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FocusIntervisteDi streghe e di storia. Intervista a Renato Queirolo e Anna Brandoli

Di streghe e di storia. Intervista a Renato Queirolo e Anna Brandoli

Negli anni Ottanta e Novanta Renato Queirolo e Anna Brandoli sono stati tra i grandi protagonisti del fumetto italiano. Hanno creato personaggi importanti come La strega e Rebecca e adattato a fumetti Il Mago di Oz, recentemente ristampato da Comic Out per la prima volta dal 1980. Dopo anni di silenzio si annuncia il grande ritorno.

Quello che segue è un estratto di due lunghe interviste, qui adattate, condotte da Laura Scarpa e pubblicate su Scuola di Fumetto #101, ora in edicola. Si racconta, tramite le parole degli autori, il loro percorso artistico, i titoli a cui hanno lavorato e i retroscena dell’editoria di fumetti di quegli anni.

Copertina de 'il Mago di Oz', nella riedizione Comic Out
Copertina de ‘il Mago di Oz’, nella riedizione Comic Out

Renato, come vi siete incontrati tu e Anna… Vi conoscevate da tempo quando siete arrivati al fumetto?

Queirolo: Dal 1968. Impegno politico da extraparlamentari, totalizzante. Avevamo costituito un gruppo di propaganda artistica: manifesti, murales, canzoni, spettacoli improvvisati nelle piazze o davanti alle fabbriche (Anna ha una bella voce e si accompagnava con la chitarra). Nel 1975 chiudiamo con quella politica per esaurimento di senso, insieme ai nostri rispettivi coniugi e a molti altri compagni. Ma io ero tutt’altro che rassegnato e andavo riscoprendo il mio interesse per la Storia. Lavoravo ancora come grafico, ma non bastava a riempirmi la vita.

Anna aveva perso il suo lavoro di disegnatrice pubblicitaria e aveva fatto, nel ’76, alcuni tentativi maldestri e giustamente falliti per proporsi al Corriere dei Ragazzi e al Giornalino, di cui ammirava i fumetti di Toppi e di Battaglia. Solo nel 1977 riesco a farle accettare il mio progetto: un’avventura al femminile storicamente plausibile, di un femminismo sofferto, spinto fino all’uccisione del padre (un piccolo Khan dell’Orda d’Oro). E, in parallelo, le vicende di un “intellettuale” che attraversa le persecuzioni politico-religiose del XIII secolo. Per poi incontrarsi a Bisanzio, luogo e tempo ideali per fare da specchio ai nostri anni 70. Insomma “La Strega”.

L’unico editore possibile, almeno in Italia, la Milano Libri di Linus e Alter Alter, sulle cui pagine avevo ammirato la straordinarietà di “Costanzo y Manolo” (Alack Sinner) di Muñoz & Sampayo e il Colombo di Altan. Pur distantissimi per stile e linguaggio, sovvertivano entrambi il fumetto fino ad allora esistente. Enrique Breccia poi, con i suoi racconti della Pampa, mi confermava che era possibile fare un fumetto non evasivo.

Questo ancora ai tempi de La Strega… Ma come siete arrivati a lasciarla e trasformarla in Rebecca?

Queirolo: La Milano Libri pagava troppo poco il nostro lavoro e non si impegnava a rivendercelo in Francia. Anna non ce la faceva più e io ho dovuto risolvere il mio progetto mutilandolo, anche se ho fatto in modo che non si vedesse. Così, per non perdere un sodalizio ben riuscito, ho dovuto trovarmi un editore che pagasse meglio e fosse compatibile con il nostro spirito innovativo. Il Corriere dei Piccoli è stata la nostra salvezza.

Quando ci ha visto pubblicare lì il Mago di Oz, Oreste del Buono (direttore della Milano Libri) ci ha richiamati offrendoci il triplo di prima e la pubblicazione su Linus invece di Alter Alter. Lui voleva che proseguissimo La Strega (di cui ha editato subito il volume cartonato), ma Anna mi aveva fatto promettere che avrei detto di no a eventuali seguiti. Allora ho improvvisato una mediazione: riprendiamo quel volto-maschera, ma con un nuovo personaggio ambientato due secoli dopo, nel Ducato di Milano. Una zingara che va alla scoperta della terra (allora) più progredita d’Europa, ma dove nulla è come sembra, nello stesso anno in cui Colombo vorrebbe scoprire le Indie.

