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RecensioniNovitàL'ultimo sorso del morto: lo spaghetti-horror di Davide Garota

L’ultimo sorso del morto: lo spaghetti-horror di Davide Garota

“Anche la polvere del nostro amore è qualcosa, confrontata al nulla del mondo.” Questa la romantica, poetica e nichilista citazione da Sergio Quinzio in apertura de L’ultimo sorso del morto, secondo graphic novel di Davide Garota pubblicato da Tunué.

Leggi l’anteprima del fumetto

ultimo sorso del morto davide garota

Classe 1979, Garota si era segnalato nel 2013 con Il fuoco non ha amici, sempre per Tunué, un esordio ambientato nella sua provincia marchigiana, dove l’elemento di maggiore interesse, come notato da Andrea Tosti su queste pagine, stava nel contrasto tra la narrazione piana, prevedibile e senza sorprese tipica della provincia italiana e uno stile nervoso, deformato, talmente vivido e catturato dall’urgenza da sembrare a tratti “tirato via”.

In questo caso, invece, Garota abbandona la rassicurante ambientazione nostrana per assecondare il suo lato selvaggio, rifuggendo i canoni del realismo per una violenta, caciarona e spensierata storia action con venature horror. Più che la Vertigo, come dichiarato nella presentazione del volume, di cui si può rilevare al limite l’elemento soprannaturale affrontato da un punto di vista adulto e non edulcorato, il riferimento ci pare semmai certo cinema di exploitation italiano, ma non solo. Mario Bava, Joe D’Amato o Ruggero Deodato, per l’elaborazione giocosa e sfrontata delle logiche del noir e dell’horror, e la rilettura in chiave contemporanea alla maniera di Rob Zombie o del Tarantino più irriverente e low-profile (quello con Rodriguez, per capirci).

Il killer prezzolato Jerry Braxter, protagonista della vicenda, ci viene presentato nelle prime pagine in un bianco e nero corposo, dal taglio irregolare. Il suo incontro con la Morte, personificata nelle piacevoli vesti di una ragazza immersa nella sua vasca da bagno, lo trasforma in un invincibile e letale assassino, con un’unica regola da seguire scrupolosamente: più persone ucciderà, più tempo gli resterà da vivere. Niente di difficile per il nostro protagonista, che accetta il patto non tanto per un comprensibile istinto di conservazione ma soprattutto per poter continuare a prendersi cura della figlia malata, autistica e con un tumore al cervello molto raro nell’uomo, più frequente nei cani.

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A questo punto la trama in bianco e nero si interrompe, come si interrompe la parte realistica del racconto: Braxter perde i sensi e al suo risveglio prende inizio la trama a colori, nella quale si realizza il potere di invincibilità del nostro angelo della morte. Jerry Baxter mostra fin da subito le doti da animale selvaggio che la Morte gli aveva riconosciuto: riceve un incarico da Mister Burbank, un anziano collezionista di cimeli che ha subìto il furto del pezzo più importante della sua collezione, la Porsche Speedster nella quale perse la vita James Dean.

L’esito scoppiettante della missione svela epifanicamente la capacità da immortale del protagonista, che si scopre, oltre che uno spietato assassino, anche un personaggio spaventoso nella sua disperazione nichilista. Il soldato che l’America ha mandato a morire per tenere basso il prezzo del petrolio, il Sogno americano realizzato in carne e sangue, si fa portavoce di una dottrina escatologica, che oppone al vuoto e all’insensatezza dell’esistenza la morte come causa ultima, come motore immobile: un nichilismo romantico che ci riporta alla citazione iniziale di Quinzio.

Il libro da cui è tratta, dal titolo Dalla gola del leone (Adelphi, 1980), così come tutto il discorso portato avanti da questo originale teologo ed esegeta biblico, è una dolorosa presa d’atto della “sconfitta di Dio”, a partire dalla mancata resurrezione dei morti nel giorno della salvezza. Di fatto, scrive Quinzio, solo il figlio di Dio è risorto, mentre il resto dell’umanità è rimasta mortale e peccatrice, nell’attesa perenne di una salvezza che non arriverà mai. In questa interpretazione critica e pessimistica della fede, la rilettura che Quinzio fa dei passi evangelici più noti (il pastore che va in cerca della centesima pecora perduta e al ritorno trova le altre novantanove sbranate dai lupi, il figliol prodigo che riprende a sperperare denaro per divertimento, eccetera) potrebbe includere anche questa cupa storia raccontata da Garota.

Il padre amorevole che rinuncia alla propria umanità per salvare la figlia sventurata è una grottesca apologia dell’amore e della morte, le uniche verità indiscutibili in un mondo senza senso. Sta al lettore decidere se prestare fede a questo crescendo tarantiniano di massacri e miracoli, oppure interpretare tutta la trama a colori come un sogno del protagonista in punto di morte, confidando quindi solo nella realtà delle tavole in bianco e nero. Resta in ogni caso la figura di questo personaggio immortale, selvaggio esecutore della distruzione del mondo per la salvezza della figlia, perfetto eroe-cane al servizio di una trama feroce da horror nichilista, di puro, sregolato movimento.

L’ultimo sorso del morto
di Davide Garota

Tunué, 2016
182 pagine, 16,90 €

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