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RecensioniNovitàLalaland, il folle mondo di Luciop

Lalaland, il folle mondo di Luciop

Lalaland ha tutte le carte in regola per essere la meta turistica ideale. È una cittadina tranquilla, non troppo grande, con uno stile architettonico che richiama le abitazioni bavaresi (mentre gli interni sono di un confortevole kitsch), ma con un tocco pop che emerge dai gusti degli abitanti in fatto di arte topiaria e scultura.

Chi ama la tranquillità della campagna può rifugiarsi nei boschi frondosi che circondano il luogo, chi invece preferisce il divertimento balneare potrà usufruire di spiaggia, frangiflutti e mare annesso. Il problema è che ci stanno gli insetti. Grosse api che producono un denso miele rosa e giganteschi alveari che gli abitanti sembrano aver accettato di malavoglia come ornamento per la loro città. Gli insetti e il caldo. Quel caldo afoso che rende il sudore simile a gelatina, che fa diventare appiccicosa ogni superficie.

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Lalaland non è un bel posto e il primo a pensarlo è Luciop, che in questa città fatta di melassa e caldo tropicale ci ha ambientato due fumetti – entrambi editi da Shockdom – che sono forse le due storie di pre-adolescenza più inconsuete e folli che il fumetto italiano ha raccontato negli ultimi anni.

Prima di arrivare ai protagonisti e alle loro mutazioni e pulsioni, torniamo ancora per un attimo a Lalaland. Chi è cresciuto tra gli anni Ottanta e Novanta ricorderà sicuramente i libri di Richard Scarry che con le sue panoramiche piene di personaggi antropomorfi, architetture svizzere e automobili strane, diede vita all’operosa città di Sgobbonia.

Tra colori a pastello e vestiti a modino, Sgobbonia era la città ideale per ogni bambino se a pensarla per lui erano i genitori, una città utopica costruita su preconcetti e immaginari stantii, destinata a sgretolarsi sotto il peso degli anni che passano. Ogni anno è una crepa, una macchia di umidità, un grado della temperatura che sale, finché la perfetta Sgobbonia diventa la decadente Lalaland, un luogo incasinato in cui convive ancora l’innocenza fanciullesca accanto alla totale incertezza (fisica, sociale, economica) dell’età adulta.

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È un contrasto questo che fa anche da apertura al primo volume della serie, che inizia con lo spot televisivo delle Fabbriche Jery (una sorta di Willy Wonka), tutto colori pastello e personaggi pucciosi ma con una filastrocca in rima con accenni alla tossicodipendenza e malcelate crudeltà. Finito lo spot cambiamo canale e finiamo col sorbirci il servizio di un telegiornale sull’invasione di insetti a Lalaland, con tanto di approfondimento scientifico e interviste ai cittadini arrabbiati.

La tv si spegne all’improvviso, un ventilatore sposta l’aria gelatinosa. Qwerty, il ragazzo rospo, spappola con la mano un gigantesco insetto. Del liquido rosa gli cola dalla mano. Qwerty è rimasto in città e ammazza il tempo guardando la televisione, uccidendo insetti e partecipando a concerti punk. Lì incontrerà Lende Bienestock di cui è segretamente innamorato sin da quando era piccolo.

Benvenuti a Lalaland – Voume 1 sembra essere per buona parte della sua foliazione un buon art-book in cui Luciop misura le proprie capacità nel creare un universo visivo ricco e con qualcosa da dire, senza il bisogno di una storia vera e propria. Infatti la sola città di Lalaland si porta appresso tutta una serie di suggestioni che già sembrano bastarci per saziare la nostra sete da lettori.

