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BANDE A PART(E) [capitolo 12]
Da Hara-Kiri alle Graphic Novel – storie di fumetti e rivoluzioni marginali

Dove, attraversando un po’ a guado i quattro anni che ancora ci separano, ci si avvicina sempre più a tenere in mano, finalmente, una nuova rivista chiamata Pilote.

Allora. Nella linea narrativa dei capitoli dispari siamo ormai arrivati al 1959, mentre in quella dei capitoli pari ci troviamo leggermente indietro, sul finire del 1955. Abbiamo quattro anni da recuperare. Dai allora, sotto.

Spartiacque

Il 1956 è l’anno in cui crollano una serie di certezze che avevano retto paradigmaticamente il decennio precedente. Non so se sia stato un vero e proprio spartiacque per il Ventesimo secolo, come lo definisce Luciano Canfora nel suo squisito libretto, 1956. L’anno spartiacque (Sellerio), ma sicuramente è un anno che segna l’inizio di notevoli cambiamenti storici, sociali e ideologici, come accadrà poi solo nel 1968. Ovviamente le cose non succedono di punto in bianco; è che nel 1956 arrivano a maturazione una serie di percorsi avviati negli anni precedenti, e sicuramente almeno dal 1953, anno della morte di Iosif Vissarionovic Dzugasvili.

luciano canfora

Non che il mondo senza Stalin sia un luogo migliore, sicuramente però è diventato un luogo diverso, in cui le certezze erette dopo la fine della Seconda guerra mondiale cominciano a sgretolarsi.

A febbraio l’opinione pubblica è sconvolta dal XX congresso del PCUS  in cui il mito di Stalin verrà smontato pezzo per pezzo. A luglio Nasser nazionalizza il canale di Suez mandando in crisi il colonialismo europeo, che risponderà con guerra del Sinai, nella conclusione della quale le potenze europee (Inghilterra e Francia) dimostreranno di non essere più tali, piegandosi al volere di USA e URSS. La rivoluzione ungherese di ottobre poi, con il conseguente intervento sovietico, rimescolerà tutti gli assetti politici che governavano il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Ma l’avvenimento che interessa questa nostra storia marginale è un po’ più ridotto come portata. Il due gennaio 1956 si svolsero in Francia elezioni politiche anticipate. Indette dopo una serie di crisi di vari governi conservatori, queste elezioni segnarono una sconfitta epocale per la destra francese, che con l’unica eccezione dell’UFF, il partito di Pierre Poujade, vide ridotta ai minimi termini la sua presenza all’Assemblea Nazionale. La vera sorpresa fu l’affermazione del PCF che ottenne il 25% dei voti (per la cronaca: i comunisti francesi appoggeranno l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Armata Rossa e vedranno, alle elezioni successive, un drastico calo dei consensi) e consentì, con il suo appoggio, la formazione di un governo socialista. René Coty, diciassettesimo Presidente della Repubblica, diede l’incarico di formare il governo a Guy Mollet, il quale – stabilendo il record di governo più longevo della Quarta Repubblica – riuscirà a governare fino al maggio 1957, quando la crisi d’Algeria siglerà la sua fine.

Questo clima di fermento e di ingovernabilità, di continue lotte e crisi sociali, che porterà alla conclusione l’esperienza della Quarta Repubblica, raggiunge il suo culmine proprio tra il 1956 e il 1957. Anche se sembrerà strano, almeno per noi abituati all’attuale impermeabilità del fumetto italiano alle questioni che scuotono la società, questo fermento raggiunse il mondo degli autori di fumetto francesi e belgi.

charlier

Gli autori di fumetti non godevano di nessuna garanzia sociale né di alcun diritto sulle loro opere. Come racconta Charlier (in Guy Vidal, Jean-Michel Charlier: un reacteur sous la plume) gli editori esercitavano una specie di diritto divino sugli autori. Potevano lasciarli a casa senza motivo ne preavviso, anche solo perché uno si era ammalato; potevano far disegnare la serie di cui un autore era titolare a chiunque altro gli andasse. L’editore insomma era un padrone assoluto.

