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RecensioniNovitàDark Night: Batman e i demoni dell’autobiografismo

Dark Night: Batman e i demoni dell’autobiografismo

Intro enciclopedico per spiegare le cose per bene. Dark Night: A True Batman Story è un fumetto scritto da Paul Dini e disegnato da Eduardo Risso che racconta una vicenda realmente accaduta allo sceneggiatore. Dini ha scritto moltissima animazione e diversi fumetti, ma è conosciuto principalmente per essere stato uno degli artefici dei cartoni di Batman degli anni Novanta, dando un contributo significativo al pantheon del personaggio con la creazione di Harley Quinn e segnando l’apice degli adattamenti a cartoni del supereroe. Nel 1993, dopo la prima stagione dello show, Dini viene attaccato da due malintenzionati che lo picchiano a sangue lasciandogli cicatrici fisiche e psicologiche.

dark night batman

Prima storia di Batman a uscire nella linea Vertigo (la sezione dura e adulta di DC Comics), Dark Night parla di quella notte e di come abbia impattato sulla personalità di Dini. La storia è canonica: persona dalla vita soddisfacente subisce evento che rompe gli equilibri, segue crisi e ritorno a un nuovo equilibrio, diverso dal precedente perché il protagonista è maturato nel mentre. Le basi, proprio. Lo sceneggiatore la espande in 120 pagine, mettendoci le sue ossessioni, i fatti suoi e dei suoi amici, costruendo il personaggio Paul Dini con pochissimo sforzo di immaginazione, visto che si discosta poco dalla realtà (racconta per esempio che suo nonno ha ricevuto il cavalierato italiano: ho guardato il sito del Quirinale e la storia è veritiera). Su questa base di realismo pragmatico, Dini spalma le sue fantasie, i suoi cartoni preferiti di quand’era bambino, quelli su cui ha lavorato da adulto, e ovviamente Batman, Joker e la galleria dei cattivi che lo show degli anni Novanta ha contribuito a far conoscere alle masse.

È difficile parlarne, perché Dark Night è ricattatorio, parla del suo vissuto e c’è una marea di obiezioni che potrebbe presentarsi di fronte a qualcuno che prova ad analizzare questo fumetto, una su tutte: «È la sua esperienza, è soggettiva e lui ha reagito così a una cosa a cui qualcun altro avrebbe reagito in chissà quale altra maniera». E poi perché Dini stesso costruisce la storia in maniera ruffiana. Basta vedere come apre il fumetto, con un primo piano sul suo volto coperto di bendaggi post-operatori – un’immagine che diventa inquietante per il modo in cui Risso la presenta, dall’alto ma leggermente arretrata con l’ombra nera della flebo a oscurare in parte la tavola.

La cornice in cui l’io fumettistico racconta la storia come se stesse illustrando gli storyboard di un cartone animato è una modalità strana, più funzionale a Dini per le cose che vorrebbe dire che al lettore. C’è dell’evidente protagonismo: Dini racconta una storia in cui una versione a fumetti di Dini racconta la versione a fumetti della storia di Dini. È uno e trino, in pratica. Tutte queste cose vorrebbero far entrare il lettore in empatia con il protagonista, ma non ci sono riescono quasi mai. Sì, ti dispiace per l’accaduto, ma fuori dalle pagine in cui succede il fattaccio non c’è nulla che ti faccia provare simpatia per lui. Ha il lavoro dei sogni. D’accordo, è senza la ragazza – ed è il 1993, quindi avrà dovuto farsi amica la fantasia – ma può millantare di essere pappa e ciccia con Steve Spielberg (senza neanche avere il senso di colpa dato dalle bugie) e pescare a strascico nel mare delle aspiranti attrici di Los Angeles. Se un uomo sia in grado di desiderare più di così, io proprio non so cosa. Paradossalmente, è più raggelante l’imbarazzo che prende a guardare Dini piangere, venti e fischia anni dopo, mentre pubblicizza il volume sul podcast di Kevin Smith.

