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BonelliLavennder, la spaventosa leggerezza di Giacomo Bevilacqua

Lavennder, la spaventosa leggerezza di Giacomo Bevilacqua

Profuma d’estate Lavennder, il primo lavoro di Giacomo Bevilacqua per Sergio Bonelli Editore. Una giovane coppia in cerca di svago approda in un’isola deserta, così lontana dalla civiltà che potrebbe persino non esistere. Ma la vacanza assume presto contorni inquietanti, in un crescendo di tensione che sfocia in un colpo di scena non scontato (che non sveleremo).

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Dopo Il suono del mondo a memoria, graphic novel pubblicato per Bao Publishing, Bevilacqua cambia parzialmente rotta, affidandosi a una storia meno ambiziosa ma più solida, una trama semplice e ficcante su cui poter esprimere al meglio il suo segno espressivo e fresco. Se il graphic novel precedente aveva infatti proprio nello sviluppo della storia il suo punto debole, non esprimendo uno svolgimento alla portata della sua ambizione, in questo caso, complice anche la dimensione “popolare” dell’editore ed il contesto di pubblicazione (lo Speciale estivo, a colori, della collana Le storie) Bevilacqua può confidare su materiale più solido cui attingere.

Il genere infatti è quello tipico degli horror estivi da spiaggia, da Lo squalo in poi (Jaws, Steven Spielberg, 1975), ancora sulla cresta dell’onda con variazioni sul tema interessanti come Blu profondo (Deep Blue Sea di Renny Harlin, 1999) o con gustosi B-movie come Paradise beach (The shallows, di Jaume Collet-Serra, 2016).

Il materiale di partenza viene rispettato e ben gestito, con una coppia di giovani protagonisti che si prende il giusto tempo per farsi apprezzare. Lei si chiama Gwen, è graziosa ed intellettuale, e ha da poco subìto un lutto che le ha fatto capire l’importanza di passare del tempo con se stessa (come darle torto?); lui si chiama Aaron, è biondo, simpatico e rassicurante, un neo-avvocato di scarso successo. Entrambi hanno un’aria normcore, stereotipati quanto basta per farsi riconoscere in poche battute, precari nella vita ma con i piedi ben piantati nel presente, con scarpe alla moda e profili sui social network sempre aggiornati.

La vacanza lontano dalla civiltà rappresenta per entrambi un momento di stacco e di riflessione, di divertimento e di abbandono; e Bevilacqua insinua con efficace cadenza il germe del sospetto, l’elemento perturbante che emana ombre impreviste, che scompiglia gli oggetti nella notte e che a poco a poco acquisisce forme più inquietanti, dirigendo la storia verso un epilogo già scritto.

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Il segno accattivante di Bevilacqua si concentra ovviamente su Gwen, sul suo corpo suadente e abbronzato, sulla sua espressività sbarazzina e curiosa, che nel tempo si fa più cupa e spaventata, com’è uso tra le protagoniste dei film horror cui appartiene di diritto. L’isola senza nome è chiaramente amica e nemesi, con la sua bellezza abbacinante, i colori del mare e del cielo che variano di intensità a seconda del momento della giornata, l’incanto della natura che nasconde pericoli e misteri.

Lo stereotipo dell’isola da cartolina, i personaggi semplici con cui identificarsi, sono in questo caso strumenti essenziali allo sviluppo della trama, liberando l’autore dalle incombenze della storia per consentirgli di concentrarsi sulle immagini, sull’espressività del segno che da solo guida la trama e la porta a compimento. Il taglio orizzontale delle vignette scandisce la narrazione e impone il ritmo degli eventi, dapprima lento e riflessivo, poi sempre più accelerato con l’elevarsi della tensione. E il colore, con manieristica efficacia, a tratti rinuncia al consueto luminoso iperrealismo per evidenziare i picchi drammatici.

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Rispetto a Il suono del mondo a memoria, che per la sua natura introspettiva richiedeva uno sviluppo più approfondito, l’adozione – consapevolmente di maniera – dei codici “di genere” sembra liberare l’autore da gravose incombenze. Il peso delle parole è ridotto, la riflessione è alleggerita; lo spazio è tutto per le atmosfere, la forza semplice del segno, il fascino dei colori e l’eleganza delle forme. Nella rassicurante cornice di un horror da spiaggia, la storia procede senza intoppi arrivando a un finale ben costruito, con un twist tanto ‘tecnico’ (di cui basterebbe dire davvero poco, per rovinare la sorpresa) quanto poco prevedibile.

In questa inquietante leggerezza, nella grazia di un segno moderno ed espressivo, fortemente arricchito dal colore, in una suadente bellezza che a poco a poco svela la propria natura spaventosa e letale, sta l’elemento più interessante di questo lavoro di Bevilacqua. Che ci auguriamo prosegua con questa levità, anche in opere meno dipendenti dai bisogni della formula “di genere”: una strada fertile ed efficace, quantomeno per offrire un gustoso intrattenimento da spiaggia – nel senso meno complessato del termine – che non si faccia schermo di certe pesantezze mascherate da ambizioni.

Speciale Le Storie n. 4 – Lavennder
di Giacomo Bevilacqua
Sergio Bonelli Editore, 2017
130 pp., colore, € 6,30

Leggi anche: Giacomo Bevilacqua, “al servizio del Panda”, tra edicola e web

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