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RecensioniNovità"Reborn", l'aldilà secondo Mark Millar e Greg Capullo

“Reborn”, l’aldilà secondo Mark Millar e Greg Capullo

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

reborn mark millar greg capullo

E se quello che facciamo, come ci comportiamo, anche nelle piccole cose, alla fine fosse davvero ricompensato? Questa è l’idea di base di Mark Millar per Reborn, coniugata però con la consueta iconoclastia e sfacciataggine pop, a un mondo fantasy e sci-fi di continue battaglie come in un videogame. Perché chi è stato molto buono o molto cattivo è dotato di poteri sensazionali e appartiene a una delle due fazioni: la Dark Lands e Adystria.

A questo regno incantato è destinata Bonnie, attesa come un Messia, con il ruolo di protettrice e futura regina destinata a sconfiggere il malvagio Golgota, signore delle Dark Lands. Questo perché in vita Bonnie, che sta morendo in ospedale all’inizio della storia, è stata un’insegnante giudiziosa, dotata di genuino altruismo e con una parola buona per tutti. L’unico ad avercela con lei è il suo gatto Frosty, che aveva fatto castrare, e ora è il vendicativo generale Frost delle Dark Lands.

reborn mark millar greg capullo

Il manicheismo è al cuore stesso del progetto e non c’è spazio per grandi sfumature: l’unico personaggio con un minimo di ambiguità è la regina delle fate, che in vita era la migliore amica di Bonnie, Estelle. Profondamente cristiana, è sconvolta dal trovarsi in un aldilà molto diverso da quello che aveva immaginato e dove oltretutto non può ricongiungersi al marito, che è già passato a (ulteriore?) miglior vita quando lei è arrivata in questo mondo.

A dire il vero, lascia perplessi in questo schema così rigido che Bonnie, dipinta come paradigma vivente di virtù, decida di non accettare il proprio ruolo di condottiera e regina contro il male, preferendo invece rischiare tutto nella ricerca del marito. Una missione evidentemente egoista che ignora senza alcuna ulteriore riflessione o senso di colpa la sofferenza che un mese in più di brutale guerra causerà alla letteralmente brava gente di Adystria. Questo dona alla donna la tipica Quest da epic fantasy, in cui l’accompagnano il padre, guerriero prodigioso che non ha però mai ritrovato sua moglie, e il cane che aveva da bambina, Roy-Boy, rinato in una versione gigante e segugio capace di rintracciare i cari estinti (ma misteriosamente non la madre di Bonnie, trama che rimane aperta probabilmente per il secondo volume della serie).

reborn mark millar greg capullo

In sei episodi, di cui l’ultimo lungo circa 40 pagine, Reborn è soprattutto una vetrina per Greg Capullo, inchiostrato da Jonathan Glapion e colorato – tutt’altro che bene, con toni sparati e di poca atmosfera – da FCO Plascencia.

Il disegnatore scatena tutto il proprio immaginario epic fantasy e heavy metal e dà corpo a un mondo fantastico eppure famigliare, come un open world fantasy videoludico sui generis, con in più alcuni elementi tecnologici quali macchine da guerra volanti, fucili e pure automobili, ma dove il riferimento di base è fantastico e magico.

Fra draghi con la testa di leone, fate coloratissime, gatti parlanti, maghi, demoni, elefanti volanti e chi più ne ha più ne metta, Capullo ha davvero di che divertirsi, peccato che questo accumulo visivo arrivi a spese di un reale senso del mondo. Non solo non c’è una logica di base per magia e tecnologia, ma neppure c’è un’idea di geografia, gli scenari si accavallano tra loro, ma sono appena sfiorati, un po’ come in Empress dello stesso Millar e Stuar Immonen. Se là però i personaggi si teletrasportavano e dunque non poteva essere altrimenti, qui si compie invece un viaggio spesso appiedato, la cui sensazione non arriva minimamente al lettore, con conseguente riduzione dell’epica. Rimanendo alle serie Image Comics più spettacolari e fantastiche, Reborn è insomma visivamente molto meno riuscita di Seven to Eternity di Remender e Opeña.

reborn mark millar greg capullo

La semplicità morale del racconto risulta poi stucchevole e l’unico elemento comico e di rottura nel ritratto di Bonnie come una santa donna, è il gatto castrato, la cui vicenda è però chiusa frettolosamente senza conseguenze.

Ancora una volta insomma con Millar sembra di assistere a un’idea per altri medium, presentata con una scrittura veloce e uno dei migliori disegnatori su piazza, ma abbozzata come poco più di un pitch. Buono per una serie Tv spettacolare, dice lui nella post-fazione, ma in realtà più adatto, anche per via dei disegni di Capullo, a divenire un cartoon per famiglie.

divided states of hysteria

Bonus: Difficile capire dal primo numero di The Divided States of Hysteria dove Howard Chaykin voglia andare a parare, ma la serie ha dalla sua una delle copertine più memorabili degli ultimi anni e la consueta, irruenta energia dei lavori migliori dell’autore. Certo l’accavallarsi di didascalie, situazioni e personaggi si presta alla confusione, che trova riscontro anche nelle tavole interne, segnate da una sorta di rumore di fondo tecnologico.

divided states of hysteria

Violento, sessualmente esplicito più o meno come Black Kiss e del tutto disilluso dalla politica americana, The Divided States of Hysteria ha protagonisti diversi assassini che finiscono arrestati e promette una cavalcata folle e cinica in un’America non molto diversa dalla nostra.

Bonus 2: Sicuramente l’albo più discusso della settimana, Batman #24, quello della proposta matrimoniale di Batman a Catwoman, che è però diviso su due tempi e con due diversi disegnatori. David Finch illustra una sorta di inseguimento notturno quasi muto tra i due più celebri personaggi di Gotham, che solo alla fine sfocia nel dialogo e nella proposta.

batman 24 catwoman matrimonio

Il tutto è montato in alternanza alle belle tavole di Clay e Seth Mann, dove Batman parla in pieno giorno appollaiato su uno dei punti più alti della città con Gotham Girl, cui spiega che nel suo essere un eroe non riesce a essere felice.

A parte l’insistenza di Tom King nel far dire a Batman «Io sono Batman», tormentone ormai logoro che leggiamo dal primo numero e che qui arriva a «Io sono Batman perché sono Batman», il dialogo con Gotham Girl è in realtà interessante e mostra un Bruce Wayne molto più umano di come siamo abituati a vederlo, che dà voce alla propria insoddisfazione e dà ragione della proposta a Catwoman nell’ultima tavola.

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