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MangaLa fine di Bleach, l’ultimo battle shōnen

La fine di Bleach, l’ultimo battle shōnen

Il giapponese Tite Kubo, autore del manga Bleach, sarà tra gli ospiti internazionali di Lucca Comics & Games 2017, in collaborazione con Panini Comics.


Bleach non è certo un manga qualsiasi: in quindici anni – debuttò nel 2001 sulle pagine della rivista Weekly Shonen Jump – è diventato uno dei 20 manga più venduti di sempre (vicino ai 100 milioni di copie). La serie creata da Tite Kubo si è conclusa in Giappone ormai oltre un anno fa, nell’agosto 2016, mentre in Italia la pubblicazione del 74° volume è prevista per i primi di novembre 2017, a ridosso del suo lancio – alla presenza dello stesso autore – durante Lucca Comics & Games.

Bleach rappresenta con Naruto, One Piece e Fairy Tail il cuore pulsante degli shōnen moderni; quei fumetti giapponesi, ambientati perlopiù in mondi immaginari, in cui il giovane protagonista deve generalmente compiere con difficoltà crescenti una serie di prove dette quest, che costituiscono il cuore delle varie saghe che compongono la linea narrativa generale.

tite kubo bleach tuttosport

Nell’opera di Kubo il protagonista è Ichigo Kurosaki, un ragazzo dai capelli rossi che scopre di essere in grado di vedere gli spiriti dei defunti e gli Hollow, ovvero spiriti malvagi con una cavità al centro del corpo (da qui il loro nome) perché divorati dall’oscurità. Durante uno scontro con questi ultimi, Ichigo fa la conoscenza di Rukia Kuchiki, una ragazza che rivela di essere uno Shinigami (propriamente “dei della morte”), ovvero traghettatori di anime dal kimono nero e armati di katana dai poteri speciali con il compito di difendere il regno umano dagli Hollow e mantenere l’equilibrio tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.

Bleach è anche la storia di un successo inatteso. I primi capitoli del fumetto non presentavano specificità degne di nota: la trama non era diversa da quella di molti altri shōnen (uno fra tutti: Yu degli Spettri), e l’autore stesso si trovò a pensare addirittura di abbandonare il progetto. Tuttavia il tratto si rivelò accattivante, i personaggi ber rappresentati e i combattimenti molto fluidi e dinamici. Complice una lettera di apprezzamento di Akira Toriyama (il creatore di Dragon Ball) il giovane mangaka riprese coraggio e iniziò a costruire una trama solida e coinvolgente. Avviando così alla fortuna il manga.

Il titolo era e rimane un mistero: un omaggio ai Nirvana – la band tanto apprezzata da Kubo – un riferimento alla purificazione dell’anima degli Hollow da parte degli shinigami, oppure un richiamo al colore bianco che si contrappone al nero tipico degli dèi della morte. Chissà. Sta di fatto che il manga decolla quando Ichigo entra nella Soul Society (il mondo degli spiriti) combattendo, come shinigami, al fianco dei potentissimi capitani che lo governano e dei suoi amici. Ovvero, un gruppo di compagni di classe: Orihime Inoue, dolce ragazza con eccezionali abilità curative, Yasutora Sado, un robusto ragazzo messicano-nipponico dall’animo gentile, e Uryū Ishida, un taciturno studente modello che si scopre essere un Quincy, una stirpe umana con poteri spirituali in grado di affrontare gli Hollow e quasi interamente sterminata dagli shinigami.

Riassumere tutte le evoluzioni e sfaccettature della serie-fiume di Tite Kubo sarebbe un’impresa titanica. Proviamo allora a raccontarne almeno gli elementi fondamentali.

Quella cipolla militare! L’universo di Bleach

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Il mondo spirituale di Bleach è diviso in tre. Il primo luogo, il più vicino al regno dei vivi, è l’Hueco Mundo (“mondo inghiottito” in spagnolo), un regno oscuro dove vivono gli Hollow. Sopra di esso c’è la Soul Society, simile al Paradiso – ma in stile Giappone del periodo Edo –, abitato dagli shinigami e guidato da un’organizzazione militare divisa in 13 divisioni (dette gotei).

Infine, in mezzo alla Soul Society ma in un’altra dimensione, si trova il Palazzo del Re dove risiede il Re Spirito, una suprema entità antropomorfa col potere della preveggenza che ha il compito di governare il flusso delle anime da e verso il mondo dei vivi. Ogni divisione del Gotei 13 ha mansioni ben specifiche (spionaggio, ricerca, supporto medico…) ed è guidata da un comandante; al di sopra di tutti si trova infine il comandante supremo, colui che governa l’intera Soul Society.