Un esempio: tutto ciò che veniva prodotto sotto il marchio World Press era proprietà di Georges Troisfontaines. Gli autori non avevano alcun diritto. Proprio all’inizio di quest’anno, in questi giorni frizzanti di rivendicazioni sociali espresse nel successo elettorale delle sinistre, Uderzo, Goscinny e Charlier decidono di dare vita a una specie di sindacato dei fumettisti per rivendicare il diritto degli autori a essere proprietari del proprio lavoro. Dopo una serie di incontri segreti tra i nostri tre eroi parigini e gli altri autori belgi, viene stesa una lista di venti punti, da rivendicare con un atto potente: uno sciopero.

Solo che qualcuno tradisce. Qualcuno tra gli autori belgi spiffera tutto agli editori. Dupuis vive la cosa come un grave affronto personale e sebbene Troisfontanes trovi la cosa soprattutto ridicola (e divertente anche), deve consegnare a Dupuis la testa di qualcuno. Goscinny è il candidato ideale. Non è autore titolare di nessuna serie di punta e, presso Dupuis, non è ben visto a causa del fiasco della rivista Tv Family. Niente di personale quindi, però Troisfontanes licenzia Goscinny. Uderzo e Charlier, tuttavia, non abbandonano l’amico. Dopo una furiosa litigata con Troisfontanes, rassegnano le dimissioni e sbattono per sempre la porta della World Press dietro di loro.

Senza un soldo a Parigi

Scritti nella lista nera degli editori, i nostri tre amici restano per un bel po’ di tempo senza possibilità di lavoro. Così sbarcano il lunario nei modi più disparati: venditori porta a porta, magazzinieri, facchini. I lavori più assurdi, va detto, li trova Charlier: prima come responsabile delle relazioni pubbliche della Camera di Commercio della margarina francese, poi come responsabile di un’agenzia che organizza i soggiorni francesi dei notabili africani. Ogni volta che può coinvolge i suoi due amici a fare da comparse nei comitati di ricevimento di re e principi africani. Senza un soldo, abbandonati da amici e colleghi che non vogliono compromettersi, attraversano un periodo davvero duro. A tratti disperato. Finché Jean Hebrard bussa alla loro porta.

goscinny uderzo
Goscinny e Uderzo

Responsabile del settore pubblicità della World Press, Hebrard ha appena ereditato una brasserie in Place de la Bourse. Liberato da ogni preoccupazione finanziaria (il locale è frequentatissimo e frutta bene) lascia la World Press e propone ai nostri tre amici disperati di fare con lui una nuova società editoriale. Così nasce la EdiFrance, la cui sede viene stabilita al numero 2 di rue de la Bourse. Con EdiFrance producono materiale da rivendere alla World Press. A Troisfontanes non interessa chi realizza le storie che acquista; come già detto, nulla di personale; e poi, peraltro, gli autori dei testi non compaiono nei crediti delle storie.

Le serie a cui riprendono a lavorare sono molte. Charlier, che ha un figlio piccolo da mantenere, lavora come un forsennato, non si contano le storie che scrive. Tra le mura degli spogli uffici della EdiFrance Goscinny, Uderzo e Charlier ritrovano l’antica passione di realizzare storie. Ancora non lo sanno, ma il primo piccolo passo verso la realizzazione di quella cosa mai vista prima che sarà Pilote è stato fatto.

È proprio in questo periodo, lavorando a tempo pieno per EdiFrance, che Goscinny rinuncia definitivamente alle sue velleità di disegnatore per dedicarsi esclusivamente all’attività di sceneggiatore. Per capire quale fu l’elemento catalizzante di questa svolta definitiva dobbiamo fare uno di quei passi indietro di cui il lettore, ormai, non potrà più fare a meno.

Si ricorderà, il lettore, che André Franquin dopo il folle viaggio negli Stati Uniti raccontato nel nostro Capitolo 8, mentre i suoi amici Jijé e Morris restavano in terra americana, se ne tornava in Belgio. Fino al 1955 lavora per Dupuis realizzando storie di Spirou e Fantasio e creando il Marsupilami. Poi, proprio nel 1955, litiga con Dupuis. Era solito firmare singoli contratti per ogni volume che pubblicava. Per l’ultimo accetta una diminuzione della percentuale dei diritti in cambio della promessa di una tiratura più alta. Solo che Dupuis non mantiene la parola e tira il solito numero di copie. Franquin è furioso, pretende che Dupuis onori la propria promessa, ma non c’è verso. Se ne va dunque sbattendo la porta e firma un contratto di cinque anni con Le Lombard, la casa editrice del Journal de Tintin. Ma a questo punto si presenta un problema.

