x

x

FocusOpinioniAscesa e caduta dell’illustrazione spaziale

Ascesa e caduta dell’illustrazione spaziale

La fantascienza, che in inglese è più propriamente la “scienza romanzata” (“science fiction”, quasi come il titolo di questa rubrica) è in buona sostanza una forma di narrativa speculativa. Una narrativa, cioè, che, partendo da basi scientifiche sufficientemente solide, cerca di trovare ipotesi di futuro che possano essere narrate. Dentro questo quadro ovviamente ci sono milioni di possibili variazioni e, nel tempo, moltissime in effetti sono state provate da autori di epoche diverse e parti diverse del nostro pianeta.

Un ruolo che però la fantascienza ha sempre mantenuto, soprattutto a partire dalla Grande Depressione americana (subito dopo la Prima guerra mondiale) è stato quello di apripista ottimista per la scienza, di cheerleader per il futuro. Grandi scoperte, sia teoriche e speculative (pensate ad Einstein e a Hubble, che hanno rivoluzionato il modo in cui percepiamo il nostro posto nel tempo e nell’universo) che pratiche (invenzioni di tutti i generi, l’inizio della corsa allo spazio), hanno cambiato radicalmente la faccia degli Stati Uniti e del mondo Occidentale. Da Jules Verne ed Emilio Salgari a Edgar Rice Burroughs, a cavallo di quasi un secolo si sono succeduti i narratori di avventure del futuro in cui uomini e tecnologie arrivavano a confrontarsi in contesti inediti. Quella del progresso è una storia più antica, che parte dall’Illuminismo e attraversa le rivoluzioni industriali dell’Ottocento, ma che ha avuto sistematicamente bisogno di diverse forme di narrazione per essere resa comprensibile al corpo sociale: dalle Grandi Esposizioni Universali alle Enciclopedie, fino alla strutturazione del sistema scolastico moderno che, da un punto di vista semiotico, è il libro di testo nel quale leggere la declinazione della modernità.

navi-spaziali

In tutto questo, come abbiamo visto negli ultimi mesi in questa rubrica, l’illustrazione e il disegno hanno giocato un ruolo fondamentale. La fantascienza e il fumetto, la fantascienza e l’illustrazione, la fantascienza e la radio o la televisione e il cinema, sono lati di un connubio indissolubile tra scienza e fantasia. Ma c’è un ambito che abbiamo colpevolmente trascurato finora: l’illustrazione spaziale a fini scientifici. Mi riferisco a un lavoro che è sempre passato sotto tono ma che in realtà ha una dignità e un ruolo pari, se non superiore (come vedremo tra un attimo), a quello dei grandi illustratori raccolti in opere come Grandi Navi Spaziali dal 2000 al 2100, di cui abbiamo già parlato in passato.

A partire dal Rinascimento il rapporto tra artisti e scienza è stato fondamentale e molto stretto. Leonhart Fuchs, botanico tedesco, disegnava le piante che studiava con una precisione fino a quel momento inedita. Possiamo considerarlo il punto di inizio dell’illustrazione nelle scienze, che per quanto giovani fino a quel momento consideravano non necessarie le immagini per amplificare il discorso teorico o l’osservazione pratica. Follia, avrebbero detto le generazioni successive di scienziati, che si sono legate a illustratori – o hanno manifestato loro stesse grandi talenti come illustratori – per rappresentare l’oggetto dei loro studi. La botanica e le scienze naturali ne hanno tratto enorme giovamento, ma anche le scienze umane, tra queste l’archeologia, hanno fatto dell’interpretazione artistica disegnata il mezzo fondamentale per costruire la propria memoria di archivio e di lavoro.

Con la nascita della fotografia durante la seconda metà dell’Ottocento, e poi con le variazioni del cinema e della radiografia, la relazione tra illustrazione e scienza è cambiata: non più lavori fatti a mano ma per la prima volta erano disponibili immagini “realistiche” estratte da quelli che per l’epoca erano “nuovi media”.

Rimanevano tuttavia alcuni ambiti in cui il ricorso alla capacità di sintesi e di immaginazione dell’artista era necessaria e anzi inevitabile. Uno di questi è lo spazio, i pianeti e le comete o i sistemi solari remoti, dove l’occhio umano non può ancora posarsi né naturalmente né con l’aiuto di sonde e apparecchi fotografici e video.