Questi personaggi generalmente si distinguono per la loro enorme forza spirituale con cui riescono a comunicare con l’anima delle proprie zanpakutō (o “spada mieti-anime”) per rilasciarne il potere; queste ultime, a loro volta, possono essere rilasciate in una forma iniziale detta Shikai o nel più potente Bankai (“rilascio finale”), e così via…  Tutto nel fumetto sembra quindi girare attorno a una perenne e continua stratificazione di luoghi e poteri, aspetto che ha suscitato diverse critiche per la ripetitività del meccanismo narrativo. Tuttavia, prima di poter giudicare questa spirale sempiterna che rappresenta il cuore di Bleach, vale la pena capire in cosa si differenzi da shonen “fratelli” come One Piece.

Trama infinita, power-up, fanservice, stereotipi. Fenomenologia del battle shōnen

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Il periodo a cavallo fra gli anni ‘80 e gli anni ‘90 in Giappone è stato l’epoca d’oro degli shōnen. Tra questi c’è stata una particolare proliferazione di manga il cui centro si è spostato dalla ricerca dell’obiettivo primario alle battaglie compiute per raggiungerlo (vedi Dragon Ball). Stiamo parlando dei battle shōnen.

Bleach è proprio uno dei più noti e fortunati battle shōnen. Innanzitutto per i personaggi fortemente stereotipati: un protagonista impulsivo e ‘idiota’ ai limiti del subnormale, ma insofferente alle ingiustizie e con un cuore buono e grande; diversi avversari malvagi che tuttavia, una volta sconfitti, si ricordano di essere (un poco) umani, al punto di aiutare l’antagonista che aveva fatto loro il mazzo qualche giorno prima (della serie: il nemico del mio nemico è mio amico); un allenatore pervertito ma tanto forte che dopo 15 anni ha ancora qualche asso nella manica; e un deus ex machina che puntualmente salta fuori nel momento più opportuno, con una cura miracolosa o una incredibile rivelazione salvifica… Insomma, neanche i personaggi-tipo di Vladimir Propp sembravano così canonici.

A questo dobbiamo aggiungere una trama che si ripete all’infinito proprio per consentire un altrettanto interminabile power-up, ovvero la capacità dei nostri eroi di diventare sempre più forti per affrontare nemici così tosti da poter fare battute su Chuck Norris impunemente. Basti pensare che Yhwach, capostipite millenario dei Quincy e boss finale della serie, è nientepopodimeno che onnisciente e onnipotente.

Infine ciò che distingue Bleach da Naruto o One Piece e lo rende l’ultimo vero battle shōnen vecchia scuola sono le tavole. Ad esclusione delle sequenze-spiegone in cui viene narrata l’origine di ogni singola cosa mai esistita in tutto l’universo, le tavole sono pensate per essere lette in circa 5-10 secondi e per questo contengono pochi dialoghi. La ragione è semplice: se scrivo un manga incentrato su combattimenti, sarà più importante dialogare sui massimi sistemi o mostrare al lettore chi ha la spada più grossa fra il buono e il cattivo?

Arrancar e Vandenreich. I nemici barocchi della Soul Society

bleach ARRANCAR

Abbiamo detto che i nemici della serie sono proprio come ce li aspetteremmo. C’è persino Aizen, un brillante e talentuoso capitano che fa in segreto esperimenti su hollow e shinigami per creare un essere perfetto e che è la classica nemesi del protagonista: intelligente, calcolatore, dotato… Un avversario tanto brillante da “creare” Ichigo (il quale, per incredibili coincidenze genetiche, è un po’ shinigami, un po’ quincy e un po’ hollow), e tanto potente da ingannare lo stesso Yhwach l’onnipotente, fornendo la chiave di volta per la sua sconfitta.

Ma in mezzo a questa sindrome da horror vacui stereotipica notiamo un delizioso particolare. Chiunque sia appassionato di manga non potrà non apprezzare l’epica musicalità della lingua giapponese. Ogni qualvolta qualcuno usa una tecnica speciale, sembra il concerto del primo maggio, una sensazione indescrivibile. Lo stesso Tite Kubo ha voluto estremizzare anche questo aspetto, fornendo a ogni “famiglia” di avversari una lingua di riferimento diversa per il proprio albero genealogico di evoluzioni, gradi e abilità.

