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Mondi POPCinemaNate Moore: c'è vita nei Marvel Studios oltre Kevin Feige

Nate Moore: c’è vita nei Marvel Studios oltre Kevin Feige

Sono tante le differenze che hanno finora distinto i film tratti dai fumetti DC da quelli Marvel. Tra queste, una consapevole strategia d’immagine di quest’ultimi, il cui elemento fondante è stata la creazione di una mitologia basata sulla figura del produttore Kevin Feige. Non esiste un corrispettivo nella Warner Bros. – lo studio che possiede la DC – che non ha neanche mai avuto una vera idea di universo condiviso con un timoniere a condurlo.

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kevin feige
Kevin Feige

Invece, il boss dei Marvel Studios, unico produttore in tutti i film dell’universo cinematografico della Casa delle Idee, è sempre stato lì, fin dai tempi del primo Iron Man, a rispondere ai giornalisti, a rassicurare i fan che anche quel film che in fin dei conti non è piaciuto un granché fa parte di un disegno più grande, che andrà tutto bene. I credits di Capitan America: Civil War includono sette nomi, tra co-produttori e produttori associati (più sei produttori esecutivi, ma molti dei quali – come quello di Stan Lee – sono lì per obblighi contrattuali e non per meriti effettivi), eppure il pubblico conosce volto e nome solo di Feige, che prende parte ai tour promozionali tanto quanto il cast principale. Perché, come nella struttura gerarchica delle serie tv, cosa che ormai i film Marvel sono diventati, il produttore Feige è il vero autore di ogni pellicola, è lo show-runner che confeziona prodotti pronti da essere girati con più o meno solerzia ma con un rigore visivo che non permette di distinguere un film dall’altro, con rare eccezioni.

E quindi la volontà accentratrice non lascia spazio ad altre figure, come la mitopoiesi che vedeva Stan Lee padre di tutto l’universo Marvel aveva oscurato i tanti co-creatori. Poi, quest’ultimo è anche un caso di mancata attribuzione di oneri e onori, il primo è solo una manipolazione che ha permesso alla Marvel di uscire vittoriosa dalla guerra d’immagine dei cinefumetti. Proprio durante la promozione di Civil War abbiamo assistito alla messa in moto di un altro disegno, atto a conferire la giusta street cred a un prossimo progetto che è già sotto i riflettori nonostante manchino due anni – se tutto va bene – alla sua uscita: Black Panther, il primo film Marvel con protagonista un personaggio di colore.

Il film ha già attraversato una burrasca, quando si è visto rifiutato da Ava DuVernay, la regista di Selma, per via di divergenze creative che, secondo l’autrice, non le avrebbero permesso di realizzare la storia a modo suo. Sarebbe stata la prima regista, afroamericana per giunta, di un film Marvel. Una donna che gli Oscar hanno snobbato, ma che la Casa delle Idee avrebbe accolto a braccia aperte. L’accordo però è saltato, e a sostituire DuVernay è arrivato Ryan Coogler, regista di Friutvale Station e Creed – Nato per combattere, che scriverà il film insieme a Joe Robert Cole (American Crime Story, ha scritto l’episodio The Race Card); entrambi gli annunci hanno fomentato un’attesa positiva, visto che i principali artefici del film sono afroamericani.

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black panther mcu nate moore
Black Panther/Pantera Nera in versione cinematografica, da ‘Captain America: Civil War’

Dicevamo, alla premiere londinese di Civil War era presente il cast del film al completo, i due registi, il produttore Feige e Nate Moore. Non c’era traccia dei due sceneggiatori del film, però c’era questo Nate Moore, l’unico produttore afroamericano in forze ai Marvel Studios. Sul web, The Undefeated e The Root, due siti radicati nella comunità nera, gli hanno dedicato un profilo dal taglio sentimentale più che professionale e un’intervista a tema. Nel profilo, Moore ha espresso il desiderio di girare parte di Black Panther in Africa, al fine di non svilire il retaggio culturale del personaggio, e la notizia ha fatto il giro di tutti i siti di informazione cinefumettistica. Non c’è ancora una sceneggiatura e già, parlando del film, si tirano in ballo i temi della rappresentazione, del whitewashing (con Doctor Strange si sta affrontando la stessa questione) e dell’appropriazione culturale. È una trepidazione che, anche se scaturita in modo naturale, la Marvel sta agevolando con gusto.

