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RecensioniNovitàThey're Not Like Us, o gli X-Men secondo Eric Stephenson

They’re Not Like Us, o gli X-Men secondo Eric Stephenson

Deve essere difficile svegliarsi tutti i giorni e accorgersi di essere Eric Stephenson. Passare dal guadagnarsi da vivere come scrittore di seconda fascia all’essere un faro nella notte per l’editoria a fumetti statunitense. Prima quasi nessuno sapeva chi eri, ora invece sei il motore propulsore della rinascita di Image Comics. Molti addirittura ti vedono come un autentico visionario. Ogni anno i tuoi discorsi alla ComicsPRO (ecco quelli 2014 e 2016) o alla ImageExpo (2014, 2015 e 2016) vengono tradotti e riportati sui siti di settore di mezzo mondo. E ogni volta non fanno che raccogliere, in maniera assolutamente meritata, il plauso di tutti.

Con Nowhere Men avevi deciso di tornare a scrivere, ma stavolta lo facevi in salda posizione di comando. Con bene in testa quello che stava rendendo grandi le uscite Image di quel preciso momento storico. Quindi riferimenti pop, una trama fuori di testa, un taglio autoriale che non poteva fare a meno di uno spirito “di genere”, e grandi disegni. E per grandi si intende freschi, originali, tagliati su misura attorno alla sceneggiatura e all’istante in cui quelle pagine andavano in stampa. Hai preso il trend del nerd – in senso di feticista della scienza, non di semplice alienato dalla realtà – e lo hai sviscerato come nessuno era riuscito a fare prima. Lo hai reso una base solida e credibile per una trama avvincente, evitando di ridurlo a mero combustibile per meme o commedie televisive.

Il risultato è stata una serie apprezzata da tutti, candidata a qualche premio importante e che ti ha donato una nuova verginità di sceneggiatore. Non eri più il mestierante al lavoro su Prophet e Youngblood, ma quello che scriveva poco e in maniera sempre ficcante, mai banale. Un bel ribaltone. Che ha portato, tuttavia, a qualche nuovo problema. Sei riuscito a passare dall’ombra a una sorta di gabbia dorata dove nessun errore ti è permesso. Così eccoci al tuo nuovo, attesissimo lavoro: They’re Not Like Us. Ovvero gli X-Men secondo Eric Stephenson, un fumetto che doveva essere – per forza di cose – qualcosa di unico.

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Per chi se lo stesse chiedendo: il tanto temuto passo falso c’è stato? Nemmeno per scherzo. E questo nonostante si tratti di una serie, a tratti, fastidiosamente furba, diluita e con poca carne al fuoco. Non si tratta di essere troppo generosi, ma semplicemente di passare sopra a difetti che – seppur gravi – non riescono a inficiare le qualità di un titolo meritevole di una lettura da parte di tutti.

Il segreto di tale successo è da ricercare, ancora una volta, nella capacità di Stephenson di leggere la realtà. Mentre le major cercano di convincere le nuove generazioni a concedere una possibilità al fumetto rendendo le loro pubblicazioni sempre più inclusive, Eric arriva al risultato tratteggiando una generazione di giovani egomaniacali, con regole proprie e molto più svegli di quanto pensino gli over 30. Li amerete se vi ci riconoscerete, o li odierete se il gap temporale tra voi e loro risulterà troppo ampio per essere colmato.

La grande intuizione dietro They’re Not Like Us sta nell’aver dato vita a un gruppo di giovani straordinariamente dotati, cresciuti in un ambiente incapace di comprenderli, senza nessun Charles Xavier a prenderli per mano. The Voice e compagnia sono quindi stronzi individualisti, violenti, egoisti, privi morale tradizionale? Assolutamente sì. Qualcuno li giustifica? No. Alla stessa maniera qualcuno li accusa per quello che fanno? Probabilmente voi sì, ma Stephenson non ci pensa neppure. Meglio piuttosto spostare l’attenzione sul perché tali doni siano sfruttati in maniera tanto sconsiderata. E cosa potrebbe nascerne se qualcuno decidesse di eliminarne gli aspetti più problematici.

I più maliziosi vedranno negli sviluppi della trama una serie di paraculate iperpositiviste sulle nuove generazioni. Anche se, in realtà, è ben più tangibile la volontà di concentrarsi sulle tante sfumature di grigio sospese nella zona di mezzo tra giusto e sbagliato. Per capirci, pensate a una versione molto, molto edulcorata del saggio sulla violenza Come un’onda che sale e che scende di William T. Vollmann.

they're not like us 1

La premessa della serie non è certo delle più banali, e Stephenson ha pensato bene di circondarsi di talenti in grado di valorizzarla al massimo. Simon Gane riesce a dare a ogni tavola un tono sospeso tra l’intimità del graphic novel e e la spendibilità del fumetto seriale. I suoi tratti tremolanti indicano bene l’andazzo intimista della storia, senza mai finire in territori troppo minimalisti o fintamente artistici. Sebbene la regia sia basica e non riservi nessuna finezza o colpo di genio, Gane sa prendersi i suoi spazi e approfitta dei campi lunghi per riempirli di particolari e prospettive curiose.

Il risultato non è troppo diverso da quello di fenomeni web come Shinji Tsuchimochi, tanto per far capire come l’intera operazione si nutra prima di tutto di contemporaneità. Ottimo anche il lettering del sempre presente Fonografiks, graphic designer responsabile della calligrafia delle serie Image più in voga. La sua scelta di utilizzare lo stampatello minuscolo rafforza ulteriormente lo spirito di Gane, dando una bella compattezza all’insieme. I colori alla Wes Anderson – ricordato anche nella scelta del font della testata – di Jordie Bellaire fanno il resto.

Da buon editore qual è, Stephenson assembla un mostro da laboratorio, cucendo ogni parte al posto giusto. Anche senza leggerne una sola parola e semplicemente guardando la copertina, They’re Not Like Us arriva proprio dove deve arrivare, conquistando immediatamente il lettore che potrebbe esserne interessato. Un risultato che, da solo, spiega un sacco di cose sul successo inarrestabile della Image da cinque anni a questa parte.

They’re Not Like Us vol. 1
di Eric Stephenson, Simon Gane e Jordie Bellaire
saldaPress, 2016
152 pagine a colori, € 14,90

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