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Mondi POPAnimazioneHideaki Anno: l’animazione come catarsi (Parte 2)

Hideaki Anno: l’animazione come catarsi (Parte 2)

Leggi la prima parte.

Questo articolo fa parte dello speciale Settimana Hideaki Anno.

1995. Nell’ottobre di quell’anno accadono diverse cose, in giro per il mondo. O.J Simpson è dichiarato innocente da una giuria di nove afroamericani e un ispanico. 51 Pegasi B è il primo pianeta extrasolare orbitante intorno a una stella a essere scoperto. Una valanga uccide venti persone nel villaggio di Flateyri, Islanda. Sulla rete TV Tokyo viene trasmessa la prima puntata di una serie intitolata Neon Genesis Evangelion, composta da ventisei episodi di una ventina di minuti l’uno.

Ripensare se stessi

Inizialmente sembra l’ennesimo tributo alla fantascienza dei robottoni ma qualcosa, nei dettagli, dovrebbe far intuire che non è proprio così. Il design degli EVA, giganteschi robot guidati da ragazzini, è qualcosa di unico e mai visto. Il protagonista è un ragazzo svuotato di passione per la vita, un orfano di madre che vive un conflitto pesante con il padre, una figura su cui inevitabilmente gli otaku tendono a identificarsi. La minaccia da cui gli EVA e in generale la NERV (l’organizzazione che si occupa della difesa terrestre) ci proteggono è qualcosa di non definito, esseri organici enormi denominati Angeli. Se l’incipit presenta comunque momenti esilaranti e leggeri, con l’avanzare della serie ci si rende conto che la destinazione verso cui ci sta portando Anno è qualcosa di inedito.

La struttura a strati della serie è, di per sé, rivoluzionaria: la colonna portante è un intricato e complesso intreccio di riferimenti alla cultura religiosa di stampo cabalistico e cristiano, mentre numerosi sono i richiami a testi, concetti, pensieri filosofici e della scuola psicanalitica di stampo freudiano.

Inutile soffermarsi troppo su Evangelion, su cui si è già scritto molto. Prima o poi dedicheremo uno Speciale solo a questo titolo, ma ci basti ora sottolineare alcuni elementi importanti. Evangelion è Hideaki Anno. Con quest’opera il regista si mette a nudo, racconta al mondo i suoi disagi, urla un desiderio di affetto e comprensione. Il percorso che si pone di fronte ai nostri occhi abbandona con il passare degli episodi i lidi rassicuranti di una fantascienza conosciuta e si trasforma in un tragitto interiore che esplode in visionarie riflessioni sull’essere e sul vivere.

La realtà si fa sempre più rarefatta, per essere infine sostituita da un surrealismo orrorifico che altro non è se non lo specchio di noi stessi e della nostra società. Non solo. La qualità eccelsa di Evangelion prosciuga il budget a disposizione. A questo punto Anno si ritrova a dover realizzare le ultime, cruciali due puntate, senza fondi. E dimostra la sua incompresa grandezza: realizza un viaggio introspettivo slegato dalla trama (già di per sé complessa) della serie. Un viaggio nella testa del protagonista Shinji Ikari che è contemporaneamente quella del suo autore. Un outing esistenziale in cui Anno spazia su tutto e tutti, lasciando il mondo a bocca aperta.

Questa spinta sperimentale, un azzardo mai visto nella serialità animata giapponese, ha ovviamente delle conseguenze: un odio spropositato da parte dei suoi fan. Decide così di realizzare due film destinati al mercato cinematografico: Death & Rebirth e The end of Evangelion. Il primo è un riassunto di ciò che succede nella serie fino all’episodio 24. Il secondo narra ciò che succede negli ultimi due episodi fuori dalla testa di Shinji.

The end of Evangelion è quindi un tassello che va a integrarsi perfettamente a un universo narrativo vasto e stratificato, ma è anche un capolavoro tecnico che esprime un pathos inarrivabile e, ancora, una voglia di sperimentare che è pura gioia per gli occhi e per il cervello. Chi ha studiato e scritto di animazione giapponese in maniera analitica e critica è concorde nel considerare Evangelion il punto zero di un periodo particolare nella storia degli anime. La sua portata rivoluzionaria ha dato vita a un vero e proprio rinascimento della serialità televisiva, iniziando ciò che è definita NAS (Nuova Animazione Seriale), di cui fanno parte titoli quali Cowboy Bebop, Serial Experiment lain, Trigun e molti altri. L’esperienza Evangelion è talmente assoluta da portare lo stesso Anno in un vortice, un viaggio senza ritorno. La gloria, il successo mondiale, lo scontro con il proprio pubblico diventeranno costanti di una carriera tanto eccezionale quanto imprevedibile.

love & pop hideaki anno
Da “Love & Pop”, 1998

Anno si dedica subito a due progetti: il primo film dal vivo, lo sperimentale Love & Pop, e la serie animata Le situazioni di lui & lei, tratto da un manga di Masami Tsuda. Appare subito evidente come Anno non abbia intenzione di conciliarsi con la parte più mainstream dell’industria cinematografica e televisiva. Con Love & Pop, esattamente come con il suo lungometraggio successivo Shiki-Jitsu, racconta il lato malato e perverso di una società atomizzata. Con Le situazioni di lui & lei apparentemente si accontenta di mettere in scena uno shojo ma, ancora una volta, si diverte a giocare con le forme, il racconto, i personaggi, riuscendo anche a esplorare generi non esattamente propri con quell’originalità e quell’inventiva che da sempre ha caratterizzato i suoi lavori, trasfigurando stereotipi in nuove forme di linguaggio.

