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FocusOmosessualità in Giappone, tra realtà e fantasia: il caso Genshiken

Omosessualità in Giappone, tra realtà e fantasia: il caso Genshiken

Fujoshi, sostantivo femminile.
Letteralmente, “ragazza marcia”. Termine gergale giapponese riferito alle fanatiche di manga, anime e altri media appartenenti al genere BL (Boys Love)/yaoi. Il corrispettivo maschile, più raro, è fudanshi.

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Sapevate che a Tokyo, nel quartiere di Ikebukuro, esiste un’intera via di negozi specializzati in materiale a tema yaoi – sì, insomma, in cui gli uomini fanno le cosacce con altri uomini? La chiamano Otome Road e, come c’è da aspettarsi, è la mecca delle fujoshi.

Qualsiasi cosa possa venirvi in mente, e probabilmente anche qualcuna a cui non avreste mai osato pensare, lungo l’Otome Road potete trovarla. Manga, dvd, drama CD (funziona che i doppiatori si mettono al microfono e interpretano proprio il tipo di scene che state immaginando; il tutto viene poi corredato di un ricco assortimento di effetti sonori, in verità abbastanza grotteschi) e merchandise di ogni tipo, ma anche valanghe di doujinshi, i fumetti erotici autoprodotti ispirati alle serie ufficiali. Inoltre, due volte all’anno si tiene il Komiket, la più grande fiera di doujinshi del Giappone, e lì si scatena l’inferno. Orde di fanciulle lo assaltano equipaggiate di zaini o addirittura trolley, per poi trascinarseli dietro, al ritorno, pieni fino a scoppiare.

Di fronte a simili immagini, o anche solo alla quantità di personaggi e sottotesti queer presenti nei manga e anime più mainstream (solo nel majokko ci sarebbe abbastanza materiale per un dossier in tre puntate *wink-wink*), è facile farsi l’idea che il Giappone sia un paese, se non progressista, almeno molto tollerante in questo senso.

E infatti è vero che, storicamente, la cultura giapponese non contempla pregiudizi di ordine morale verso le pratiche omosessuali (anzi, pare che a molti samurai piacesse incrociare le spade anche in camera da letto), se non quelli di matrice cristiana assorbiti dall’Occidente, ed è comunque molto raro che si verifichino episodi di violenze e crimini a sfondo omofobo. Questo significa che l’omosessualità sia accettata dalla società giapponese? Beh, non a caso uno dei termini più inflazionati quando si parla della terra del Sol levante è “contraddizione”. La situazione è un po’ più complessa di così, e meno rosea di quanto potrebbe sembrare.

Nell’esplorare la situazione della comunità LGBT in Giappone (la mole di materiale sull’argomento è sconfinata, ma per farsi un’idea generale segnalo una raccolta di testimonianze di prima mano), colpisce la mancata percezione, da parte di buona parte della popolazione, dell’omosessualità come qualcosa di reale. Di omosessualità e tematiche affini si parla molto poco sul piano sociale e politico, al punto che non esiste una vera e propria legislazione atta a combattere le discriminazioni a sfondo omofobo o a riconoscere in alcun modo i diritti civili delle coppie formate da persone dello stesso sesso.

Anche se tra le nuove generazioni sembra esserci una maggiore consapevolezza, sono ancora molti i giapponesi che percepiscono l’omosessualità come qualcosa di astratto, che non li riguarda da vicino. È roba da gaijin (che è un modo poco carino per dire “stranieri”), o al massimo da gente del mondo dello spettacolo. Questa mancanza d’informazione sfocia, da un lato, in una generale confusione tra orientamento sessuale e disforia di genere, che spesso vengono fatti coincidere, e, dall’altro, in una scarsa visibilità dei membri della comunità LGBT che non siano maschi e gay: di lesbiche, bisessuali, persone transessuali o transgender si parla ancora meno.

Nonostante le opere di finzione giapponesi pullulino di esempi in questo senso, l’invisibilità sociale delle persone queer rende molto facile relegare tali figure alla sfera della fantasia.

Sailor Neptune e Sailor Uranus saranno anche due ragazze che si amano, ma non sono ragazze vere. Inoltre, manga e anime sono roba per otaku, e solitamente essere otaku in Giappone implica un certo grado di emarginazione sociale. Quanto allo yaoi, si tratta di un genere creato da donne per altre donne, ben lontano dall’intenzione di proporre una visione realistica dell’omosessualità. Basti pensare che il termine è un acronimo di “Yamanashi, Ochinashi, Iminashi”, che si traduce in “nessun climax, nessun epilogo, nessun significato”. Direi che rende l’idea.

