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FocusIntervisteChris Ware: tempo e spazio

Chris Ware: tempo e spazio

Lo scorso novembre, Chris Ware, l’autore di Jimmy Corrigan e Building Stories, è stato uno dei protagonisti principali del festival bolognese BilbolBul, con una mostra dedicata al suo lavoro e un interessante incontro con il pubblico condotto dallo scrittore e traduttore Francesco Pacifico. Il testo che segue è un estratto dalla trascrizione delle risposte di Ware a Pacifico durante la conferenza, pubblicata integralmente sul numero 106 della rivista Scuola di Fumetto, ora in edicola.

Chris Ware BilbolBul intervista
Chris Ware alla mostra personale allestita a durante BilbolBul

Fumetto: l’arte del ritmo

Il fumetto, oltre a essere un’arte della scrittura, è anche un’arte del ritmo. Ogni volta che penso a questo penso a Tolstoj, e la sua grande capacità di catturare il ritmo, nei dialoghi, nelle azioni, nelle persone. Ogni nostro gesto è un tentativo di segnare il tempo, ed è molto evidente a ognuno di noi quanto questa delimitazione del tempo viene fatta in maniera innaturale e ingannevole. Molto spesso succede che gli adulti tendono a nascondere così alcune parti di sé e a creare delle versioni di se stessi più nobili, per non scoprirsi mai completamente.

Andare, quindi, a cercare l’onestà nel movimento e nel ritmo è molto importante per me. In questo senso, anche in una tavola di fumetto senza le parole, il movimento e il ritmo possono diventare musica. Il passaggio tra una vignetta e l’altra, tra un’inquadratura e l’altra può diventare musica e può produrre i suoni solo mentali. Probabilmente vi sarà successo, leggendo un fumetto privo di testi, di notare che comunque ci sono dei suoni che avvengono all’interno della vostra mente, e sono dei suoni che secondo me risalgono al periodo preverbale dell’evoluzione umana, al momento in cui la nostra specie non era in grado di controllare il linguaggio. Ci si limitava a un linguaggio fatto di grugniti, di suoni e urla, ma poteva essere lo stesso tipo di suono accattivante che magari oggi ci cattura all’interno di una melodia di una canzone pop. È qualcosa che ci fa risuonare un passato molto antico, e magari lo stesso ritmo che ci sembra oggi accattivante in realtà in passato era il suono di qualcuno che stava uccidendo un suo simile a mazzate dentro una caverna. Ovviamente il ritmo è fondamentale solo nel fumetto, nel romanzo e nell’arte cinematografica.

Spazio e memoria

Per quanto mi riguarda, spazio e memoria si completano a vicenda. Art Spiegelman una volta ha dato una definizione meravigliosa del fumetto, definendolo quell’arte che riesce a far diventare il tempo, spazio e lo spazio, tempo. Infatti, noi stessi nel momento in cui ci muoviamo nello spazio, percepiamo il tempo e viceversa. Non so dire come i nostri pensieri possano influenzare la realtà, ma so per certo che i nostri pensieri e la realtà sono costituiti dalla stessa energia. Un paio di anni fa, il Nobel è stato attribuito a due scienziati che hanno esposto una teoria secondo la quale, quando vediamo delle strutture architettoniche, i nostri neuroni sono in grado di creare delle miniature fisiche all’interno delle proprie strutture. Non so come questo possa accadere, ma è bellissimo pensare che all’interno delle nostre menti ci possono essere dei duplicati esatti di alcune strutture.

Ricerca

Non credo si possa mai abbandonare lo studio, la ricerca. Non arriva mai un momento nella vita in cui si può dire di essere diventati abbastanza bravi. Il celebre pittore Katsushika Hokusai ha detto che solo a cento anni sarebbe stato più o meno in grado di disegnare bene. Il tipo di segno che sviluppo nella ricerca quando disegno dal vero o pittorico, non è quello che metto nel miei libri di comics, perché l’arte del comics è un’arte legata alla lettura, non tanto alla visione. È la stessa differenza che passa tra il cantare e il parlare: sono due cose simili, vicine fra loro ma non sono identiche. Quando posso cerco di evitare di inserire dei disegni eccessivamente espressivi o eccessivamente descrittivi all’interno dei miei fumetti, perché voglio che il disegno risulti assolutamente trasparente, voglio che il mio sia un segno tipografico perché desidero che il disegno sia brutto a sufficienza affinché ci si possa concentrare solo sulla storia che si racconta e non sull’estetica. Voglio che si mantenga alta l’attenzione per vedere come va a finire la storia.

