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“Spider-Man: Homecoming”, grandi poteri senza grandi responsabilità

Se questo non fosse un articolo di Fumettologica ma il lancio di un servizio del telegiornale in prima serata potrebbe intitolarsi “Non hanno ucciso l’Uomo Ragno”. Avevo davvero paura del Ragnetto che sarebbe uscito dall’accordo tra Marvel e Sony, con la prima che tende sempre più alla comicità ingiustificata e la seconda che non azzecca film di Spider-Man dal 2004. Temevo che questo mix avrebbe massacrato il personaggio con un film pessimo; per fortuna mi sbagliavo, e Spider-Man: Homecoming è un film divertente, brillante, che intrattiene.

Unico difetto: non c’è molto dello Spider-Man a cui siamo abituati. Non hanno ucciso l’Uomo Ragno con questo film, semplicemente non l’hanno nemmeno coinvolto.

Leggi anche: Le prime opinioni su “Spider-Man: Homecoming” (che sono positive)

Okay, forse sono stato un po’ drastico. In effetti l’aspetto del personaggio è grandioso, nella sua tutina ispirata direttamente a Steve Ditko, con tanto di ragnatele ascellari. Ha i lancia-ragnatele, il ragno-segnale alla cintura e le miscrospie a forma di ragno, gadget di serie del suo costume realizzato da Tony Stark.

Combatte la piccola criminalità del Queens a suon di battute e aiuta le vecchiette a ritrovare la strada in una delle sequenze più riuscite del film, meritandosi il soprannome di “amichevole Uomo Ragno di quartiere” più di qualsiasi suo predecessore in celluloide.

Tutto questo però non basta a fare di lui un vero Spider-Man. Non basta nemmeno la sequenza ispirata ad Amazing Spider-Man #33 che ha fatto gongolare molti vecchi lettori.

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La scena di Amazing Spider-Man #33, di Stan Lee e soprattutto Steve Ditko, omaggiata nel film

Non sto parlando della mancanza del senso di ragno o dell’assenza – grazie a Dio – di una nuova narrazione delle origini, morso di ragno e uccisione dello zio Ben compresi. La differenza principale tra questo Spider-Man e quello dei fumetti sta nel cuore del personaggio, nelle motivazioni profonde di quello che fa. Tom Holland in Spider-Man: Homecoming interpreta un ragazzino spavaldo e sovraeccitato dalla sua nuova condizione di supereroe. È un personaggio credibile: quale adolescente non si gaserebbe a essere chiamato ad aiutare gli Avengers? È simpatico perché impacciato a scuola e coraggioso quando indossa il costume, non si può non fare il tifo per lui. E Holland è ben calato nella parte.

Però l’Uomo Ragno non è (solo) questo. Le prime storie di Stan Lee e Steve Ditko, a cui il film vorrebbe rifarsi, non sono mai delle commedie pure ma portano sempre con sé delle ombre. Non tragedie, ma nemmeno storie solari come quella che ci propongono oggi Marvel e Sony. La vittoria di Spider-Man sul cattivo di turno non è mai completa. L’ostilità dei media (JJJ ci manchi!) e di zia May e le difficoltà nella vita privata la offuscano quasi ogni volta.

Nonostante questo, Peter Parker continua a difendere la gente, spinto da un forte desiderio di giustizia e dal senso di colpa per la morte dello zio, non per fare bella figura con gli altri supertizi. Nel nuovo film, una prova di questo “tradimento” del personaggio è l’assenza della frase «Da un grande potere derivano grandi responsabilità», che forse sarebbe apparsa trita e ritrita, ma che lascia un vuoto non colmato nella caratterizzazione di Peter.

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È ovviamente un pubblico diverso quello a cui si rivolgono i fumetti dei primi Sessanta e il film del 2017. All’epoca la problematicizzazione della vita privata del giovane supereroe è stato uno dei motivi del successo della serie; adesso il taglio scelto è più leggero perché è quello che il pubblico è abituato ad aspettarsi da un film del Marvel Cinematic Universe.

I problemi quotidiani da adolescente vengono raccontati come in un teen movie o in una serie di Disney Channel per preadolescenti. Problemi dati dal bullo della scuola, un Flash Thompson invero un po’ scialbo, e dai goffi tentativi di approcciare le ragazze. La doppia vita da supereroe non li complica in modo eccessivo, molto meno che in altre incarnazioni del personaggio: niente Lizard o Goblin o Ammazzaragni alla caccia per le classi del liceo, per intenderci.

Piuttosto è il contrario, è la vita privata a creare problemi a Spider-Man mettendo un freno alla sua continua corsa a testa bassa nelle avventure, per non parlare del Problemone che non si può rivelare perché mi è stata chiesta una recensione senza spoiler. Quello che ci presenta Homecoming è uno Spider-Man perfetto per farsi amare da bambini e teenager e vendere un sacco di giocattoli, astucci e quaderni. Non è nemmeno un personaggio caratterizzato male, e se gli manca spessore è perché hanno deciso di renderlo un tipico adolescente esuberante. Purtroppo quello che manca è il senso morale che fa dell’Uomo Ragno un vero eroe.

