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RecensioniNovitàPerché proprio Lucky Luke?

Perché proprio Lucky Luke?

Renoir Comics ha da poco tradotto in italiano un nuovo albo inedito dedicato al cowboy solitario creato da Morris nel 1946. Si tratta di L’uomo che uccise Lucky Luke, scritto e disegnato dal talentuoso francese Matthieu Bonhomme. Sessanta pagine in cui l’iconico personaggio del fumetto e dell’animazione d’oltralpe viene brutalmente calato in un contesto realistico, marginalizzando gli aspetti comici che ne avevano decretato il successo. Il prolifico autore non è nuovo a questo tipo d’ambientazione. Aveva infatti già visitato il vecchio west in Texas Cowboys, realizzato in collaborazione con il collega Lewis Trondheim.

uomo che uccise lucky luke bon homme

La storia si apre mostrando quello che il titolo promette: il cowboy riverso a faccia in giù nel fango, affianco a lui la sua inseparabile colt, dalla schiena un rivolo di fango cola a terra insozzandogli il gilet nero. Nella tavola successiva inizia un lungo flashback che ci svelerà le dinamiche che hanno portato all’ “uccisione” dell’eroe del west.

Lucky Luke è uno dei personaggi umoristici francesi che meglio è sopravvissuto alla morte dei suoi creatori o padri putativi (il subentrato Goscinny ai testi, in questo caso). Se infatti, ad esempio, gli sceneggiatori succeduti alla scomparsa del co-creatore di Asterix, Uderzo compreso, non sono stati mai realmente capaci di mantenere vitale i personaggi del piccolo villaggio dell’Armorica, i prosecutori delle avventure dell’eroe delle praterie, a diverso titolo, sono riusciti quasi sempre a calarsi nei suoi stivali in maniera più che soddisfacente, raggiungendo un coinvolgente equilibrio fra mimetismo, rispettoso omaggio e contributo personale. Quanto detto vale anche per i diversi spin-off di Lucky Luke i quali, pur non raggiungendo i livelli della serie principale, hanno costituito dei buoni surrogati per i fan più assetati delle avventure del personaggio, in attesa del successivo, corroborante episodio.

uomo che uccise lucky luke bon homme

L’uomo che uccise Lucky Luke si pone su un binario separato rispetto alla produzione “ufficiale” legata al personaggio, film e serie animate comprese, come la recente I Dalton, 191 episodi che hanno rinverdito il successo dei personaggi di Morris presso la platea dei più giovani. In effetti è difficile capire a chi sia veramente dedicato questo albo. Il personaggio omaggiato è snaturato a tal punto da rendersi irriconoscibile persino ai fan, se non fosse per la caratteristica mise. D’altro canto, la trama che viene sviluppata, un western fin troppo classico, non è abbastanza originale da stare in piedi senza l’icona chiamata a sorreggerla. Capire se, come recita il titolo, Lucky Luke è stato davvero ucciso – un interrogativo che non lascerà di certo con il fiato sospeso – è davvero un motivo sufficiente all’acquisto?

Viene da chiedersi quale sia stata la motivazione che ha spinto Bonhomme a prodursi in questo omaggio piuttosto incompiuto. La prima risposta che viene in mente è: la volontà di sfruttare una delle icone classiche del fumetto francese (e non solo), ad oggi ancora piuttosto famosa. Certo, immaginare un Lucky Luke (semi) realistico e praticamente privo di qualsiasi traccia di umorismo è un esercizio di stile che forse avrebbe guadagnato ritmo e godibilità se espresso in un minor numero di pagine. Le sessanta tavole di L’uomo che uccise Lucky Luke sono troppe per quella che, in fondo, è un’idea sola. Il resto è un intreccio già visto che, nella tradizione del personaggio, sfrutta alcuni dei più classici topoi della saga della frontiera. In questo caso specifico, come da tradizione della serie, il personaggio realmente esistito su cui si incentra la vicenda è il famoso pistolero e giocatore d’azzardo Doc Holliday (qui traslato per ragioni di sceneggiatura in Doc Wednesday).

lucky luke bonhomme

Dal punto di vista esclusivamente grafico le cose vanno decisamente meglio. Il Bonhomme disegnatore sorpassa il Bonhomme sceneggiatore. Se in Texas Cowboy il suo tratto ricordava quello del Cavazzano più realistico, qui il segno è più vicino al Morris delle origini. Senza particolari guizzi, riesce a trovare un buon equilibrio tra un approccio realistico e una riduzione caricaturale, anche se quest’ultima risulta disinnescata dalla già citata scelta di eliminare la componente umoristica. Inoltre, la colorazione dell’albo, basata su quella antinaturalistica dei disegni originali di Morris, è davvero notevole.

L’unica concessione alle origini comiche del personaggio è il leitmotiv del “fumo-mancato”. Nel corso di tutto l’albo, infatti, Luky Luke cercherà di accendersi una sigaretta ma il fato complotterà costantemente contro di lui. Il riferimento è da ricercarsi probabilmente nella svolta salutista del cowboy, quando, alla fine degli anni Ottanta, sostituì la sua immancabile cicca con un filo d’erba.

Ci sono, quindi, un paio di elementi di pregio che rendono la fruizione dell’albo, in sintesi un po’ faticoso e davvero troppo telefonato (a partire dal titolo), piacevole e ammiccante. Tuttavia, questi non rispondono alla domanda principale che la storia suscita: perché proprio Lucky Luke?

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