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In realtà Luciop nelle ultime pagine dell’albo inserisce quattro tavole con una forza registica che ci prede in contropiede e una potenza evocativa inaspettata. In quelle pagine l’autore non dimostra soltanto di essere un buon narratore, ma vi racchiude il nocciolo tematico del suo racconto, il quale esplode con una sequenza onirica intimamente spaventosa. Qwerty gli sfugge gradualmente prima trovando conforto nel ritmo regolare della masturbazione che modifica radicalmente la gabbia del racconto (finora abbastanza libera e poi all’improvviso modulata su una struttura a nove vignette) e poi liberandosi in un orgasmo di cui percepiamo ogni molecola di solitudine, piacere e fatica.

Abbandonata la stanza di Qwerty, Luciop ci porta, due anni dopo l’uscita del primo albo, sulla spiaggia di Lalaland. L’atmosfera è più solare e i colori più accesi, ma i problemi della città rimangono sempre gli stessi: caldo, insetti, sudore. Lo sanno bene Pinky e Pinwydd, due fidanzatini che decidono di combattere la noia da bagnasciuga inseguendo in una fogna dei conigli parlanti. Sbucheranno in un bosco paludoso in cui Pinwydd, dopo una notte all’addiaccio, si perderà. Pinky comincia così a cercarla, tra strane creature, insetti sottopelle e umidità putrescente.

Luciop ha fatto tesoro dell’esperienza con quelle quattro tavole di Benvenuti a Lalaland – Volume 1, tanto che il secondo volume sembra basare la sua struttura proprio su quell’idea di ritmo narrativo. Anche in questo caso l’autore all’inizio se la prende comoda: ci ripresenta la città, introduce i protagonisti, ci racconta ministorie che non avranno seguito e butta qua e là già i temi e le suggestioni del racconto. Questa volta, però, lo fa con più consapevolezza, a partire dalla filastrocca iniziale che non è più un divertissement ma diventa la colonna narrativa portante dell’intero fumetto, il cui riferimento principale sembra essere l’Alice di Lewis Carroll con le sue filastrocche stupide e inquietanti che dettano il ritmo di un viaggio lisergico.

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Un ritmo che Luciop gestisce con precisione millimetrica, attento a spremere da ogni sequenza il massimo potenziale: il risultato è una gabbia mai uguale a sé stessa, che muta in corrispondenza dei bisogni della storia, riuscendo così a stare al passo dei frequenti cambi di tono (stupendo di più in quei due momenti in cui riesce persino a essere lirica). Tutto funziona in maniera così perfetta che il lavoro narrativo fatto su questo secondo volume rischia quasi di passare inosservato, e invece è un piacere abbandonarsi a una seconda, a una terza lettura per gustarsi le dinamiche che Luciop instaura tra il racconto e la gabbia.

Benvenuti a Lalaland – Volume 2 è però anche la storia di una pubertà mostruosa e putrefatta: il filo conduttore del fumetto è il corpo di Pinky che, tavola dopo tavola, deperisce e cade a pezzi, marcisce sotto i nostri occhi sino a diventare pelle secca e inutile. Il nuovo corpo di Pinky fa il suo ingresso trionfale con una intensa tavola in cui l’abbraccio infantile tra i due fidanzatini diventa improvvisamente malizioso e poi perturbante, con una sensazione di disagio e naturalezza aumentato dalle quattro vignette (due con le zoomate sui corpi, una con l’accoppiamento di due insetti, l’altra con un serpente che fa la muta) poste agli angoli della tavola.

Questo secondo albo aggiunge sostanza tematica a un mondo che all’inizio poteva apparirci fine a sé stesso, e spessore tecnico laddove ci saremmo aspettati (a torto) un trattamento più incerto della materia. Il modo in cui Luciop lega tra loro regia e temi, restituisce una naturalezza e ineluttabilità delle azioni e degli accadimenti che è forse la cosa più interessante dell’intero fumetto che – per mostrare il proprio cuore – decide di non fare affidamento su dialoghi importanti e manifesti, ma esclusivamente sulla forza di una narrazione che sfrutta il linguaggio del fumetto nella sua forma più pura e potente.

Benvenuti a Lalaland – Volume 2
di Luciop
Shockdom, 2015
80 pp., colore
9,00 euro

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