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FocusOpinioniVisione, la nuova serie Marvel che dovreste leggere

Visione, la nuova serie Marvel che dovreste leggere

Se esistesse un dio dei fumetti potrei cominciare a pensare che si stia divertendo un sacco a graziare le serie più improbabili di casa Marvel. Su Fumettologica ho già scritto parecchio di queste piacevoli anomalie – da Hawkeye fino a Squirrel Girl –, ma penso valga la pena riaprire il capitolo per cominciare a parlare del nuovo fumetto di Visione.

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Nonostante sia piuttosto importante nell’economia dell’universo in cui opera, Visione non era certo un personaggio notissimo al grande pubblico, almeno fino all’uscita in sala del secondo film dei Vendicatori. Visione è un essere inorganico, progenie del folle Ultron, capace di distinguersi fin da subito per i suoi poteri. Più saggio di ogni altro essere senziente, è dotato di tutti gli optional di serie del droide medio – sa volare, sparare raggi mortali, esercitare forze enormi – e della curiosa capacità di passare attraverso corpi solidi rendendosi intangibile. Già dalle sue origini scopre di poter provare dei sentimenti, cosa che gli permetterà di opporsi al padre-padrone e di instaurare una relazione sentimentale con la procace Wanda Maximoff.

Se non si fosse capito, abbiamo tra le mani un essere per cui l’epiteto ‘super’ non è per nulla fuori posto. Non è un bravo arciere, uno che parla con le formiche o così via. Visione è praticamente un semidio sintetico, capace di mettere a rischio tutta la vita sul pianeta Terra solo per un errore di backup. Quindi quale concept migliore per la sua nuova serie che fargli vivere una vita straordinariamente banale? Dargli una casa come tante, nei sobborghi della contea di Arlington (Virginia), un lavoro per cui la mattina bisogna alzarsi e uscire (Visione vorrebbe lavorare alla Casa Bianca, visto che i Vendicatori non pagano più e i suoi risparmi languono), una moglie e due figli assolutamente normali. Manca solo un cucciolo assopito davanti al caminetto per rendere questo scenario la cosa più lontana possibile da quello che ci si aspetterebbe da eroi votati al sacrifico e all’avventura.

Sembrano passati eoni dai tempi in cui i membri di Authority affrontavano enormi divinità a forma di piramide, ponevano fine a crisi geopolitiche su scala globale e avevano ancora tempo per festeggiare l’ennesimo salvataggio del mondo con mega feste a base di celebrità. E sarei potuto essere ancora più crudele. Avrei potuto tirare in ballo gli ultimi dodici mesi di vita di Kal-El nella serie All Star Superman, dove Superman passa dal creare pianeti in laboratorio al diventare parte del Sole – oltre che incontrare un buon numero di versioni alternative di se stesso. Un cambio di marcia un poco mesto, verrebbe da pensare, ma dopotutto se le rockstar non esistono più neppure nel nostro mondo reale, non vedo perché dovrebbero continuare a esistere in quello fittizio dei fumetti.

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Ora abbiamo a che fare con un droide in grado di sterminare interi eserciti costretto a timbrare il cartellino e a frequentare noiosi incontri scolastici per i genitori. Levando il superfluo, e arrivando alla struttura portante della serie, non possiamo non renderci conto che si tratta di uno dei meccanismi umoristici più abusati di sempre. Anche se in chiave più didascalica – ce lo vedo benissimo come gag in qualche episodio di Robot Chicken –, potremmo essere finiti dalle parti della telefonata tra il presidente Muffley e il primo ministro sovietico («Dimitri! Ma cosa credi, che io mi stia divertendo? Tu te l’immagini quello che sto passando io, Dimitri? E se no perché t’avrei telefonato? Per dirti “ciao”? Certo che mi fa piacere parlarti! Mi fa molto, moltissimo piacere… Non adesso però, un’altra volta, adesso ti ho chiamato per dirti che è successo qualcosa di… di veramente terribile…») ne Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Ovvero l’interpretazione forzatamente ordinaria di fatti straordinari.