Tutto sommato, dunque, le opere che affrontano in modo realistico queste tematiche o che si occupano degli aspetti più controversi del vivere l’omosessualità in Giappone non sono moltissime, almeno sulle pagine delle testate mainstream. Immaginate la mia gioia, quindi, nello scoprire che un seinen manga (indirizzato a un pubblico adulto e prevalentemente maschile) ospitato sulle pagine di una rivista generalista stava raccontando la nascita di un amore tra ragazzi, di cui uno crossdresser, e che lo stava facendo nel modo ‘giusto’! E figuratevi il mio orrore quando [SPOILER ALERT!] l’autore ha ben deciso di buttare tutto all’aria, liquidando il rapporto fra i due come una fantasia irrealizzabile. Ma andiamo con ordine.

Il club degli otaku Genshiken, da uomini a donne

Ricordate Otaku Club Genshiken? È un manga di Kio Shimoku incentrato sulla vita quotidiana dei membri del Genshiken, un circolo universitario “per lo studio della cultura visiva moderna”. Sì, insomma, un covo di otaku socialmente inetti e ossessionati da manga, anime e videogiochi. In Giappone è stato serializzato a partire dal 2002 sulla rivista Afternoon (Kodansha), mentre in Italia è stato pubblicato da Star Comics, dapprima sulle pagine di Kappa Magazine e poi in volumi monografici. Nel nostro paese non è però mai approdato il seguito, Genshiken Nidaime, iniziato nel 2010 e concluso nell’agosto 2016.

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In questa seconda parte dell’opera, quasi tutti i membri storici del club si sono laureati cedendo il posto a una nuova generazione di otaku. E, con essa, a un bel cambio di prospettiva, perché le nuove reclute del Genshiken sono tutte fujoshi, ovviamente marce fino al midollo. Dopo averci portato in giro per fiere coi ragazzi a caccia di gadget in edizione limitatissima e belle cosplayer da fotografare, questa volta Genshiken si affaccia sul lato femminile della cultura otaku. Shimoku dimostra di conoscere sorprendentemente bene l’oscuro mondo e le arcane circonvoluzioni della mente di una fujoshi, e sceglie di rappresentarli senza tanti filtri e infiocchettamenti, offrendone al lettore uno scorcio tanto esilarante quanto realistico (io lo so solo perché me l’ha detto un’amica, che credete?)

Tra loro c’è anche la deliziosa Hato-chan, o meglio, Hato-kun. Kenjiro Hato è un fudanshi che, per prendere parte alle attività del club, si veste da ragazza – inutile dire che è molto più aggraziato, femminile e alla moda delle sue colleghe. Poiché cambiarsi d’abito nei bagni dell’università è vietato, Hato è costretto a usare come base d’appoggio l’appartamento di Harunobu Madarame, ex membro del club ormai laureato che, però, ha qualche difficoltà a lasciare il nido del Genshiken.

L’attrazione tra i due è immediata. Madarame non può fare a meno di restare incantato dalla bellezza e dai modi gentili di Hato, e per qualche motivo il fatto che in realtà sia un maschio non fa che aggiungere un certo fascino del proibito alla situazione. Proprio come nei suoi dating sim di genere trap, in cui bisogna corteggiare bei ragazzi che, però, sembrano in tutto e per tutto ragazze.

Dal canto suo Hato, da appassionato di yaoi, vede in Madarame un perfetto prototipo di uke (nel gergo, il membro della coppia che “riceve”) per alimentare le sue fantasie.

Sebbene a prima vista possa sembrare solo un manga umoristico, il cuore pulsante di Genshiken sono sempre state le relazioni tra i personaggi, che l’autore sa indagare con grande sensibilità e delicatezza. Il rapporto tra Hato e Madarame, per ovvi motivi, è un campo minato: il rischio di trattarlo con superficialità o di ridurlo a mero espediente per qualche scena di fanservice è dietro l’angolo. Shimoku, invece, non si tira indietro e sembra deciso a esplorarlo fino in fondo, affrontandone anche gli aspetti più delicati e spinosi in una chiave sorprendentemente realistica. Col tempo, la curiosità reciproca innescata dai rispettivi fetish si evolve e si trasforma, per i due, in qualcosa di molto più profondo.