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Miglior battuta della storia: «Vorrei che restassimo amici a prescindere dalle nostre frequentazioni». «Io almeno li bacio prima di ucciderli»

Joker glielo dice, a un certo punto: saresti dovuto ammattire, quella sarebbe stata una bella storia. Sei troppo documentaristico, troppo poco fittizio. Ma Dini vuole raccontare ciò che gli è successo, non ciò che gli sarebbe potuto succedere. Il problema allora ricade sull’aggiunta di Batman e compagni nel quadro. Dini li giustifica mettendo su carta delle riflessioni molto poco profonde sui personaggi della DC, e alla fine Ala d’Acciaio ne esce come un coro greco, tradendo il sottotitolo originale del graphic novel, A True Batman Story. Dentro alla dicitura c’è il gioco di parole tra il fatto che una storia di Batman possa anche essere vera e all’interno di essa Dini gioca con gli elementi di verità e finzione, tratteggia effettivamente delle considerazioni sul realismo di Batman (anche con piccole cose, tipo il senso di realizzazione nel vedere il suo cartone animato tracimare nella realtà sotto forma di merchandising).

O quando analizza Joker in un paginetta, cosa fatta meglio e con più acutezza da Max Landis e Jock in Adventures of Superman #14, che arrivava a una conclusione simile, ossia che Joker è un personaggio e non una persona, qualcosa che la gente può interpretare, ci si può divertire, ma nulla di concreto e soprattutto sistematico. Anche il duo Landis/Jock tra l’altro illustrava la lezione con un’idea metanarrativa, una carrellata dei vari Joker visti negli anni (cinematografici, televisivi, fumettistici). Ma sembrano discorsi tangenziali al cuore del racconto – e forse è per questo che è finito nella linea Vertigo.

Di buono ha che si legge d’un fiato e può vantare un Eduardo Risso che buca la pagina (i credits dicono che ha fatto tutto lui, colori compresi, io mi fido). Forse ispirato da Land of Enchantment di Norman Rockwell (ce l’ho rivisto moltissimo in tante pagine), Risso desatura i colori, staglia personaggi consistenti contro figure bidimensionali. Confonde i piani rifiutando una grammatica coerente nella rappresentazione di realtà e immaginazione, perché per Dini/Risso sono la stessa cosa: a volte i cartoni sono in tinta seppia, altre volte sono i ricordi reali a essere disegnati come parto di un sogno. Cade nel noir quando c’è di mezzo il crimine, è borghese quando disegna cene intime e serate di gala, è in palla col design dei cattivi (prende le mosse dalla serie animata ma poi va su una strada tutta sua, vedi Poison Ivy) e porta avanti il motivo iconico dell’occhio sinistro, quello che gli aggressori di Dini colpirono con più forza.

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Bastava questa, Dini e Risso invece vanno avanti per un’altra pagina intera reiterando la metafora

Pare strano a dirlo, perché Dini dovrebbe essere abituato a lasciar parlare le immagini, eppure, nonostante la palese bravura dell’argentino, Dark Night non si fida abbastanza del linguaggio visivo per comunicare le idee. Talvolta è pedissequo e spiega l’immagine fino a privarla di suggestione. C’è, per esempio, una scena in cui Dini e compari ricevono l’Emmy per il lavoro sulla serie di Batman. Dopo la cerimonia, Dini è in bagno e si punge con il premio, raffigurante una spigolosa musa dell’arte. L’immagine dell’Emmy che lo ferisce al volto, facendo gocciare il sangue, viene ripetuta e spiegata nella pagina successiva, togliendole ogni forza.

Quando ho spulciato il fumetto prima di mettermi a leggerlo seriamente, ho formulato nella mia mente una recensione-pregiudizio. Mi sembrava una lunga autoanalisi a spese del lettore, disegnata benissimo, ma che per salvare la baracca dalla noia mette in scena un finto studio dei personaggi di Batman e Joker, non concedendo altri brividi. È così solo in parte, perché in fin dei conti non è una storia noiosa.

Dark Night: A True Batman Story
di Paul Dini e Eduardo Risso

DC Comics/Vertigo, 2016
120 pagine a colori, $ 22,99

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