Il fumetto e le altre espressioni

In origine credevo che, nell’usare il fumetto, avrei trovato dei limiti. Inizialmente, mi sono avvicinato a questa forma d’arte per vedere se riuscivo a tirare fuori emozioni. Ho così scoperto che il fumetto è un medium estremamente flessibile e ricco. Sono però scontento del fumetto rispetto ai tempi creativi: ci vuole tantissimo per disegnare una pagina dove – ad esempio – un personaggio si muove da un punto a un altro, mentre uno scrittore per la stessa scena impiega un paio di minuti.

Inoltre, c’è un rapporto di tempo tra 1 e 10 mila tra fare un fumetto e leggerlo e questa è ovviamente fonte di enorme frustrazione. Ci sono momenti in cui penso che forse avrei dovuto fare qualcosa di diverso, ma non avrei mai potuto essere un pittore, sarei stato un pittore mediocre. Scrittore, invece, già lo sono, ma sono forzato a fare il fumettista perché penso per immagini. Fondamentalmente per me il senso del tratto è riuscire a mettersi in dubbio nel momento in cui si disegna qualcosa.

Una volta a una fiera con Charles Burns e Daniel Clowes, che conoscevo da anni, parlavamo e ho chiesto loro di ritrarmi. Mentre li guardavo, vedevo come usavano il pennello, come disegnavano, tutta la loro abilità, mi rendevo conto di quanto avessi ancora da imparare e di quanto non sarei mai stato in grado di disegnare come loro. Eravamo lì che parlavamo di disegno, che ci guardavamo, che vivevamo quell’istante: facevamo arte attraverso uno scambio. Nel caso coinvolti in questo scambio ci sono degli artisti, si tiene traccia del momento producendo un oggetto d’arte – un ritratto in questo caso – ma anche chi non produce materialmente arte trasforma il processo di interconnessione in ricordi, in memoria, e fa arte in qualche modo. Quindi quando mi si chiede come io faccia a produrre queste opere, dico sempre che nel momento in cui ognuno di noi sta parlando con qualcuno e lo guarda negli occhi, sta già disegnando il contorno di quel viso. Poi, magari non si prende il pennello in mano e non si lascia traccia materiale di questo ritratto, ma in realtà lo si sta facendo comunque.

Sono circondato da giovani artisti che fondamentalmente continuano a creare linguaggi nuovi all’interno del comics. Il fumetto è un’arte giovane, è ancora vitale e in fase di espansione. Tutti noi stiamo cercando di trovare dei modi differenti di tradurre le nostre esperienze nella realtà attraverso l’arte del fumetto. Quanto alla musica, per me il comics già lo è. Inserirla all’interno dei fumetti, cosa che comunque ho sperimentato, risulta essere assolutamente una forzatura.

Credo che tutti noi, della nostra generazione, dei Wallace o Eggers, abbiamo tentato di capire e di trasporre, ognuno nella propria forma d’arte, come ci si sente a essere vivi, a cercare di capire cosa c’è dentro le nostre menti. Abbiamo provato a catturare quella voce interna che può trasformarsi in un pennello, un pennello per dare una visione del mondo: che questo avvenga attraverso un’immagine o attraverso un libro è assolutamente la stessa cosa. In effetti ci sono autori che hanno tentato di fare delle pennellate fin troppo ampie per i miei gusti. David Foster Wallace ha usato un pennello molto fine, molto sottile e ha disegnato un’immagine che di volta in volta diventava tridimensionale, è riuscito a disegnare da tutte le angolature.

Io non so come siate messi voi in Italia nei confronti degli aspiranti fumettisti, ma sappiate che io, come David Foster Wallace, ho avuto un’infanzia difficile. Ho trascorso tutti i miei pranzi a scuola da solo a fissare il muro sperando che nessuno arrivasse di nascosto per darmi una botta in testa.

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