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Mi dispiace, Tom, continuo a preferire Tobey

Anche il cast di supporto è adattato allo stile da commedia liceale, disegnato a partire dai comprimari della versione Ultimate dell’Arrampicamuri. Purtroppo, come nelle peggiori commedie, i personaggi si riducono a macchiette, costruiti su stereotipi e spessi come un filo di ragnatela.

Il migliore amico di Peter, Ned, è un personaggio molto simile a Ganke Lee, spalla del secondo Ultimate Spider-Man Miles Morales. È nerd, sovrappeso, sfigato, e condivide con Peter il suo segreto, facendogli da confidente e spalla. Il suo obiettivo di vita sembra essere montare una Morte Nera di LEGO® e essere “l’uomo della sedia”, ovvero il genio del computer che con il suo portatile o dall’aula PC del liceo riesce a craccare i sistemi operativi dei cattivi, in questo caso tecnologia Stark.

Marisa Tomei è una zia May giovane e attraente, non ossessionata dal fatto che il nipote indossi il maglione perché fa freddo, pronta invece a dispensargli consigli in vista del ballo scolastico. La ragazza per cui Parker ha una cotta non è né Mary Jane Watson né Gwen Stacy, già utilizzate nelle saghe precedenti, ma la new entry Liz, che brilla per mancanza di caratterizzazione. Sono virati alla commedia anche i personaggi già apparsi nel MCU.

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Tony Stark, mentore di Spider-Man, come al solito gigioneggia e non risparmia battute nemmeno quando il superadolescente gli disubbidisce. Happy Hogan ha il ruolo di balia asciutta, fungendo da collegamento tra Peter e Tony, protagonista di siparietti comici abbastanza divertenti sia con l’uno che con l’altro. Anche Capitan America compare nel film – sotto forma di videoregistrazione, visto che è in clandestinità dopo Civil War – in una parte comica. Lo stile comico del film non risparmia nemmeno gli eroi di guerra.

Diverso è il discorso per il villain della pellicola, Adrian Toomes, l’Avvoltoio. Uno dei meriti maggiori di Spider-Man: Homecoming è l’essere riuscito a trasformare in un personaggio interessante e convincente un cattivo classico decisamente imbarazzante: nei fumetti Toomes è un vecchio che vola grazie a un sistema ad antigravità, vestito con un costume verde con le ali taglienti e il colletto di pelo/piume. Una mise imbarazzante seconda solo a quella di Kraven il Cacciatore. Il costume che veste Michael Keaton riprende tutti questi elementi (volo, ali, colletto di pelo) rendendoli realistici e credibili.

Allo stesso modo il suo è il personaggio che ha le motivazioni più credibili del film: un piccolo imprenditore finito sul lastrico per colpa del governo che si dedica al contrabbando di armi per portare a casa la pagnotta. Gli sceneggiatori gli mettono anche in bocca un discorso, un po’ populista e superficiale, sull’ingiustizia della società, trasformandolo per qualche secondo in un eroe della classe media arrabbiata… finché non si ricordano che stanno scrivendo un film Marvel e fanno partire la scazzottata finale.

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L’avvoltoio prima e dopo la cura MCU

Il desiderio della Disney di realizzare film per ragazzini si scontra contro la necessità di piacere anche agli adulti e soprattutto di farli ridere. Questo genera una piccola schizofrenia nel linguaggio del film. Non è un problema nuovo, lo si notava già in altri film del MCU, come in Guardiani della Galassia, ma in Spider-Man: Homecoming risulta particolarmente evidente perché per il resto si tratta di un prodotto molto controllato, senza violenza, politicamente correttissimo, inclusivo.

La scena “incriminata” è quella in cui Ned viene sorpreso in aula computer mentre dà appoggio logistico remoto a Peter e la scusa che usa è che stava guardando un porno. Alla battuta (scontata) un paio di bambini in sala si sono rivolti ai propri genitori domandando cosa fosse un porno. Si tratta di un’ingenuità degli sceneggiatori, che pensano che i ragazzi di oggi ormai vivono in un mondo di sesso e violenza per colpa di TV e videogiochi? Di una semplice svista? Di una concessione a un umorismo da adolescenti in un film che avrà soprattutto un pubblico di bambini?

In un mondo pieno di regole e regoline, a volte assurde, com’è quello Disney, un’uscita del genere risulta davvero fuori contesto, così come la battuta sullo “stronzo fumante” di Rocket Racoon in Guardiani 2 e altre uscite analoghe.

Spider-Man: Homecoming è quindi tutto quello che ormai ci siamo abituati ad aspettare da un film Marvel, un buon intrattenimento di due ore e qualcosa che piacerà ai ragazzini e farà un sacco di soldi. Non siamo chiaramente davanti a un capolavoro né nemmeno a uno dei migliori film del MCU.

È l’ormai classico film pensato per chi non conosce i personaggi dei fumetti, che ignora molte delle caratterizzazioni precedenti e tiene buoni noi nerd mostrando Shocker con tanto di trapunta sulle braccia e lo Scorpione in borghese.

Se il prodotto è buono e il pubblico risponde, come dare loro torto?

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Ah, il film ha forse la migliore scena dopo i titoli di coda di tutto il MCU. Vale davvero la pena di restare in sala fino alla fine. Abbiate pazienza.

Leggi anche: Come guardare in ordine cronologico film e serie tv Marvel

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