È “l’artista spaziale”, l’illustrazione scientifica fatta arte: da quella per illustrare i romanzi sulla conquista della Luna di Jules Verne (1865) a quelli dei primi astronomi dilettanti come Lucien Rudaux, un francese che decise di illustrare in maniera innovativa (e all’epoca molto criticata) la superficie lunare, ma in maniera tale che le prime sonde Apollo trovarono, nonostante fossero passati venti anni dalla sua morte, straordinariamente precisa e puntuale.

A fare la differenza fu però un artista americano, Chesley Bonestell, architetto (lavorò alla progettazione del Chrysler Building di New York) e illustratore per Life. Nel 1944 le sue illustrazioni di Saturno visto dalla superficie delle sue lune utilizzavano una tecnica talmente realistica da cambiare per sempre la percezione del gigante del nostro sistema solare e a creare interesse e supporto da parte del governo e dell’opinione pubblica Usa per i viaggi spaziali. Lo stesso Werner Von Braun, lo scienziato tedesco responsabile dei razzi e missili nazisti passato poi agli americani e diventato il padre del programma spaziale della Nasa, ha definito il lavoro di Bonestell come “il ritratto più accurato che la scienza moderna possa offrire di quei remoti corpi celesti”.

Chesley Bonestell Saturn from Titan
Chesley Bonestell, “Saturn from Titan”

Negli anni del Dopoguerra, ma la stessa cosa si può dire anche oggi, è apparso chiaro che molti astrofisici e studiosi di alto livello in generale non pensano in maniera visiva. Se è vero che per supportare la conquista della frontiera americana i primi pittori e illustratori del Grande West (assieme a uno sparuto drappello di fotografi) ebbero un ruolo fondamentale nel rappresentare spazi oggi mitici come Yellowstone e Yosemite (e che allora erano pura fantascienza), è anche vero che c’era bisogno della stessa cosa per quanto riguardava la frontiera dello spazio. Anche perché nei lavori di ricerca di alto livello non appariva nessuna rappresentazione visiva neanche lontanamente interpretabile dal grande pubblico delle scoperte effettuate.

Invece, quei dipinti e quei disegni del West e del Nord-ovest, così come un secolo dopo le rappresentazioni dello spazio vicino e lontano, erano un modo per convincere le persone ad andare oltre, vedere cosa c’è dietro l’angolo, esplorare strani, nuovi mondi e poter giungere là dove nessuno è mai giunto prima, per dirla alla Star Trek. Nell’epoca del consenso popolare si tratta di qualcosa di più che non semplice pubblicità: è la base stessa per ottenere riconoscimento e approvazione al proprio filone di ricerca.

La vera svolta moderna della rappresentazione artistica dei corpi celesti avvenne però anni dopo: era il 1995 e per la prima volta venne scoperto un pianeta extraterrestre capace di ospitare la vita. Si trattava della stella piuttosto remota 51 Pegaso, le cui oscillazioni facevano intuire che la gravità di un pianeta modificava in modo appena percettibile il movimento dell’astro alieno. Per la prima volta c’era la prova osservabile dell’esistenza di pianeti al di fuori del sistema solare. E questo pianeta, chiamato 51 Pegaso b, si trovava a 600 mila miliardi di chilometri dalla Terra; era cioè impossibile da vedere anche con il telescopio più potente.

Tuttavia, l’occhio della mente viaggia più veloce e più lontano: Lynette Cook, illustratrice scientifica che vive a San Francisco, decise di raccogliere informazioni da alcuni astronomi e poi realizzò un dipinto del pianeta che lo metteva a contrasto del suo sole alieno: un dipinto realistico e molto espressivo, e soprattutto basato, anziché sulla fantasia di un illustratore di storie di fantascienza, sulle considerazioni di scienziati per mostrare una scoperta altrimenti invisibile all’occhio umano. Fu un enorme successo, e contribuì in modo determinante al successo della scoperta presso il grande pubblico.

Lynette Cook
Lynette Cook

Il dipinto di Cook si inseriva in maniera spettacolare in una sorta di rinascimento dell’illustrazione spaziale, in cui erano forti ad esempio i dipinti dei primi pianeti extraterresti. Ma nei venti anni successivi alla scoperta di 51 Pegaso b, ne sono stati trovati altri tremila e l’entusiasmo degli appassionati è calato. Così come è calato il budget per le illustrazioni. La nuova generazione di telescopi, incluso il telescopio orbitante Hubble, ha cominciato a produrre immagini pubblicabili di nebulose, galassie, e anche prospettive inedite dei pianeti e delle lune del sistema solare. Inoltre, le successive missioni spaziali che hanno portato sonde sui corpi celesti del nostro sistema solare, dalle comete alle lune degli altri pianeti e poi su Marte e Venere, hanno raccolto immagini strabilianti che hanno sostituito alla fantasia dell’interpretazione artistica capace di sintesi potenti la realtà brutale e piuttosto parziale del mondo “reale”. Poi, come se non bastasse per i poveri illustratori, a partire dalla fine degli anni Novanta la capacità di avere delle animazioni digitali sintetiche sempre più credibili è cresciuta in maniera esponenziale.

