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Captain America: Civil War, la recensione

Andando a vedere il nuovo blockbuster Marvel Captain America: Civil War non si può non fare un confronto con il film che gli è diretto rivale, ovvero il Batman v Superman di Zack Snyder.

Come forse avrete già letto, il secondo non ci è piaciuto. Troppo ambizioso, imbastiva uno scontro tra due personaggi che non possedevano già un passato cinematografico, cercando di dare uno spessore a motivazioni che risultavano invece posticce. Come dicevamo, a danneggiare la Warner è stata la fretta di recuperare in un colpo solo quanto costruito da Marvel in anni di pellicole.

Leggi anche: Cosa è stato e cosa rimane di Civil War?

Captain America Civil War recensione

La forza di Civil War è, al contrario, quella di basarsi su un universo cinematografico di personaggi ormai solidissimo. Per intenderci, non è necessario aver letto una sola pagina del fumetto di Mark Millar e Steve McNiven – addirittura non serve nemmeno sapere della sua esistenza – per potersi godere pienamente il film.

Bisogna però conoscere abbastanza bene il Marvel Cinematic Universe, per non rischiare di girarsi verso il proprio vicino ogni volta che viene introdotto un personaggio già comparso in altri film e domandargli chi sia (ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale).

Non è una novità, certo. È dal primo Avengers che Marvel costruisce in questo modo le sue trame. Ormai i suoi spettatori sono abituati e stanno volentieri al gioco. Ma mai come in questo caso è importante la partecipazione dello spettatore. Nel film, infatti, compaiono ben 12 supereroi, di cui due introdotti ex novo, Pantera Nera e Spider-Man, e due che sono state poco più di comparse in Avengers: Age of Ultron, Scarlet Witch e Visione.

È oggettivamente impossibile approfondire tutti i personaggi. Il rischio del film era quello di dare spessore ai soli Steve Rogers e Tony Stark e lasciare gli altri sullo sfondo a scazzottarsi.

I fratelli Joe e Anthony Russo, insieme agli sceneggiatori Christopher Markus e Stephen McFeely – lo stesso team che ha scritto e diretto Captain America: Winter Soldier, probabilmente il miglior film del MCU a oggi – riescono invece a caratterizzare ogni eroe senza per forza ritagliargli uno spazio particolare all’interno della pellicola. Come nel miglior cinema, bastano due/tre battute significative e il semplice comportamento in scena a raccontare il personaggio, senza bisogno spiegoni o inutili flashback.

Prendiamo ad esempio Wanda Maximoff e Visione. Le loro personalità e le loro motivazioni per schierarsi nel conflitto vengono sviluppate in un paio di dialoghi molto asciutti, che però raccontano tutto il necessario. [Spoiler] Lei, temuta da tutti gli Avengers tranne che da Visione per i suoi poteri, si sente sola e colpevole per aver causato l’incidente che sarà causa scatenante della rottura del gruppo. Sarà la diffidenza di Tony Stark, che la isola dal mondo, a farla schierare dalla parte del più solidare Capitano.

L’androide invece decide di appoggiare Iron Man sulla base di un ragionamento logico e un calcolo matematico. La sua mente artificiale sembra non avere dubbi nemmeno quando gli viene chiesto di tenere segregata Wanda: è la scelta più giusta, deve proteggere il mondo dai poteri della ragazza finché non avrà imparato a gestirli, anche se l’isolamento la farà soffrire.[Fine Spoiler]

Sempre riguardo ai “minori”, una menzione di merito va alla caratterizzazione delle due spalle per eccellenza, Falcon e War Machine, entrambi ex militari in armatura che vivono all’ombra dei loro rispettivi supereroi “titolari”, ma che riescono finalmente a staccarsi dalla loro ombra e a mostrare una personalità propria. La loro scelta nello schieramento – certamente ovvia – non è però scontata. Sam e Rhodey hanno un loro pensiero e prendono la loro decisione indipendentemente da quella del loro “capo”.