Un crossdresser spaventato dal crossdressing

Prima ancora di entrare nel vivo della loro relazione, buona parte del manga viene dedicata a esplorare la questione dell’identità di Hato. Dapprima, il ragazzo rivendica la propria eterosessualità e afferma di travestirsi solo per confondersi alle altre ragazze del club, per essere accettato come una di loro. Il crossdressing gli permette di incarnare la sua “fujoshi interiore”, che Hato percepisce come una sorta di seconda identità che abita il suo corpo. Infatti, quando veste panni maschili, lei lo perseguita sotto forma di apparizione, commentando e interpretando ogni sua interazione con Madarame in ottica yaoi. Ogni incontro è il pretesto per dare vita a fantasie erotiche uscite dritte da una doujinshi, che poi Hato-chan traspone su carta in forma di fumetti e illustrazioni.

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Certo, questo fa parte dell’essere una fujoshi. Anche le sue colleghe disegnano scene simili con protagonisti i maschietti del club – se volete provare a guardare un episodio dell’anime per farvi un’idea, fatevi un favore e recuperate Madarame Sou-Uke (stagione 2, episodio 5), in cui Madarame viene bollato una volta e per sempre come passivo.

Ma quando si accorge di voler trasformare quei disegni in realtà, Hato va nel panico. Spaventato dai suoi stessi impulsi, cerca di rinnegare questo lato del suo essere abbandonando il crossdressing e lo yaoi, ma ne ricava solo frustrazione e infelicità. Senza contare che non basta disfarsi di gonne e parrucche per far scomparire ciò che prova per Madarame. Solo nel momento in cui il ragazzo fa pace con i suoi sentimenti e decide di provare a viverli fino in fondo, anche se questo significa mettere in dubbio tutto ciò che credeva di sapere su sé stesso, il conflitto di personalità svanisce e lo spettro della sua fujoshi interiore smette di perseguitarlo. Abbracciando le proprie passioni, Hato riesce finalmente ad accettarsi.

Quanto a Madarame, improvvisamente tutti lo vogliono. Fino a poco prima era uno sfigato rassegnato alla perpetua verginità, ora è attorniato da pretendenti come il protagonista di un harem manga. Oltre ad Hato, tre sono le ragazze interessate a lui: Angela e Keiko, entrambe procaci e intraprendenti, e Sue, una studentessa straniera che si esprime solo attraverso citazioni di anime e che incarna alla perfezione l’ideale femminile di Madarame, la loli dalle forme acerbe.

Eppure, proprio com accade negli harem manga, fin dall’inizio è chiaro come il sole per chi batte il suo cuore. Perfino le sue rivali sono costrette ad ammetterlo: Madarame si illumina quando vede Hato. Se si tratta di lui, nonostante l’insicurezza patologica e il terrore per le donne in 3D, Madarame sa farsi deciso e intraprendente. Forse proprio perché non è una donna, o forse perché gli piace così tanto da scoprirsi disposto a mettersi in discussione per lui, su tutti i fronti.

Una sera, dopo aver bevuto un po’, Madarame inciampa e finisce per cadere addosso ad Hato. Entrambi conoscono fin troppo bene quella situazione, è un vero e proprio classico. Madarame l’ha vista mille volte nei suoi harem, Hato nei suoi yaoi. Ma il caso vuole che quest’ultimo, in quel momento, sia vestito da uomo. E così Madarame scopre che davvero non gli importa, che non si vuole fermare (ovviamente ci penserà un terzo personaggio, interropendoli sul più bello. Mai una gioia).

Amore oltre le identità sessuali (e gli stereotipi manga)…

Resta da affrontare l’ostacolo finale, il più temibile: la realtà. L’ultima barriera tra Hato e Madarame è quell’apparato di fantasie – non solo sessuali – attraverso il quale sono soliti filtrare e, talvolta, distorcere la realtà. Da bravi fanatici di anime e manga, per loro è naturale ricondurre ogni situazione della propria vita a una struttura narrativa che ben conoscono, nella quale sanno come muoversi. Ma quello che può sembrare uno stratagemma per aggirare le difficoltà nei rapporti sociali può diventare un’arma a doppio taglio, perché impedisce loro di stabilire rapporti autentici.

È indispensabile, prima di intraprendere una relazione, assicurarsi che ciò che provano sia reale e attuabile. Sono certi di voler stare insieme per davvero, al di là di feticci e fantasie? Riuscirebbero ad avere una vita sessuale? Madarame è solito immaginarsi come parte attiva della coppia, ma sarebbe disposto a scambiare i ruoli? E poi, ovviamente, ci sono i sensi di colpa e le pressioni della società. Essere omosessuali in Giappone non è facile, per i motivi di cui già si è parlato e altri ancora.

