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RecensioniUSAShaolin Cowboy: lo spettacolo disegnato di Geof Darrow

Shaolin Cowboy: lo spettacolo disegnato di Geof Darrow

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

Shaolin Cowboy Stop the Reign

Con il quarto numero di Shaolin Cowboy: Who’ll Stop the Reign si è conclusa la terza miniserie dedicata al personaggio ideato da Geof Darrow ormai tredici anni fa. Dobbiamo riconoscere che il primo numero ci aveva ingannato, facendoci credere ci fosse una maggiore costruzione narrativa rispetto al passato e una ricerca di soluzioni di storytelling più insolite, ma in fondo davvero poco importa: Darrow rimane inarrivabile.

Ogni episodio ruota intorno a uno scontro e a un flashback, via via più improbabile. Se nel primo il protagonista se la vede con alcuni avvoltoi e con una divinità della morte, nel secondo è assalito da un gruppo di sicari che viaggiano su un artropode gigante, con un’auto sopra il carapace. Quindi tocca all’avversario meglio costruito: la scrofa gigante Hog Kong, di cui ci viene raccontata tutta la tragicomica storia, mentre cammina per la città in cerca del cowboy. La accompagna un cane che lascia pisciatine in giro come messaggi in bottiglia per le cagne del quartiere.

Shaolin Cowboy Stop the Reign

Quello di Hog Kong è un vero e proprio circolo karmico, basato sulla vendetta, dove tutto origina da un gesto di Shaolin Cowboy stesso e dal suo tentativo di rimediare facendo la cosa giusta. Il risultato di quelle azioni passate è stato però che la scrofa ha appreso micidiali tecniche ninja e ora le rivolge contro il Cowboy, che ha continuato a odiare profondamente per anni. I due si combattono in cielo saltando tra i pali elettrici e fili della corrente, in uno scontro aereo tanto assurdo e spettacolare, quanto scatologico.

Tutto del resto in Shaolin Cowboy è meraviglioso per la ricchezza del disegno, colorato da Dave Stewart, e al tempo stesso lurido e grottesco, per i dettagli di lerciume dalle feci ai rigagnoli di urina che attraversano la città. Un ambiente urbano dove gli umani non si accorgono dell’iperviolenza che si scatena intorno a loro, così come sembrano non notare il degrado in cui vivono, troppo impegnati a guardare il proprio cellulare. E anche quando qualcuno si accorge di cosa sta succedendo, pensa subito a riprenderlo o fotografarlo per poi osservare la velocità delle visualizzazioni. Nel mentre la città è sovrappopolata di cani, gatti e rettili, molti dei quali parlanti come da tradizione della serie e con dialoghi e azioni in linea al loro carattere animale.

Shaolin Cowboy Stop the ReignShaolin Cowboy Stop the Reign

Nello scontro finale del quarto episodio, Shaolin Cowboy fa roteare per la coda due cani che hanno cercato di ucciderlo con coltelli al posto delle zampe e li usa come micidiali armi da taglio. Sembra qui di tornare alla miniserie precedente, con grandi vignette piene di maciullamenti, dove il protagonista fa strage di figure umane in un tripudio gore. Questa volta però le sue non sono azioni solitarie nel deserto, ma in mezzo a persone che, come si diceva, non fanno caso alla mattanza degli sgherri. Esilaranti anche le ragioni per cui molti vogliono vendicarsi di lui, a loro volta legate all’ossessione per i social, con frasi del tipo «Quando non gli hai messo il like è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso».

Torna inoltre la principale nemesi del Cowboy, il granchio King Crab, che ha un forte legame mentale con una donna coperta da tatuaggi nazisti. Controllata dall’artropode, lei padroneggia un kung fu micidiale, e per batterla il Cowboy dovrà giocare letteralmente molto sporco, cosa per cui torna utile il lerciume della città. Anche le visioni del saggio maestro buddhista e di Robert Mitchum non hanno dunque niente di mistico o sacrale, il tono satirico della serie corrode tutto, a partire dalle nostre abitudini sociali e alimentari, fino al rapporto che abbiamo con gli animali e con la spiritualità e le arti marziali.

Shaolin Cowboy Stop the Reign

Shaolin Cowboy in fondo aveva già detto tutto con la prima miniserie, ma il cambio delle ambientazioni e gli scontri sempre più fantastici messi in scena da Darrow sono una giustificazione ben più che sufficiente per il suo proseguo. Difficile leggere un fumetto realizzato con più cura, arte, amore e divertita creatività di questo.

Bonus: Astonishing X-Men

astonishing x-men 1 2017

Ancora prima di iniziare, la nuova Astonishing X-Men aveva già fatto parlare di sé per il team di disegnatori, che si daranno il cambio a ogni numero. Improbabile che non ne venga fuori un pasticcio, ma naturalmente è presto per dirlo, visto che siamo solo al primo episodio disegnato dall’ottimo Jim Cheung e colorato da Richard Isanove. Seguiranno Ron Garney, ACO, Phil Noto, Greg Land e Ramon Rosanos, tutti artisti dallo stile molto diverso tra loro, per altro.