Dobbiamo aspettarci una nuova serie umoristica, quindi? In realtà niente del genere. Anche se siamo ancora ben lungi dal capire dove voglia andare a parare, possiamo tranquillamente dedurre che il mood generale sia tutt’altro. I glaciali battibecchi familiari costruiti sulla pura logica, la mono espressività dei personaggi, la loro passività alle cattiverie del vicinato, gli oscuri segreti che si nascondono dietro a una facciata così banale. I primi riferimenti che verrebbero in mente sono le Desperate Housewives di Marc Cherry e l’American Beauty di Sam Mendes, ma in realtà il parallelismo più appropriato potrebbe essere quello con un vecchia serie fotografica dell’artista danese Erwin Olaf. Negli scatti della serie Separation assistiamo a normali scene di vita domestica ambientate in soffocanti camere deserte, dove a regnare sono la penombra e opulente carte da parati a tema floreale. In un mondo già di per sé abbastanza surreale, vediamo muoversi un nucleo familiare piuttosto standard, se non fosse per l’abitudine di inguainarsi integralmente nel latex nero. Il disturbante diventa normalità, finendo per trasformarsi in qualcos’altro che è davvero difficile da definire.

Se volessimo fare i colti potremmo tirare in ballo la definizione di perturbante (secondo Freud «quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare») per poi, andando a parlare di questa serie, virarla in chiave di meraviglia. Tutti e quattro i membri della famiglia Visione possono volare – lo sappiamo da sempre – ma non riusciamo a capire se questo ci stupisca lo stesso o ci lasci vagamente disturbati.

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Elemento chiave per la costruzione di un castello così complesso è senza dubbio il tratto del disegnatore Gabriel Hernadez Walda, qui in stato di grazia. Senza il suo apporto saremmo dalle parti di un Invincible qualsiasi. In un mondo ipertrofico come quello del fumetto seriale statunitense – dove si rischia di valutare il valore di una storia in base al numero di splash page infilate in una sceneggiatura –, Walda riesce a far permeare l’incredibile in aspetti della vita davvero banali.

Dalla cassetta delle lettere fluttuante – che rimane sospesa in assenza di gravità, ma mantiene lo standard estetico da classico telefilm con ambientazione middle class – all’adolescenza dei due giovani Visione. Già nel primo numero li vediamo alle prese con una faccenda di tutti i giorni come la scuola. Tanto per non allontanarci dall’idea di completa consuetudine, i nostri si ritrovano a frequentare uno di quegli istituti con gli armadietti lungo i corridoi e le scalinate all’ingresso. Proprio l’idea del liceo americano comune a tutti noi, quelli che gli Stati Uniti li abbiamo visti solo in tv. Incamminandosi lungo il vialetto che li porterà alla strada principale, i due giovani droidi prendono il volo. Come se nulla fosse. «Sono normale?» si chiede il giovane Vin mentre i suoi piedi si staccano da terra.

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In una delle pagine del quarto numero veniamo sorpresi da un mezzo busto a tutta pagina di Visione. Indossa una camicia a quadri slacciata sul collo e tiene in mano una palla da football con impresso il logo della mascotte del liceo dei figli: un nativo americano dall’aria piuttosto incazzosa, ribattezzato Fighting Redskin. «Cos’è questo?» chiede il protagonista. Il suo volto è umanissimo, tratteggiato con grande maestria, eppure quasi privo di calore ed emotività. La sua richiesta pare venata di rabbia, ma non ci sarebbe da stupirci se fosse solo curioso. Forse l’idea di un essere artificiale completamente senziente riesce ad affascinarci solo se questo ha l’aspetto di un calcolatore, o di un robot tutto pistoni e cavi elettrici. O, viceversa, di un donna o un uomo di una bellezza algida e artificiosa, come Fassbender in Prometheus. Quando invece cerca di somigliarci aderendo a una serie di comportamenti che ci riguardano da vicino e cui cerchiamo di non pensare – chi si vanterebbe di una vita banale? – allora subentra l’inquietudine.

Lo studioso Masahiro Mori aveva ipotizzato l’esistenza di una ‘valle perturbante’ (‘uncanny valley‘ in originale) per definire la crescente sgradevolezza di avere a che fare con automi antropomorfi. Più ci assomigliano, meno ci troviamo bene. Tom King e Gabriel Hernadez Walda paiono aver trovato un nuovo modo per rileggere questa affascinante teoria scientifica, spostando il discorso dalle apparenze del singolo a tutto il nostro stile di vita. Intuizione geniale, speriamo solo non la riducano troppo presto nell’ennesima serie di supereroi.

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