Il lungo, bellissimo dialogo in cui Hato e Madarame affrontano questi argomenti segna un punto di svolta: Genshiken non sta più solo raccontando una storia importante, ma sta parlando apertamente di cose importanti, e lo sta facendo sulle pagine di una delle riviste seinen più diffuse del Giappone. È quasi troppo bello per essere vero. E infatti è anche il punto in cui avrei fatto meglio a smettere di leggere.

…e poi il tracollo. Shimoku ha rovinato Genshiken?

Marzo 2016. Esce il fatidico capitolo 122: è giunto il momento che Madarame prenda una decisione. L’esclusione di Angela e Keiko era scontata, ma resta la scelta tra Hato e Sue. Ed è qui che le cose si mettono male.

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Madarame liquida quest’ultima con poco riguardo, dichiarando che gli piace molto di più starla a guardare mentre, fingendosi il personaggio di uno yuri, si scambia effusioni con l’amica Ogiue. Al lettore fedele e coinvolto (eccomi) scatta una prima stortura di naso: povera Sue, trasformata in carburante per fantasie erotiche. Forse meritava un po’ più di rispetto.

Ma il peggio arriva dopo, quando Madarame decide di rifiutare anche il suo ultimo pretendente. Con la seguente motivazione: il fatto che Hato nutra tanti dubbi e timori significa che evidentemente dentro di sé non riesce ad accettare l’idea di stare con un uomo. Meglio lasciar perdere, quindi. In fin dei conti, Hato è solo un ragazzo a cui piacciono lo yaoi e il crossdressing, niente di più e niente di meno. Così è molto più semplice, no?

Sì, è senza dubbio più semplice. Peccato che sia anche anticlimatico e incoerente, sia dal punto di vista narrativo che da quello dell’evoluzione dei personaggi.

La ritrattazione di Madarame suona più come una scusa raffazzonata per cavarsi da un brutto impiccio – impiccio che, beninteso, riguarda l’autore, non il personaggio. E che dire di Hato che, dopo aver tanto combattuto contro i propri limiti per conquistare le sue attenzioni, accetta il rifiuto di Madarame passivamente, concludendo che in fondo si tratta della soluzione migliore? Un’inversione di marcia in piena regola, peraltro ingiustificata e sbrigativa. Avevamo lasciato due personaggi maturi e consapevoli, spaventati ma pronti a correre dei rischi. Due ragazzi che avevano messo in dubbio tutte le loro certezze l’uno per l’altro, che si erano cambiati a vicenda, convinti che valesse la pena di provarci.

Un percorso di circa sei anni, spazzato via nel giro di poche tavole

È come se il fumettista Shimoku avesse corso una lunga corsa ad ostacoli, superandone tutte le insidie, solo per poi gettare la spugna e arrendersi a pochi passi dal traguardo. Che si sia reso conto che è dopo il traguardo che iniziano le vere difficoltà, e questo l’abbia fatto desistere?

Proseguire lungo quella strada, evidentemente, sarebbe stato troppo difficile. Evidentemente, non valeva la pena di provarci. Che è una cosa che non si dovrebbe mai dire dell’amore. Perché spingersi tanto in profondità se, in ogni caso, intendeva optare per un nulla di fatto?

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Personalmente, sospetto (o forse voglio illudermi) che la sua decisione sia stata dettata da imposizioni editoriali. Ammetto di essermi ritrovata a pensare più di una volta, durante la lettura, “non riesco a credere che siano riusciti a infilare questa scena in un seinen”. Forse c’è sempre stato un limite a quanto Shimoku potesse tirare la corda, e quel limite era presentare ufficialmente Hato e Madarame come una coppia.

Del resto, questa svolta narrativa ha scontentato alcuni fan, ma i più se ne dicono soddisfatti: mettere da parte introspezione, romanticismo e tematiche LGBT, per molti lettori, significa tornare al vero spirito di Genshiken.

Fatto sta che il rifiuto di Hato da parte di Madarame pare voler sancire il trionfo della realtà sulla fantasia, del buonsenso sugli assurdi viaggi mentali di due otaku. Un messaggio col quale non posso che dissentire. Ancora più allarmante è il parallelo suggerito tra la vita sentimentale di Madarame e la sua situazione lavorativa: subito dopo aver scaricato Hato, dichiara di volersi trasferire per cercare un lavoro. Come a dire che è ora di smettere di sognare e mettere la testa a posto.

Sì, la storia tra Hato e Madarame è nata come una fantasia, ma poi si è evoluta, ha conquistato la terza dimensione. E invece, un attimo dopo, questa gli è stata strappata. L’omosessualità, ancora una volta, è stata ricacciata nel mondo della fantasia. Perfino in un manga.

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