Oreste del Buono è entusiasta. Peccato che abbandonerà il timone della Milano Libri due anni dopo!

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Versione di sceneggiatura di ‘Rebecca’ in schema disegnato, fatta da Renato Queirolo. È la versione originale, data a Brandoli perché disegnasse.

È anche il periodo in cui fate Il Mago di Oz… il cambio di linguaggio espressivo, l’uso del colore, era per avvicinarvi al pubblico infantile. Nel volume ora finalmente riedito avete fatto una dedica a Grazia Nidasio…

Queirolo: Ho appena spiegato le ragioni economiche che ci hanno spinti al Corrierino, ma è pur vero che Anna voleva “cambiar passo”, desiderava esprimersi con il colore, in modo più leggero e allegro, più fantasioso. Così ho inventato Fata Colorina. Non ne potevo più di visioni del mondo in bianco e nero, senza sfumature, com’era di moda (e purtroppo lo è ancora). Una favola buffa che strizzava l’occhio dall’ecologismo nascente, ma con in più una morale illuminista, cosa insolita all’epoca. Anna l’ha affrontata tutta di un fiato, divertendosi e mostrando l’altro lato di sé. Davvero eccezionale.

Il cambio di linguaggio? È nella natura delle cose: cambi tono di voce quando vuoi comunicare allegria, rispetto a quando chiedi un ascolto serio. Era l’autunno del 1979. Siamo capitati nella redazione del Corriere dei Piccoli senza un appuntamento e la fortuna ha voluto che quel giorno Grazia Nidasio fosse in riunione con la direttrice. Quando hanno visto Fata Colorina ne hanno deciso con entusiasmo la pubblicazione e la Nidasio si è espressa nei nostri confronti con tale calore da rendere memorabile quell’incontro. È stata lei a sollecitarci di proporre subito qualcosa di più impegnativo, che proseguisse di settimana in settimana, a lungo.

Io avevo passato le vacanze a leggere ogni sera un capitolo del Mago di Oz alle nostre due figlie (spesso io e mia moglie ci portavamo al lago la figlia di Anna) e mi ero convinto che il film con Judy Garland non gli avesse fatto giustizia: con quella strega arcigna e spaventosa, e una filosofia paesana del “riportare tutto a casa”! Mentre il libro è pieno di humour, di acume psicologico, di buon senso pratico e di curiosità senza pregiudizi. Insomma, più hippy che puritano!

Perciò ho proposto il Mago a capitoli – puntate di quattro pagine – come se fosse un progetto già pronto. Mi capitava spesso di improvvisare soluzioni, ma sono convinto che è stato merito della Nidasio se in quel momento ho azzardato tanto. Del resto, anche in seguito lei ci ha incoraggiati e sostenuti. E penso che non riuscirò mai a sdebitarmi per quanto mi ha dato, che lei lo sappia o meno.

Hai iniziato collaborando come art director per Orient Express e L’Isola Trovata. Poi ne sei diventato il curatore. Infine la Bonelli tout court…

Raccontare come sono arrivato a fare da supervisore ed editor dei soggetti e delle sceneggiature di Zagor, Mister No e Nick Raider, partendo dalla collaborazione all’Isola Trovata, sarebbe piuttosto lungo… Cerco di semplificare: nel 1985 L’Isola Trovata sta chiudendo, lasciando senza casa vari autori e senza lavoro me e i miei collaboratori (tra cui Marina Sanfelice, Mauro Boselli e Ornella Castellini, che sarebbe diventata la mia seconda moglie). Io convinco Sergio Bonelli a lasciarmi tentare l’uscita di tre collane di albi mensili a colori (eccetto Lo sconosciuto di Magnus, che resterà in b/n) più alcuni libri, fino all’esaurimento di quanto avevamo già sotto contratto, e che sarebbe andato disperso. Si trattava di qualche autore francese della Dargaud, ma soprattutto dei nostri più grandi: da Pratt a Battaglia, Toppi, Micheluzzi, Tacconi, D’Antonio, Renzo Calegari. E autori più nuovi e promettenti come Eleuteri Serpieri, Manara, Giardino, Saudelli, Rotundo, oltre al duo Berardi & Milazzo con la versione a colori del loro Ken Parker. Il salvataggio funziona e, nel frattempo, Decio Canzio (il Grande Direttore della Bonelli fino a otto anni fa) mi affida varie revisioni per la casa madre: Tex Tre Stelle, TuttoZagor, Il Comandante Mark, TuttoWest, Storia del West, Indiana Jones

