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RecensioniNovità"Avengers: No Surrender": il finale di due pasticciati anni di Vendicatori

“Avengers: No Surrender”: il finale di due pasticciati anni di Vendicatori

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

Avengers No Surrender

Da oltre dieci settimane non parliamo con serietà degli ampi arazzi narrativi dei supereroi americani, ma questa oasi felice non poteva durare per sempre e così, con la partenza dell’evento Avengers: No Surrender – che mette insieme tutti gli attuali gruppi di Vendicatori in un’unica storia di ben 16 capitoli – è ora di tornare a farci del male.

La maxistoria avrà cadenza settimanale e – supponiamo per semplificare la vita ai lettori – tutti i capitoli saranno pubblicati all’interno della testata Avengers a partire dal numero 675. In questi quattro mesi la pubblicazione gli altri titoli degli Avengers sono infatti sospesi. La storia sarà firmata da quasi tutti gli autori delle varie testate, ossia Mark Waid, Jim Zub e Al Ewing. È assente invece David Walker, che si prende una pausa e si concentra per ora solo sulla serie di Luke Cage peraltro prossima a chiusura.

Facciamo innanzitutto il punto su quali sono le serie dei Vendicatori (anche perché supponiamo che molti di voi abbiano da tempo gettato la spugna): oltre ad Avengers di Mark Waid ci sono Occupy Avengers di David Walker, U.S.Avengers di Al Ewing e Uncanny Avengers di Jim Zub (che dal numero 28 è subentrato a Gerry Duggan, passato con successo ai Guardiani della Galassia).

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Citiamo solo gli scrittori perché, in puro Marvel Style, molte di queste serie hanno vissuto una girandola di disegnatori, cosa che ovviamente caratterizzerà anche Avengers: No Surrender: si parte con Pepe Larraz che realizzerà tutte le prime quattro storie di gennaio, quindi a febbraio toccherà a Kim Jacinto per altri quattro numeri e a marzo sarò il turno di Paco Medina (affiancato in un episodio da Joe Bennett), infine ad aprile non è noto a chi toccherà perché ancora non sono uscite le solicitacion.

Tutto questo ovviamente se le cose vanno lisce, ma come ben sappiamo le sostituzioni tempestive in questi casi sono sempre dietro l’angolo. Per quel che riguarda chine e colori possiamo parlare solo di questo primo numero, dove Pepe Larraz si inchiostra da solo ed è colorato da David Curiel.

Con quattro team di supereroi coinvolti, i personaggi in campo sarebbero circa 25, senza contare chi non è al momento nei Vendicatori ma appare comunque in questo primo numero, ossia gli ormai immancabili Capitan Marvel, Capitan America, Pantera Nera e Jarvis.

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Per ovviare a un sovrappopolamento abbastanza ridicolo ecco che la storia – in cui viene misteriosamente “rubato” nientemeno che il pianeta Terra con conseguenti catastrofi in giro per il globo – congela per ora senza spiegazione diversi eroi, tra cui oltre ad alcuni Avengers anche tutti i Champions e (forse) tutti gli innumerevoli X-Men. La logica di questa selezione è misteriosa, e probabilmente discutibile, ma obbliga i Vendicatori a contattare anche i membri di riserva, una chiamata a cui risponde solo Lightning, il personaggio a sorpresa di questa storia e quello che fornisce il punto di vista con la sua voce narrante.

Infine torna nel presente dopo assenza decennale uno dei vendicatori originali: Voyager, di cui scopriamo la sua identità civile nei redazionali (Valerie Vector). In realtà, però, Voyager non è affatto un Vendicatore originale, bensì frutto di un qualche misterioso pasticcio temporale che l’ha inserita retroattivamente tra i fondatori del gruppo, come visto nel one-shot Marvel Legacy (spiegato qui). A prima vista sembra trattarsi di una operazione di retro-continuity (come quella di Paul Jenkins con Sentry, per restare ai Vendicatori), ma visti i mal di testa che susciterebbe, in un momento in cui si cerca oltretutto di semplificare, è possibile che la soluzione al mistero sarà diversa.

voyager marvel

Fin qui siamo stati forse ingenerosi con il nostro sarcasmo, visto che alla fine stiamo parlando solo del primo numero, ma onestamente le premesse sono tutt’altro che entusiasmanti. La trama di questo capitolo iniziale non è delle più originali e oltre a varie situazioni scontate e colpi di scena autoreferenziali, mostra già crepe nelle reazioni dei personaggi, in particolare riguardo a quel che succede a Jarvis. Inoltre i pregressi delle varie serie vendicative non offrono alcuna ragione per stare allegri, infatti l’unica interessante – nonostante il titolo piuttosto imbecille – è stata Occupy Avengers, il cui autore non è coinvolto nel progetto. Per il resto i toni sopra le righe di Ewing e il cast fin troppo ampio della serie di Zub non hanno convinto, così come ha deluso Mark Waid, schiacciato tra crossover che hanno impedito alla sua serie di respirare. L’ultimo dei quali, tra Avengers Champions, peraltro scritto di suo pugno, è davvero pessimo.

