Nel 2015 il mangaka Shigeru Mizuki riscoprì, grazie alla figlia, appunti scritti da lui stesso ben 73 anni fa – nel 1942, tra ottobre e novembre – prima che venisse inviato a combattere nella Seconda Guerra Mondiale in Nuova Guinea, nella primavera del 1943 (esperienza da lui raccontata nel volume Verso una nobile morte). Trentotto pagine in cui il ventenne Mizuki affronta la sua paura per la morte con riflessioni filosofiche e religiose.
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In un passaggio il ventenne Mizuki scriveva:
50-100.000 uomini muoiono ogni giorno in questa guerra. A che serve l’arte? A che serve la religione? Non ci è nemmeno permesso di contemplare queste cose, come essere un pittore o un filosofo o uno studioso di letteratura; l’unica cosa che serve è la forza lavoro. Questa è un’epoca dipinta con i cupi colori dei cimiteri. Un’epoca di umanità sepolta, in cui le persone non sono altro che oggetti ammassati sottoterra. A volte sospetto che in questo tempo essere in vita sia l’unica cosa peggiore della morte.
Le pagine sono state diffuse dall’Asahi News e tradotte in inglese da Zack Davisson, traduttore e blogger statunitense, responsabile della traduzione in inglese di varie opere di Gekiga, tra cui la produzione di Mizuki stesso, tra cui la sua autobiografia (e storia del Giappone) in cinque volumi, intitolata Showa: A History of Japan (ancora inedita in Italia).
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Come fa notare Davisson, l’intensità di opere come questa – o del graphic novel Hitler – Mizuki offre uno sguardo intenso sulla società e sulla storia del Novecento, come in Occidente aveva fatto Will Eisner, con opere come Verso la tempesta o Racconti di Guerra.
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