Morale: nell’89, con la mia piccola struttura, veniamo reclutati nella sede centrale. Io posso smettere di dover gestire il lavoro dei miei collaboratori e concentrarmi sulla revisione delle sceneggiature di Zagor (che ho dimostrato di saper fare e che erano diventate il pozzo nero della Bonelli). Appena raddrizzo un po’ la barca di Zagor, vengo chiamato al capezzale di Nick Raider. Giocando sul fatto che io amo le sfide e non mi tiro mai indietro, Canzio mi affida anche Mister No.

Troppo per chiunque. Anche perché mancavano gli sceneggiatori e l’organico dei disegnatori era carente, viveva di rendita sui tempi eroici in cui i vari Ferri e Diso producevano decine di pagine a settimana, scritte per lo più da Sergio Bonelli o da Nizzi (per Nick Raider). Comunque reggo per cinque anni, faccio esordire Boselli alle sceneggiature di Zagor e convinco l’editore ad affidargli la cura della testata. Poco dopo mi riesce anche con Mister No che passa a Michele Masiero.

Mi resta la responsabilità totale di Nick Raider, che significa adeguare e integrare lo staff dei disegnatori secondo le esigenze di una serie più realistica e meno ingenua. Idem per soggetti e sceneggiature. Mi toccherà riscrivere centinaia di pagine ancora per qualche anno, come già con Zagor e Mister No, ma l’arrivo di Gianfranco Manfredi alle sceneggiature di Nick Raider e poi la nascita del suo Magico Vento mi cambieranno la vita.

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Una tavola a colori di Rebecca

Torniamo ad Anna. Ricomincerete Rebecca? E come, a tanti anni di distanza? Cambierà qualcosa?

Queirolo: Contiamo di farlo. Sia lei che io adesso ne abbiamo la possibilità, anche se Anna è ancora piuttosto impegnata con l’azienda agricola familiare. I tanti anni non sono passati inutilmente. Non sarà solo la conclusione di una vecchia storia, quell’enigma verrà sciolto all’interno di una nuova vicenda ricca di sorprese e con una maggior maturità e profondità dei personaggi.

Anna, come hai cominciato a fare fumetti? Il primo era La Strega? Ma anche tuo marito Antonio ne aveva disegnato uno breve…

Brandoli: Io e Antonio facevamo già disegni, quando era finita l’attività politica. Ci eravamo interessati vedendo vecchie riviste del fratello di Antonio, un appassionato di Tex, con fumetti di Albertarelli, e poi anche cose di Toppi… a parte qualche vecchio numero di Linus con Crepax e altri, non eravamo molto addentro nei fumetti. Mai letto un Topolino o un altro fumetto, da piccola… qualche Corriere dei Piccoli, ma raramente, stavo più sui libri, anche dopo, leggevo soprattutto romanzi e poi eravamo appassionati di cinema.

Poi abbiamo scoperto il fumetto e allora ho conosciuto altri autori: José Muñoz e Alberto Breccia e Sergio Toppi, soprattutto. Quando poi cominciai a disegnare La Strega, sulla sceneggiatura di Renato Queirolo, avevo guardato a Toppi per il modo di fare i bianchi e i neri con la penna e i mezzi toni… così che Toppi una volta, eravamo a una riunione per fare una cooperativa, mi disse, «lei è brava, però non mi copi» e in effetti io dopo La Strega cambiai il segno.

Invece Pazienza, anche lui a queste riunioni, mi disse che i miei erano i piedi più belli che avesse visto disegnati. Insomma a quel punto a Renato era venuta l’idea di fare fumetti, assieme. Ci conoscevamo da tempo, avevamo entrambi frequentato la Scuola del Castello, a Milano. Era una scuola fantastica, un’alternativa serale per chi non poteva fare un liceo artistico o scuola d’arte, magari perché lavorava, come me. Io ho cominciato a lavorare a 14 anni, il primo lavoro, attraverso una conoscente di mia nonna, è stato decorare la ceramica. Non mi piaceva, e poi il colore non lo vedevi, era tutto grigio, davi la ramina ed era grigia, acquistava colore solo in seconda cottura e allora venivano fuori cose bellissime. Però venivano gli artisti a cuocere le loro sculture, e quello era interessante.