Alla sceneggiatura invece è stabile Charles Soule, che parte in quarta con un attacco mentale contro Psylocke, la quale chiama in aiuto altri X-Men relativamente vicini. Ma niente paura, risolta la sua possessione arriva subito lo spiegone: il Re delle Ombre è tornato e bisogna fermarlo, subito, nel piano astrale, ma proprio immediatamente, anzi sarebbe meglio ieri.

astonishing x-men 1 2017

Qui Soule si incarta, come non di rado gli capita, tra il tentativo di creare un senso d’urgenza su cui Psylocke insiste, e il didascalismo per cui i personaggi invece si spiegano a vicenda le ragioni della loro scelta, con il consueto battibecco. Così arriva il colpo di scena finale che ovviamente non riveliamo, ma che è quanto di più abusato si possa immaginare in una serie degli X-Men. Insomma una partenza bella da vedere (ma già tremiamo all’arrivo di Land), però schematica e banale da leggere.

Bonus 2: The Wild Storm

wild storm ellis

Con il sesto episodio si sarebbe chiuso quello che Ellis considera il primo arco narrativo di The Wild Storm (ce ne saranno altri tre). Soprattutto però si conferma il senso di delusione per un progetto che si sperava avrebbe rilanciato i personaggi dopo gli orrori del New52. Invece è partito subito con il piede sbagliato: ossia con l’inadeguato disegnatore Jon Davis-Hunt, colorato da Ivan Plascencia con una piattezza che non aiuta. I suoi limiti sono principalmente due: gli ambienti costruiti in modo troppo geometrico, che appaiono poco vissuti o quasi disabitati come la città del primo episodio, e i volti poco convincenti nella recitazione. I momenti migliori sono non a caso le scene d’azione, meglio ancora se tra personaggi mascherati come Cash Cole e gli agenti nemici.

wild storm ellis

Purtroppo The Wild Storm alterna sequenze action splendidamente coreografate – in questo Ellis continua ad avere davvero pochi rivali – a lunghi dialoghi esplicativi dove i limiti di Hunt emergono prepotentemente. Anche la storia del resto non ingrana, troppo appesantita dal dover mettere sul tavolo l’intrigo in cui i personaggi sono coinvolti. Da una parte le IO, International Operations, che controllano in segreto la Terra. Dall’altra Skywatch, gestita da Hendy Bendix (che maltratta la sua assistente anche troppo in puro stile Ellis) e che controlla lo spazio. In mezzo Halo, la corporazione di Marlowe, che appare come un nano ma, come sanno i lettori del WildC.A.T.s originale, è in realtà un alieno. Tutti vogliono Angela Spica, ma molti la vogliono morta, quindi non è poi così difficile per lei scegliere da che parte stare. Va anche peggio per Michael Cray (alias Deathblow), super assassino che sviluppa all’improvviso una coscienza e si dimostra più ingenuo di una suora carmelitana scalza.

Da una parte le lunghe discussioni esplicative e dall’altra le scorciatoie narrative, sono una combinazione che convince poco. Ma prima di disperare aspettiamo: Ellis merita un po’ di fiducia e c’è pur sempre la possibilità che superata questa fase introduttiva le cose ingranino velocemente, coprendo magari un po’ pure i limiti di Davis-Hunt.

Bonus 3: Generation Gone

Generation Gone kot image comics

Una nuova serie Image Comics di Ales Kot è sempre la benvenuta, anche se in questo primo numero di oltre 50 pagine c’è troppa decompressione: gli stessi fatti potevano essere raccontati in un albo di normale foliazione. In breve: tre hacker stanno pianificano un colpo, ma a loro insaputa sono tenuti sotto controllo da un uomo che lavora per una corporazione e crede di poter sbloccare poteri sensazionali attraverso un codice. Il suo capo ferma il progetto e lo umilia, ma questi non si dà per vinto e gli hacker saranno le sue cavie.

Tutte cose che si capiscono già a metà della storia, che Kot infarcisce di scene di vita quotidiana, allenamenti, risvegli, momenti di amicizia e dichiarazioni d’amore, ma pure qualche battuta che denota come almeno uno dei tre ragazzi sia particolarmente inquieto e forse anche un po’ stronzo.

Generation Gone kot image comics

Ai disegni André Lima Araújo, con i colori di Chris O’Halloran, ha un po’ gli stessi limiti del sopracitato Jon Davis-Hunt e non lascia il segno nelle conversazioni. Il suo talento, per quello che ha dimostrato in passato per esempio sulla serie Avengers A.I., è del resto soprattutto visionario – nella capacità di immaginare scenari tra il surreale e il tecnologico – una qualità che la serie promette di sfruttare a dovere nei numeri a venire.

Nel complesso una partenza con del potenziale, ma l’idea non è delle più nuove e Kot cerca di dargli peso scommettendo sui personaggi, che non sono però molto diversi da tipi generici stile drama young adult. Con il finale arriva poi un cliffhanger più prevedibile che scioccante, a riprova che la serie sembra essere derivativa, meno originale e dunque deludente rispetto ad altri fumetti dello sceneggiatore.

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