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RecensioniNovitàSaga vol. 5. The song remains the same

Saga vol. 5. The song remains the same [Recensione]

QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER

Arrivata alla quinta raccolta, Saga inizia a mostrare i primi segni di cedimento. Intendiamoci, la serie rimane uno dei prodotti più godibili del talvolta stantio mainstream statunitense. Sempre un’ottima lettura, insomma. Tuttavia, la prodigiosa macchina narrativa firmata Brian Vaughan e Fiona Staples mostra con chiarezza i limiti potenziali di cui avevamo già detto, rimanendo sempre più imbrigliata nella propria formula. Al quarto anno di serializzazione, lo schema iterativo inscena di nuovo tutti quegli elementi che abbiamo imparato ad amare: dialoghi salaci, scurrilità, one-liner, cadute grottesche e colpi di scena a colpi di cannone. In altre parole, un gran bello spettacolo, ma anche un fortissimo senso di déjà-vu.

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saga 5

Abbandonata la stanzialità del volume precedente, i nostri eroi riassumono quella dimensione (scusate l’arcaismo) odeporica che tanto giova al fascino del racconto. Tre nuclei diversi, tre diverse storie in cui il viaggio diventa ancora una volta metafora del cambiamento e della capacità umana di adattarsi alle avversità. Simbolo di tale impulso è proprio la strana coppia Marko/Prince Robot IV, legata da un destino comune e da un’imprevedibile alchimia relazionale. Per il cornuto protagonista, nello specifico, sembra concludersi il lungo processo di riflessione intorno all’uso di mezzi violenti iniziato diversi numeri fa. Altrettanto insolita è la coppia Dengo/Alana, confinata sul pianeta Hoth e in balia di una squadra di “rivoluzionari” – che sembrano usciti da serie spaziali a caso della Marvel. Lo spunto forse meno interessante è quello fornito dall’ultimo party, composto da Gwen, The Brand e la piccola ex schiava sessuale (!) Sophie. I nostri si trovano coinvolti in una quest dal sapore fantasy, che sembra adombrare lo Hobbit tolkeniano e che culmina in una gargantuesca auto-fellatio.

Ecco, forse questa catarsi onanista è un po’ una metafora della serie. Una delectatio morosa nei confronti dell’eccesso grottesco (vi ricordate il gigante testicolare del volume 2?) e dell’esplicitazione grafica (il parto all’inizio del numero scorso). A volte sembra quasi che le ottime caratteristiche del fumetto vengano sovraccaricate dalla volontà degli autori, o almeno dello sceneggiatore, di essere edgy, di scioccare ad ogni costo. E tale circolo mal si sposa con un tessuto formale che indugia su elementi narrativi fissi e ripetibili: ad esempio, pare quasi che ogni volume debba avere almeno un capitolo che si apre con una scena di sesso fra i due protagonisti.

Come ci spiega la narratrice Hazel, “welcoming a young person into your life also means letting in an endless parade of new oddballs”. E quindi anche in questo volume si rinnova il circolo dei freak che arricchiscono la vicenda e i suoi protagonisti. Personaggi riusciti (voglio uno spinoff su Dengo!) e meno riusciti (The Brand, i rivoluzionari spaziali), tutti caratterizzati dall’incertezza esistenziale che li rende in ogni istante potenziale carne da macello. Non è infatti un mistero che tale imprevedibilità sia fulcro del recente rinascimento delle forme di serialità narrativa, televisione in primis. Basti pensare a prodotti come Breaking Bad o Game of Thrones, ben distanti dalla rassicurante reiterazione degli schemi narrativi classici. Per certi versi, il nuovo mainstream Image si pone allo stesso modo rispetto al canone supereroistico, allargando la via aperta qualche anno fa dalla rivoluzione Vertigo. Inoltre, rimanendo nell’ambito delle costanti introdotte dalla nuova serialità popolare, un altro snodo focale concerne la sovversione dei topoi, o meglio il delicato equilibrio tra ossequio e ribaltamento delle formule determinative. In questo senso Saga lavora molto bene nell’affrontare le questioni di genere, e il relativo carico di aspettative. Come ci ricorda nonna Klara, “we are soldiers, not fucking damsels in distress”.

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saga 5 vaughan

Poi certo, non si può parlare di Saga senza tenere in conto del lavoro compiuto dalla brava Fiona Staples. Le tavole di questo quinto volume sono senza dubbio in linea con quanto visto in precedenza, con gli stessi pregi e gli stessi (pochi) difetti. Forse, ambientazioni spoglie e brulle rallentano un po’ lo slancio creativo, anche se dobbiamo tenere come le tempistiche legate alla serializzazione finiscano inevitabilmente per condizionare il processo artistico. Semmai, un elemento di pregio che non è stato evidenziato a sufficienza riguarda l’aspetto grammatestuale delle tavole (con l’opaco termine grammatextualité il linguista francese Jean-Gerard Lapacherie definì nel 1984 la “sostanza grafica” dei segni di scrittura, contrapposta a quella fonica). In altre parole, la ricerca nei confronti del lettering, delle onomatopee e di tutti gli aspetti visivi implicati nella rappresentazione del suono su carta. Nulla di nuovo, sia chiaro, né tantomeno di rivoluzionario. Semmai, una cura particolare nei confronti di uno aspetto spesso trascurato del medium.

Cosa rimane quindi di questo Saga vol.5? Uno dei prodotti seriali più interessanti di questi anni, come abbiamo già scritto. Ma per fare davvero la storia del Fumetto, forse è arrivato il momento di dire che la serie dovrebbe osare di più e accontentarsi di meno. La ripetitività è un tarlo malefico che, una volta insinuato, può erodere lentamente l’interesse. Le creazioni Image, non legate all’immensa continuity di altri universi editoriali, possono permettersi il ‘lusso’ di pianificare una durata compatibile con le potenzialità del soggetto; ma per farlo, devono evitare di fissarsi intorno a un modello creato nelle prime 20 pagine. Cioè quello che è accaduto a Walking Dead. Muovendosi da uno spunto narrativo altrettanto navigato, Saga ha portato una ventata di aria fresca nell’affollato mainstream statunitense. Gli spunti ci sono, e le capacità pure. Ma il rischio che da space opera si passi a space soap-opera è dietro l’angolo.

Saga Vol. 5
di Brian K. Vaughan e Fiona Staples
Bao Publishing, 2015
160 pagine, 14,00 €

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