Poi sono andata a disegnare gioielli in un’industria, e intanto facevo la Scuola del Castello. I primi anni erano uguali per tutti, composizione, disegno dal vero, le solite cose, poi c’era il corso di nudo e poi gli ultimi tre anni uno sceglieva. Poteva fare affresco, orafo o altro ancora e io ho scelto la pubblicità, la grafica. Anche Renato faceva quel corso. Io di giorno continuavo a cambiare lavoro, ho anche fatto cartoni animati in un piccolo studio pubblicitario, con Gozzini che aveva lavorato anche con Bruno Bozzetto. E poi per 5 anni ho lavorato nell’ufficio interno della Knorr, quella dei dadi, e lì si facevano confezioni, storyboard… siccome sapevo disegnare meglio degli altri, invece che solo incollare cartoni e scritte, etichette, facevo i depliant illustrati per i venditori.

Dunque quello con Renato Queirolo non fu proprio il tuo primissimo fumetto…

Brandoli: Prima di Queirolo c’era stato Campanozzi, un romano, anche lui come noi ex-militante, che ci ha proposto di fare dei fumetti. Ma era un lavoro squallido. Il personaggio che disegnavamo si ispirava a Liza Minelli, che aveva appena fatto Cabaret, era blandamente erotico e dovevi imitare un po’ Magnus, pennello, righetta, ombretta… Abbiamo pensato che però si sarebbe potuto fare anche dei fumetti belli e dopo poco è apparso Renato con la sua proposta.

Con Renato mi conoscevo dagli inizi dell’attività politica, nel TCML, avevo 22 anni, ci siamo subito alleati, perché disegnavamo tutti e due e quando c’era da fare volantini o tazebao eravamo noi che ci lavoravamo. È stato attraverso Renato che ho conosciuto Antonio, mio marito. Renato ha visto che cominciavo a fare questi fumetti ed ero andata al Giornalino, portando delle fiabe classiche , tipo il Piccolo Klaus e il Grande Klaus, ma non le avevano prese, e mi ha proposto di farli assieme noi due.

Una tavola de 'il Mago di Oz'
Una tavola de ‘il Mago di Oz’

Fare fumetti… e poi smettere…

Mi è mancato molto il fumetto, ma per un po’ ci siamo visti meno e abbiamo avuto cambiamenti di vita che hanno influito. Inoltre in quel periodo le riviste hanno chiuso, libri non se ne facevano, quindi non c’era molta possibilità o voglia di fare. Non ho mai scritto storie da me. Io devo avere una materia su cui lavorare. Le illustrazioni, va bene, ma non mi interessano molto. Mentre se ho una storia, se ho una storia mi si apre un mondo. Anche i disegni che poi faccio, altro che illustrazioni, sono molto più belli! Mi piace la sequenza narrativa.

Quando ho lavorato con De Angelis, lui mi mandava le sue sceneggiature tutte belle, le scriveva a macchina. Io la prima cosa che gli ho detto è stata: «Io sono abituata a tradirla, la sceneggiatura», pensando a come lavoravo con Renato… lui c’è rimasto male, credo. Lavoravamo a distanza, non l’avevo neanche mai visto. Quando poi avevamo fatto il libro e l’ho visto a Lucca era tutto diverso. Ancora adesso quando lo penso, lo vedo con la faccia che immaginavo al telefono.

E oggi? E domani?

Oggi vorrei finire quella storia, che sento irrisolta. Con la fine del secondo libro siamo nella cascina, che sono nascosti, con naso di cuoio, un bel personaggio. Arriva Sorriso, un po’ di ammazzamenti e ammazzano Principessa e restano solo loro, con la ricerca in sospeso. Io ho iniziato, per scaldarmi, con una pagina di Rebecca, si parte dal tetto della cascina e Rebecca e Anna salgono e dicono: «Voliamo!», «Ma sei capace?», «Ma se l’hai sonato l’altra notte!»… e volano. Ho voglia di ricominciare. Renato mi ha detto: «esercitati a disegnare la nebbia». A me? E i miei bianchi e neri?

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