtà, anche perché non ho lesinato in questo progetto impegno e lavoro .

A vedere i nomi dei disegnatori dei Texoni passati, si direbbe che essere pubblicato su queste pagine sia quasi il coronamento di una carriera. Però, nel tuo caso, nonostante i tanti anni di lavoro e i tanti riconoscimenti ricevuti, si può di certo affermare che tu abbia ancora “tutta una carriera davanti”. Come consideri questa tappa all’interno della tua esperienza lavorativa?

La cosa più diffile in un lavoro legato all’immagine è mantenere per molti anni un livello di qualità, senza troppi alti e bassi, cercando ogni volta di migliorarsi, mantenere una freschezza intellettuale; spesso i gusti artistici (non sempre per la verità) dei miei figli ventenni collimano con i miei… quindi affrontare un lavoro nuovo ti aiuta a trovare nuovi stimoli e a non cristallizzarti su le cose che sai fare, per questo disegnare Tex è stato formativo.

Il disegno è parte della mia vita, e finché me ne sarà data l’occasione lo farò con entusiasmo… in effetti si può dire che la mia carriera inizia ogni volta.

Hai fatto fatica a trovare il “tuo” Tex? Hai guardato a qualche disegnatore del passato (o del presente) del personaggio in particolare?

Ho cominciato studiando gli autori classici di Tex, in modo particolare Ticci e Villa, poi, dopo aver digerito le forme e le tipologie, sono andato avanti di getto, disegnando a memoria, spero di averli centrati. Tex è sicuramente il più difficile da trovare, perché incarna nello stesso personaggio la dolcezza e la durezza e non ha punti di riferimento, tipo i baffi di Kit Carson.

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Visto il formato più grande rispetto al solito “quaderno” bonelliano, hai optato per qualche accorgimento grafico particolare? Le prime tavole diffuse dall’editore, in particolare, mi sono sembrate particolarmente ricche di segni, che probabilmente in un formato più piccolo risalterebbero meno.

Ho fatto i layout più grandi e accoppiati. E’ la prima volta… vediamo se funziona. Per la grafica, ho inchiostrato cercando un segno dinamico e più fresco, questo ti porta a qualche segno in più , ma il disegno applicato al  western è giusto un po’ “sporco”.

In un’intervista pubblicata sul sito di Bonelli, hai dichiarato di aver superato alcune difficoltà grazie ai film western visti nel corso degli anni e ormai interiorizzati. Vista anche la tua esperienza diretta nel campo, quanto cinema sei riuscito a infondere nella storia? Soprattutto considerando che le sceneggiature di Tex, solitamente, guardano molto poco alla narrazione cinematografica, per rimanere più ancorate ai canoni tradizionali del fumetto.

Il cinema di solito lo uso per le scenografie e per il look generale. In questo caso posso dire che ho diviso in tre parti l’utilizzo di film guida, senza esagerare ovviamente. Al’inizio ho guardato, specialmente per gli interni e le piantagioni, Via col vento e 12 anni schiavo. Nella parte centrale, dove si vede Galveston (c’erano pochissime iconografie dell’epoca), I quattro del Texas. Per il finale, i film di Sergio Leone in generale.

Era una vita che aspettavo di citare il western all’italiana, per me l’inizio di C’era una volta il West è uno dei più bei momenti della storia del cinema. Comunque guardare un film non significa copiarlo in maniera pedissequa, ma catturare il pathos generale.

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Tra noir, horror, fantascienza, fantastico e altro ancora, in passato ti sei spesso mosso tra storie di genere. Hai qualche predilezione in particolare? E il western di Tex come si colloca, tra le tue preferenze?

Tex è stato un lavoro particolare, quindi non fa testo. L’ho già detto altre volte, sono un lettore di lunga data, non li ho letti tutti ma quasi. Per farti un esempio: mentre lavoravo mi chiedevo quale fosse il mio legame con il personaggio, in una pagina (è una delle mie preferite, quella dove Tex da un cazzottone ad un ceffo seduto al tavolo che si schianta su una sedia) l’ho capito, ma il perché  sarebbe troppo lungo spiegarlo.

Il genere che affronterò prossimamente è un fantasy, dove voglio tentare un approccio ancora più dinamico  con le inquadrature. E poi, più che un genere, mi piacerebbe affrontare il colore, è tanto che non lo faccio su una storia a fumetti.

Torneresti in futuro a disegnare altre avventure di Tex?

Perché no, il western e Tex in particolare ti propongono situazioni sempre diverse, e se la storia mi’intriga do il meglio. Per un disegnatore è fondamentale sentire la storia.

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