Lo stesso discorso vale, in fondo, per tutti i personaggi, a partire da Capitan America e Iron Man, le cui motivazioni sono ben chiare da subito e analoghe a quelle della saga a fumetti: il primo vuole indipendenza di azione, il secondo garantire la sicurezza dei civili. Il conflitto resta su toni “civili” – se si esclude la distruzione di un aeroporto – finché la questione non scende sul piano personale. [Spoiler]: anche in questo film c’entra la mamma di uno dei due. [Fine Spoiler]

E gli altri? La Vedova Nera è insicura come sempre. Clint Burton, il solito sfacciato; a lui viene assegnata una battuta molto simile a quella celebre di Daredevil nella saga di Miller quando viene arrestato da Tony. Ant-Man continua a essere una rivelazione, sia per l’uso sempre più creativo dei poteri (no, niente trenini giocattolo, purtroppo), sia per la freschezza delle battute. Per assurdo è Bucky, personaggio al centro del ciclone, che risulta essere il meno interessante: rimane fisso nello stereotipo di quello che è cattivo contro la sua volontà, che vuole nascondersi dal mondo, con la mente cancellata e il mantra «perdonatemi, non è stata colpa mia».

Giustamente, alle due new entry viene dato quasi tanto spazio quanto ai due leader, preparando così il terreno per i loro film in solitaria. Pantera Nera inizialmente è altezzoso e vendicativo, ma cambia durante il film, maturando mentre gli altri si massacrano, uscendo dal conflitto più maturo e saggio, pronto a sedere sul trono del Wakanda.

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Spider-Man invece è un ragazzino geniale, arruolato da Iron Man nella sua casetta del Queens e dotato di costume. A muoverlo nella guerra è soltanto la volontà di impressionare Stark. Durante un combattimento/dialogo con Cap mostra tutta la sua immaturità da adolescente, che lo ha portato a partecipare al conflitto senza indagare le motivazioni delle due parti. A lui basta che il suo “sponsor” lo abbia scelto.

Nel film c’è anche un cattivo, Helmut Zemo, senza il cappuccio viola che rende così trendy il personaggio dei fumetti. In due ore e mezzo di film non c’è un solo momento di lotta che lo veda coinvolto. A memoria, è una novità nella storia dei cinecomics il fatto che non ci sia alcuno scontro tra il protagonista e l’antagonista.

È Zemo a scatenare la rottura degli Avengers, ad avere un arma segreta pericolosissima con cui potrebbe conquistare il mondo, e ovviamente al termine del film i buoni riusciranno a fermarlo. Ma il film non parla di questo.

Permettetemi uno spoiler, oppure saltate le prossime righe e andate al paragrafo successivo.

Quando Iron Man scopre il piano di Zemo e che quindi Cap ha ragione a non volere che Bucky venga arrestato, corre in aiuto del suo amico-nemico. Se fosse stato un altro film – tipo questo – , i due sarebbero passati dalla stessa parte per fermare il cattivone.

Per fortuna Civil War non è quel film e la soluzione del conflitto non può essere così semplice. Anzi, sarà proprio questa tregua a portare all’acuirsi dell’odio tra i due protagonisti che si accennava prima, con lo spostamento dal piano “politico” a quello personale. La guerra civile, così, non si conclude, esattamente come non si è conclusa nei fumetti al termine della saga. Iron Man vince, Cap e i suoi escono di scena. Probabilmente torneranno amici per combattere Thanos (non a caso Infinity War, previsto per il 2018 è intitolato agli Avengers), ma per ora ognuno è andato per la sua strada. [Fine Spolier]

Captain America: Civil War è dunque un film di personaggi. Personaggi e botte, in realtà, ma le botte è molto meglio vederle al cinema che leggerne su Fumettologica. Basti sapere che sono tante, il film è principalmente azione, con dialoghi asciutti e ben calibrati, mai inutili e spesso divertenti tra una scena d’azione e l’altra.

Non si sente la mancanza della dimensione epica del fumetto, fatta mille tizi in costume contro mille tizi in costume. La battaglia tra le due squadre di calcetto di Cap e Iron Man basta e avanza a riempire lo schermo.

In fondo, cosa ci si aspettava dalla guerra civile dei supereroi al cinema? Un bel film?

Beh, in realtà ci sono riusciti.

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