franquin
Franquin

Raymond Leblanc, l’editore, chiede a Franquin tavole umoristiche autoconclusive. Franquin pensa a una serie intitolata Modeste et Pompon, ma è abituato a realizzare storie di ampio respiro. Le gag autoconclusive non gli vengono facile. Deve quindi cercare aiuto. Gli dicono “chiedi a quel piccoletto che lavora in EdiFrance, è bravo”. Così Goscinny entra al Journal de Tintin. André Fernez, redattore capo del giornale, apprezza subito il suo lavoro e gli affida un bel po’ di serie.

Poi succede un’altra cosa. Henri Amouroux, autore di un bellissimo reportage di guerra dall’Indocina (Croix sur l’Indochine) era in quegli anni direttore di Sud-Ouest Dimanche. E soprattutto era ottimo amico di Sempé. Una sera, mentre bevono un bicchiere nella brasserie di Hebrard, quella sotto gli uffici di EdiFrance, chiede di fare – a lui e a Goscinny, insieme – una storia per il suo giornale. L’idea di riprendere Le Petit Nicolas fulmina i due. Però niente fumetti. Scrittura e illustrazioni. Rispettivamente, le cose in cui i due eccellono. Sul numero di Pasqua del 1958 di  Sud-Ouest Dimanche esce un racconto del Piccolo Nicolas scritto da Goscinny e illustrato da Sempé. Il successo è strepitoso. I lettori scrivono che ne vogliono ancora. Per i successivi sette anni Goscinny e Sempé realizzeranno più di duecento racconti con protagonista Nicolas. La carriera di scrittore di Goscinny è ormai definitivamente tracciata.

Petit Nicolas

E così siamo arrivati più o meno alla fine del 1958. L’anno che segue sarà, per il fumetto europeo, uno spartiacque come il 1956 lo era stato per la storia europea.

1959

La fine del 1958 è di quelle con il botto. Il 5 ottobre l’introduzione della settima Costituzione repubblicana di Francia segna la nascita della Quinta Repubblica. L’altra cosa rilevante è che verso la fine dell’anno il Journal de Tintin cambia caporedattore. Quale sia la formidabile rilevanza di questo fatto all’apparenza trascurabile, lo dimostra quanto Charles De Gaulle dichiarò in una lunga intervista concessa nel 1969 a André Malraux (raccolta in volume da Gallimard nel 1971 con il titolo Les Chênes qu’on abat…): «Mon seul rival c’est Tintin».

A dicembre Fernez lascia il posto di redattore capo e, a partire dal numero di gennaio 1959, è sostituito da Marcel Dehaye, uomo di fiducia di Hergé (ne era stato il segretario personale e poi l’amministratore del suo studio). Questo avvicendamento segna un netto cambio, in qualche modo reazionario, nell’idea di fumetto da veicolare con la rivista. Idea che segna la vita del giornale almeno fino al 1965, quando la direzione sarà assunta da Greg che cambierà nuovamente le cose. Ma indagare questo aspetto, magari lo faremo altrove.

Due cose, qua, sono rilevanti per la nostra storia. La prima è che pare – così almeno si evince dalle varie biografie consultate – che Hergé non stimasse particolarmente il giovane Goscinny e la nuova scuola di sceneggiatori professionisti che era stata coltivata da Fernez. Va da sé che, con Dehaye redattore capo, i rapporti con Le Lombard si raffreddino. La seconda è che questa posizione ideologica del Journal de Tintin, seguita a ruota da Spirou nella lunga battaglia per la supremazia nelle vendite che li contrapponeva da sempre, lascia aperto uno spazio rilevante per una rivista che sappia farsi interprete dei nuovi tempi appena iniziati.

È in questo momento, probabilmente, che nei quattro soci di EdiFrance si fa strada l’idea di creare una propria rivista.

// Prosegue fra due settimane…

Leggi gli altri capitoli di Bande à parte. Da Hara-Kiri alle Graphic Novel – storie di fumetti e rivoluzioni marginali.

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