Sul fronte grafico ci si assesta su uno standard che punta alla spettacolarità e ai colori patinati, tipici delle storie “evento”, con Larraz che sembra essersi trasformato nell’ennesimo emulo di Stuart Immonen, ma ovviamente inferiore all’originale, soprattutto nella recitazione dei volti. Un elemento affatto secondario quando si ha un cast sterminato e ben poche vignette a disposizione per centrare lo stato d’animo dei vari personaggi.

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È quasi scontato che a tutta questa operazione segua un rilancio della linea vendicativa della Marvel, anche perché nel mentre si avvicina il prossimo evento sulle Infinity Stone. Dunque Avengers: No Surrender vorrebbe essere una sorta di chiusura roboante di un periodo davvero mesto, da cui molto presto la Mavel stessa cercherà secondo copione di distrarci annunciando nuove serie e nuovi team. La speranza è che ne venga qualcosa di un po’ meno caotico, con meno serie e magari con una progettualità più lineare e autori più ispirati. Chiediamo troppo? Probabilmente sì.

Bonus: Wonder Woman #38

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Passando alla DC le cose non vanno certo meglio, tra Metal e Doomsday Clock, ma è interessante – per quanto prevedibile – come il successo di Wonder Woman al cinema stia influenzando anche i fumetti. A scrivere la testata dell’amazzone è stato infatti chiamato James Robinson, che è partito di slancio riprendendo i fili lasciati in sospeso dalla Justice League di Johns prima del Rebirth e da Metal e facendo di Diana Prince una protagonista degli eventi più cruciali della continuity generale dell’universo DC.

Infatti la rigenerazione di Darkseid, ridotto a un infante fino a poco tempo fa, si è consumata proprio su queste pagine, e cosa c’è di più rilevante del più iconico dei villain per ridare importanza alla supereroina? Si aggiunga che è stata ripresa come nemesi anche la figlia di Darkseid, Grail, che è stato introdotto il gemello di Wonder Woman, Jason, e pure il padre degli dèi greci (e quindi di Wonder Woman stessa), Zeus.

Se questo non vi sembra abbastanza ecco che mentre Robinson inizia il secondo arco del personaggio, presentandoci una nuova versione della villain Silver Swan, prende anche il timone della testata Trinity, dove dalla settimana prossima inizierà una storia in cui Batman e Superman collaboreranno per aiutare Wonder Woman a rendere di nuovo accessibile l’isola di Themyscira. Quindi un arco dove il fulcro della vicenda non ruota su Batman o su Superman ma chiaramente sull’amazzone, che nel mentre nelle sue storie appare così sicura dei propri mezzi da pensare di poter sconfiggere da sola persino Darkseid – e da nascondere la sua rabbia per l’arrivo della Justice League che mette il villain in fuga.

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Se il progetto è a tavolino piuttosto ineccepibile qual è però la qualità di queste storie? Naturalmente scarsa. I vari voltafaccia di Jason appaiono ben poco sensati, la risoluzione è prevedibilissima e quel che è peggio senza epilogo, quando invece c’era a disposizione una tragica conclusione da cui un Neil Gaiman o un Tom King avrebbero potuto tirar fuori minimo sei numeri sul concetto di divinità.

Una scelta narrativa insensata che toglie pathos agli stessi fatti raccontati, quasi fossero un McGuffin e non si vedesse l’ora di voltare pagina e iniziare una nuova fase, che per altro pare ben poco urgente a giudicare da questo numero 38. Del resto il primo arco è stato caratterizzato da testi che si affidavano alla spettacolarità grafica per distrarci da una storia piuttosto raffazzonata, il tutto con grande uso di vignettone patinate e splash page.

Nonostante l’importanza ora attribuita al personaggio, i disegni vedono una continua alternanza di autori alle matite – e d’accordo che si tratta di un quindicinale, ma lo è pure Batman dove invece i vari disegnatori tendono a coprire un arco narrativo ciascuno. Negli otto numeri finora scritti da Robinson si danno il cambio Sergio Davila, Emanuela Lupacchino e Carlo Pagulayan (con l’aiuto di Stephen Segovia per il capitolo conclusivo del primo arco). È però alle chine che si assiste a una vera e propria giostra incredibile, con Sean Parsons, Jason Paz, Scott Hanna, Mark Morales, Art Thibert, Raul Fernandez, Mick Gray e Eber Ferreira.

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Se tutto questo non dà l’idea di una catena di montaggio non so davvero cosa possa farlo, nonostante a limitare i danni e uniformare il tutto ci provino il solo colorista Romulo Fajardo Jr. e il fatto che, a differenza degli altri due disegnatori, almeno Lupacchino è affiancata da un solo inchiostratore (Ray McCarthy).

Ne viene prevedibilmente un catalogo del DC-style, che è mediamente più omogeneo di quello Marvel, e punta sul blockbuster dettagliato in linea con disegnatori come Ivan Reis e Ethan Van Sciver, a loro volta discendenti di Bryan Hitch e dunque pure di Alan Davis. Se in tutto questo Lupacchino riesce un poco a emergere, gli altri sono davvero smarmellati su una medietà relativamente alta ma pure scontata e usurata, deprimente per chiunque cerchi nel fumetto una produzione un po’ meno industriale.

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