Gli Hollow ad esempio sono identificati dallo spagnolo: la loro evoluzione finale si chiama Arrancar (in spagnolo “strappare via”, dato che perdono la maschera bianca tipica della loro specie) e la loro mossa speciale è un raggio che si chiama cero (zero, in spagnolo). I Quincy invece, ultimi nemici della serie, possono far ricorso al Vollstädig (in tedesco “forma sacra perfetta”), una tecnica per trasformarsi in angeli tanto potenti quanto inquietanti, e il loro esercito si chiama Vandenreich (“impero invisibile”). Tutta questa articolata sfilza di dettagli multilinguistici è, a mio parere, un capolavoro di grottesca arte barocca sotto forma di fumetto.

Se non ci credete, provate a vedere un gigantesco ma effemminato ammasso di muscoli dai lunghi capelli viola mentre spara un raggio dal petto, a forma di cuore, urlando: Beautiful Charlotte Chuhlhourne’s Final Holy Wonderful Pretty Super Magnum Sexy Sexy Glamourous Cero! Uno spettacolo nello spettacolo, se non temete il kitsch.

Un finale che fa discutere

bleach

Questo fuoco di fila di invenzioni non ha comunque tenuto Tite Kubo lontano dalle critiche. A partire dalla gestione degli sviluppi narrativi. La serie, infatti, perde di mordente già dopo la prima saga, in cui Ichigo affronta i capitani della Soul Society per salvare Rukia che è stata condannata a morte per aver trasferito i suoi poteri a un (presunto) umano. Gli stessi disegni si fanno via via più approssimativi e, nonostante i nemici abbondino come i fanservice (ovvero quei particolari inutili ma tanto graditi al pubblico, come la sovrabbondanza di tette e culi), il solo villain a cui ci si affezioni per davvero è Aizen.

Un’altra questione: alcuni personaggi che meriterebbero più spazio ricoprono un ingiustificato ruolo marginale. Un esempio è Isshin, il padre di Ichigo che si innamora di una donna Quincy, la salva a costo dei suoi poteri da shinigami per poi perderla per colpa di un Hollow e da lì in poi fa il padre single e medico a tempo pieno in un mondo che non è il suo. Gli manca solamente il saio per diventare un martire cristiano; i sandali li ha già.

Ma ciò che più ha fatto discutere i fan è stato il finale: raffazzonato, sbrigativo, scopiazzato. Una chiusura che ha tradito, se non rovinato, l’identità di diversi personaggi. Ad esempio Zaraki Kempachi, l’unico capitano che non ha mai imparato il nome della propria spada (e quindi non può rilasciarne il vero potere) ma così forte da tagliare tutto quello che gli si para davanti ridendo come un sadico sociopatico, in due capitoli ci mostra shikai e bankai, l’ultimo dei quali significa diventare tutto rosso come un diavoletto (gli crescono pure due graziose corna sulla fronte). Se questo vi ricorda il Kaio-ken di Goku non stupitevi, perché non siete i soli.

Lo stesso Ichigo, dopo aver sconfitto Yhwach nel combattimento finale grazie all’ennesimo power-up (sarà almeno l’ottavo: neanche i Sayan si trasformano tante volte) cosa fa? Diventa il nuovo comandante generale? Si dedica alla lotta come il suo amico Sado-kun (che peraltro si fa furbo e diventa famosissimo)? No: apre una clinica con l’amico medico Ishida e figlia, come se non ci fosse alcun futuro con Inoue, la quale lo ha seguito come un cagnolino per quindici anni e fino ad allora lui non se l’è filata di striscio. Va beh.

A fronte di queste cadute, perché leggere Bleach?

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Perché nonostante la ripetitività priva di suspense e la nauseante sovrabbondanza di dettagli inutili, Tite Kubo a volte si ricorda di essere un bravo mangaka. E ci ricorda cosa significhi leggere un battle shōnen: quando meno te lo aspetti, quando pensi di abbandonare le speranze, ecco che ci sorprende con tavole da brividi (si veda il capitolo 679). Oppure squaderna colpi di scena piazzati al momento giusto, come scoprire che Retsu Unohana, donna materna e composta nonché capitano della divisione medica, ha in realtà un passato di temibile donna sanguinaria ed è la prima Kenpachi, titolo dato allo shinigami più potente (ed ereditato ufficialmente da Zaraki dopo averla sconfitta in un duello da brivido nel vol. 59).

In fondo i buoni battle shōnen non sono altro che una versione adrenalinica delle migliori soap: chiedete pure, tanto non lo otterrete. Quel che ne potrete avere, semmai, saranno anni di buona compagnia, condita da momenti di autentico spasso e con punte inattese di idee folli e geniali. Bleach ci è riuscito per quindici anni. Onore al merito.

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