Per incompatibilità con l’autrice del manga, Anno abbandona il progetto dopo il diciottesimo episodio, lasciando però al timone il fidato collaboratore Kazuya Tsurumaki. Dai lavori post-Evangelion appare chiaro come il discorso di Anno sia fondamentalmente incentrato su un’analisi del sociale e delle sue distorsioni, il tutto trasfigurato da generi e linguaggi del visivo specifici.

Rinchiusi in un anello di Moebius

Può un’opera essere tanto ‘assoluta’ da annullare tutto ciò che la segue? Può azzerare le potenzialità artistiche del suo autore? A volte succede. Forse non è il caso di Hideaki Anno, ma sicuramente delle conseguenze ci sono state. Se si esclude l’eccellente lavoro per Le situazioni di lui & lei, l’Anno post-Evangelion sembra aver perso quella verve che lo caratterizzava.

Dopo il discutibile terzo lungometraggio live (Cutie Honey, 2004, da Gō Nagai) torna alla sua passione, animando Sugar Sugar Rune, serie tratta da un manga di sua moglie Moyoco Anno e, infine, al discusso progetto The Rebuild of Evangelion, una tetralogia cinematografica intesa come remake della serie originale, che al momento conta i seguenti titoli: Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone; Evangelion: 2.0 You Can (Not) Advance; e Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo. La motivazione, espressa dallo stesso Anno, che giustifica una tale operazione è quantomeno estrema. Spiegando che il desiderio dell’Evangelion originario era quello di ricongiungere l’animazione nipponica ormai in rovina con le sue gloriose origini, Anno afferma che, a più di dieci anni dalla prima messa in onda, Evangelion gli sembra invecchiato ma comunque ancora un oggetto unico nel panorama degli anime.

Devo ammettere che non sono tra coloro che difendono questa operazione. Al momento esistono solo tre film e non si sa nulla sul capitolo conclusivo, se non che è in lavorazione. Pur apprezzandone il lato tecnico, che specialmente nel terzo film raggiunge vette notevoli, e la volontà di allontanarsi dalla struttura narrativa originaria per creare qualcosa di nuovo, considero The Rebuild of Evangelion l’impasse di un autore geniale, il ripiegamento su se stesso del proprio estro artistico, l’impoverimento della rivoluzione che Evangelion portava in grembo.

Il primo capitolo è quasi la fotocopia delle serie, il che dovrebbe bastare a sottolineare l’inutilità dell’operazione. Il secondo si distacca dalla trama originale mentre il terzo è una vera e propria rivoluzione. Il successo è stato naturalmente importante: fatta eccezione per il primo, il secondo e il terzo capitolo hanno incassato un’enormità, soprattutto in funzione del budget di produzione. Ma, ancora una volta, ritengo l’intera tetralogia, almeno finora, priva di quel fuoco che rese la serie del 1995 un’opera indimenticabile e radicalmente fondamentale.

Conclusioni

Nel 2012 viene diffuso un cortometraggio live contenente una massiccia dose di computer graphic. Il titolo è Giant God Warrior Appears in Tokyo (Kyoshinhei Tôkyô ni arawaru). Il regista è Shinji Higuchi e se il nome vi ricorda qualcosa non state sbagliando: è lo stesso del protagonista di Evangelion, una sorta di omaggio di Anno a un amico di vecchia data. L’idea del corto è di Anno stesso e di Miyazaki, mentre la produzione è di Studio Ghibli, il cui nome campeggia affianco al solito Totoro ma con lo sfondo rosso anziché azzurro. Ancora una volta i due incrociano le proprie strade a ridosso dell’addio di Miyazaki al cinema.

All’inizio di questo speciale si sottolineava come nella vita, e nell’arte, tutto gira, come una gigantesca ruota in cui corsi e ricorsi compongono un immaginario movimento. A conferma di ciò due progetti in cui Anno è immerso ergendosi quasi a paladino di un’animazione in declino. Il futuro di Anno e la summa del suo pensiero sullo stato delle cose nel cinema e nell’animazione sono raccolte e comprese all’interno di due importanti parentesi.

La prima è il Japan Animator Expo, una serie di corti animati rilasciati direttamente su internet, un progetto iniziato nel 2014 di cui Anno, tramite lo Studio Khara, è esponente illustre. La seconda è l’ultimo, importante film co-diretto da Anno (assieme al sodale Shinji Higuchi): Shin Gojira, omaggio all’icona del mostro distruttivo Godzilla. Un ritorno alle origini, alla passione, alla necessità di una visione intrisa di amore per l’immagine. Tutto sembra appartenere a un’energica volontà da parte di Anno di spingere il cinema verso una direzione precisa, nonostante le sue recenti e contraddittorie dichiarazioni in cui spiegava che l’industria dell’animazione ha i giorni contati.

L’idea di Miyazaki di far doppiare ad Anno il protagonista di Si alza il vento, il suo ultimo film, potrebbe in realtà nascondere qualcosa di più importante, un messaggio, una dichiarazione. Perché se è vero che in linea teorica l’erede del cinema miyazakiano è certamente Mamoru Hosoda (il regista di, fra gli altri, La ragazza che saltava nel tempo, Summer Wars, Wolf Children e The Boy and the Beast) è altrettanto vero che Hideaki Anno rappresenta in senso assoluto l’idea di rivoluzione interna cui Miyazaki ha da sempre aspirato con il suo percorso artistico. Ovvero un artista capace di scardinare l’industria e i topoi dell’animazione nipponica attraverso l’esplosione che è l’essenza stessa del suo fare cinema. Per ricominciare un nuovo, sorprendente percorso, Anno non potrà che riprendere da lì, da dove Miyazaki ha concluso il suo viaggio.

miyazaki anno
Miyazaki e Anno, in posa nel deserto

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