Adesso ci sono aziende e gruppi di lavoro come lo SVS, lo Scientific Visualization Studio composto da scienziati e “visualizzatori digitali” che lavorano sui dati forniti direttamente dalla Nasa a scopo di marketing: mostrare, spiegare, interessare, “agganciare”. La Nasa, sempre alla ricerca di nuove fonti di finanziamento, ma anche gli scienziati che debbono costruirsi una reputazione scientifica basata anche sulla propria capacità di fare relazioni pubbliche, hanno trovato in questo strumento digitale piuttosto grezzo un modo semplice ed efficace, allineato con i blockbuster hollywoodiani, per mostrare le magnifiche e progressive sorti della loro ricerca.

C’è però un limite forte in quello che viene fatto con i software digitali come quelli usati da SVS, che poi sono gli stessi software usati da Pixar per i suoi primi film. La differenza è sottile ma fondamentale: si tratta di strumenti di traduzione dei dati più che di espressione dell’intuizione artistica costruita sulla base di una solida ricerca. E in ogni caso molti dei risultati più interessanti vengono tenuti in seconda linea sul sito della Nasa, come se si trattasse di animazioni digitali di servizio anziché “artistic impression” pensate per comunicare con il grande pubblico.

Altri tentativi di questo genere sono stati portati avanti in varie parti del mondo: soprattutto a Ginevra, dove ha sede il Cern, è attivo il programma Arts@Cern, che ha porta alcuni artisti (illustratori ma anche autori e fotografi) accanto agli scienziati con la speranza di comunicare le ricerche estremamente complesse dell’ente di ricerca europeo al pubblico internazionale, in parallelo alle attività museali e di creazione di galleria.

Il dialogo tra scienza ed arte, tra illustrazione e spazio, è aperto a molteplici interpretazioni. La visualizzazione della scienza, cioè qualcosa che vada oltre i manuali illustrati di anatomia delle scuole di medicina o i pallottolieri verticali con la rappresentazione schematica degli atomi o del DNA, è un’esigenza fondamentale per la divulgazione ma anche per la rappresentazione sociale di noi stessi e dei nostri pensieri collettivi. È un settore che può influenzare non solo la pubblica opinione ma anche accendere la fantasia di giovani, futuri scienziati, e servire da strumento sintetico di comprensione dei problemi e delle scoperte per altri scienziati. L’arte, scientificamente basata, ha dimostrato di poter essere una forma di comunicazione a livelli diversi da quelli eminentemente razionali. Il futuro potrebbe insomma trovarsi all’incrocio tra la ricerca e la capacità di esprimere la propria sensibilità.

Leggi tutti gli articoli di Antonio Dini


*Antonio Dini, giornalista e saggista, è nato a Firenze e ora vive a Milano. Ha un blog dal 2002: Il posto di Antonio.

Ultimi articoli

“Orazio Brown”, il vecchio West secondo Giuseppe De Nardo e Bruno Brindisi

La casa editrice Green Moon Comics ripubblica i fumetti western di Giuseppe De Nardo e Bruno Brindisi con protagonista Orazio Brown.
ultimate spider-man anteprima marvel comics hickman

Radar. 15 fumetti da non perdere usciti questa settimana

Una selezione di alcuni dei fumetti pubblicati in settimana, che secondo noi meritano la vostra attenzione.

Il clone malvagio di Jean Grey in “X-Men ’97”, spiegato

Nel terzo episodio di "X-Men '97" gli eroi hanno dovuto affrontare un clone malvagio di Jean Grey, anch'esso proveniente dai fumetti Marvel.
Ads Blocker Image Powered by Code Help Pro

Ads Blocker Rilevato!!!

Abbiamo rilevato che stai utilizzando le estensioni per bloccare gli annunci. Il nostro sito è gratuito e il lavoro di tutta la redazione è supportato dalla pubblicità. Supportaci disabilitando questo blocco degli annunci.

Powered By
Best Wordpress Adblock Detecting Plugin | CHP Adblock