Chi è questo Nate Moore, è presto detto. Moore ha iniziato con un praticantato alla Columbia Pictures durante il primo anno di università e, una volta laureatosi, nel 2000, ha ricevuto un’offerta di lavoro dalla stessa azienda come assistente nel reparto di sviluppo progetti e poi come assistente di produzione. Sul set di Spider-Man 2 ha scoperto la propria vocazione: «Non ho talento per la scrittura. Ho provato a scrivere delle sceneggiature e non erano buone. Non ho nemmeno occhio per la regia. Ma mi piace stare in mezzo ai narratori e mi piacciono i problemi. Il mio cervello ama i puzzle. Fare dei film è come costruire un puzzle molto complicato». Appassionato di film e fumetti, dopo gli incarichi alla Esclusive Media e Participant Media, Moore è arrivato alla Marvel, sei anni fa, quando gli Studios stavano espandendo il proprio dipartimento produttivo. Feige lo ha messo a capo del programma di scrittura che sviluppasse personaggi minori (Joe Robert Cole viene fuori da lì): «Kevin ha capito che avremmo dovuto diversificare quello che facciamo, perché non avremmo potuto continuare a fare Iron Man 7 e Capitan America 5. Avremmo dovuto trovare dei modi per lanciare altri personaggi».

All’epoca, gli Studios erano impegnati nella pre-produzione del primo Capitan America, e nel programma di scrittura venivano sviluppati personaggi come Pantera Nera, Dottor Strange, Iron Fist e i Guardiani della Galassia. «Io cercavo di dare forma a queste sceneggiature di modo che ci si potesse girare un film», ha rivelato lo stesso Moore, ovvero colui che ha messo mano alla prima bozza di Guardiani della Galassia, scritta da Nicole Perlman, prima che arrivasse James Gunn, e che poi ha supportato la lavorazione di The Winter Soldier e Civil War. Ora tutti i progetti che Moore teneva in incubazione stanno per debuttare. Tra tutti, Black Panther è «una vittoria personale e professionale», scrive The Undefeated, «per un film che si preannuncia unapologetically black, nero e senza rimorsi di esserlo».

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Nate Moore (foto di Paras Griffin/Getty Images)

Moore ha a cuore le questioni che riflettono la propria identità culturale, come l’introduzione di personaggi afroamericani. Raccontando la genesi di Falcon in Capitan America: The Winter Soldier dice: «Volevamo un personaggio che potesse stare al passo con Capitan America, non esserne subordinato. Dare ai ragazzi degli eroi che riflettano le loro esperienze è importante. E trattare questi personaggi con lo stesso livello di rispetto verso la storia come fossero i Capitan America o gli Iron Man del mondo è molto importante».

«È difficile fare un film che si regga in piedi da solo», spiega Moore, che per convincere Feige a procedere con Black Panther gli ha propsto di inserirlo in Civil War. «Se riuscissimo a lanciarlo nel contesto di una storia più grande, ci sarebbe una possibilità». Che il pubblico non conosca il personaggio è solo uno dei non-problemi che Moore sta affrontando. «Quando abbiamo parlato di introdurre Falcon, che era un personaggio che amavano da ragazzino, gli sceneggiatori mi hanno detto: “Ah, sì? Alla gente piace Falcon?”». Pur con un budget meno faraonico (o almeno si suppone, visto che anche Ant-Man è costato molto meno rispetto ai film sui Vendicatori), per definirsi un successo ci sarà bisogno degli introiti internazionali. «Come si supera il pregiudizio che i film con un cast afroamericano non incassano bene nei mercati chiave?» gli hanno chiesto. «Sì, c’è pressione sul film perché esiste un tradizione di prodotti che non hanno funzionato al livello di altri film. Ma il marchio Marvel trascende ogni trepidazione».

Sembrano dimostrare questa tesi i successi degli ignoti Ant-Man e Guardiani della Galassia, anche se per ammissione di Moore stesso, ciò che davvero conta è una storia raccontata bene, e il fattore etnico non dovrebbe costituire un problema: «Il pubblico è più progressista di quanto si pensi. Non guarda Fast and Furious pensando “Aspetta un secondo, ci sono un sacco di minoranze in questo film!”. Non importa a nessuno. Vogliono solo le macchine».

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