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Comics"Dark Nights Metal", il crossover tamarro di Snyder e Capullo

“Dark Nights Metal”, il crossover tamarro di Snyder e Capullo

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

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C’era una volta Batman nella preistoria. Era finito in quel tempo remoto in seguito allo scontro con Darkseid in Final Crisis, ma ne era poi tornato, riprendendo a vivere le sue avventure tra cui la scoperta dell’esistenza della Corte dei Gufi a Gotham. A sua insaputa, all’alba dell’uomo, Batman era stato notato da un demone, Barbatos, allora intento senza fortuna a distruggere la Terra, che rimase colpito dalla somiglianza tra la propria effige e il simbolo del pipistrello.

Secoli dopo, nel tempo presente, la Corte dei Gufi e altri servi di Barbatos hanno lentamente manipolato Batman, puntando sulla sua curiosità verso i misteri anche cosmici da risolvere, e l’hanno trasformato – sì proprio Batman, avete capito bene – nel portale che dal multiverso oscuro dà accesso al multiverso regolare della DC comics. Da questo varco sono entrate sette abominevoli versioni alternative del Cavaliere Oscuro, ognuna mash-up tra l’Uomo pipistrello e gli altri membri o nemici della Justice Lague come Ares, Aquaman, Cyborg, Flash, Green Lantern e Doomsday. Il più pericoloso tra loro è però il Batman who Laughs, ossia L’uomo pipistrello che ride, una fusione tra Batman e Joker, attorniato da un gruppetto di Robin cannibali al suo servizio.

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Da qui si dipana una trama ancora più involuta, piena di spiegoni e di combattimenti e catastrofi che vorrebbe appassionare il lettore in una di quelle storie così “Bigger than Life” come ne possono esistere solo a fumetti. Allo stesso tempo però, solo a fumetti, possono esistere storie così deliranti, autoreferenziali, piene di fan service e inutilmente roboanti come questa.

Scott Snyder cerca di metterci dentro tutto quello che gli viene in mente, includendo quanti più personaggi e villain possibili, con l’intento di creare nuovi miti o di rigenerarne, ma senza averne minimamente la forza. La sua sceneggiatura – e quella dei suoi colleghi come Tynion IV e Williamson – è così sciatta che non riesce nemmeno a creare scene d’azioni emozionanti ed elaborate, ma solo una sequenza di splash page con le solite entrate a effetto e gli sproloqui del cattivone di turno mentre l’eroe dice che no, non si arrenderà, ci sarà sempre una speranza e via con le consuete banalità.

Tra l’altro i cattivi non hanno nemmeno tutti i torti, visto che il multiverso pensato da Snyder è a dir poco sadico e immagina l’esistenza di miglia di dimensioni che vengono forgiate come esperimenti e che sono destinate a franare su se stesse – e questo pure prima che Barbatos prendesse il potere. Quindi in un certo senso sono più eroici i villain a ribellarsi a un ordine mostruoso che non gli eroi a difenderlo. Non che su questo venga posta la benché minima riflessione da Snyder, tanto da sollevare il dubbio che lo scrittore sia il primo a non rendersi conto delle implicazioni di ciò che sta raccontando.

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In tutto questo marasma infatti nessuno dei personaggi è un minimo sviluppato, perché i cattivi appaiono cattivissimi, i buoni sono buonissimi e non c’è spazio per vie di mezzo o discussioni. Quella che riceve il trattamento migliore è Kendra, ma in fondo anche nel suo caso si tratta di un personaggio che semplicemente si libera da una sorta di possessione e di fronte all’apocalisse decide di combattere perché… non muoia la speranza, il male non vinca e compagnia cantante. Non si leggeva un crossover così fine a se stesso, pieno di fanserivice e vacuo di contenuti dai tempi di Fear Itself, che almeno però era scritto con qualche dialogo un po’ più brillante rispetto alla mortifera prosa di Snyder.

Il peggio è che tutta questa grandeur – che vuole nientemeno che ridefinire il multiverso DC, ampliandolo ben oltre le sue ormai canoniche 52 Terre – è solo l’inizio dei sogni di onnipotenza di Snyder, che continueranno sulla sua incombente gestione della Justice League, divisa in ben quattro testate e cinque team (l’autore ha chiarito che c’è anche una sorta di squadra terrestre con Amanda Waller e Nightwing), scritte da lui e dai suoi sodali. Anticipiamo che in questo spazio non ne parleremo e che iniziamo ora un voto di silenzio sullo sfiancante operato dello scrittore.

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Ci si può consolare con i tavoloni di Greg Capullo, energici e spettacolari, o con alcuni tie-in firmati per esempio da Bryan Hitch e Jorge Jimenez, dal reazionario Ethan Van Sciver e per una manciata di pagine di Yanick Paquette. Ma sono in fondo solo illustrazioni per una trama troppo infantile che nemmeno si cura di dare modo al disegnatore di turno di cercare soluzioni interessanti, che lascino respirare il racconto. Tutto è schiacciato in funzione della velocità e del colpo a effetto, con gli eroi che pensano di fare una cosa giusta e scoprono più volte di essere stati manipolati, o con le innumerevoli apparizioni a sorpresa di personaggi assortiti.

Una lettura insomma che impedisce anche ai disegni di lasciare il segno e alla fine solo due cose rimangono apprezzabili: i titoli di alcune storie che citano brani metal o rock, da Bat Out of Hell a Symphony of Destruction, e il lavoro di design di Greg Capullo, che tra draghi con il volto del Joker e il Batman Who Laughs si è davvero sbizzarrito.

Bonus: Daredevil #600

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Giunge alla cifra tonda la serie di Daredevil che con il Marvel Legacy ha temporaneamente recuperato la sua numerazione originale. Contiene un momento apicale del ciclo di Charles Soule, qui per i disegni di Ron Garney e i colori di Matt Milla, ossia la conclusione dell’arco narrativo Mayor Fisk, ma non conclude la run di Soule, che proseguirà ancora un po’, supponiamo fino a un rilancio estivo sotto la bandiera di Fresh Start. Immaginiamo che a quel punto la serie riprenderà la numerazione da uno, con la consueta schizofrenia della Marvel e più in generale di un mercato dei comics che sembra non riuscire proprio a risollevarsi.

Soule è stato spesso deludente su questa serie, anche se gli va riconosciuto di aver indovinato qualche numero e alcune idee, per esempio il piano di Matt Murdock per portare un processo fino alla Corte Suprema, in modo da rendere legale la testimonianza dei supereroi. Forse la sua più grande vittoria e in teoria un punto di svolta per tutti i vigilanti della Marvel, frutto del resto delle competenze da avvocato di Charles Soule.

Molto meno convincente è stato il versante supereroico, con la spalla cinese Blindspot, il serial killer artista Muse e ora con Kingpin che è diventato improbabilmente sindaco di New York e ha deciso di mettere al bando i vigilanti, nonostante la sentenza ottenuta da Murdock di cui si è appena detto. L’eroe non l’ha presa bene e ha addirittura deciso di infiltrarsi come politico nell’amministrazione Kingpin, che ricordiamo ignora l’identità segreta di Daredevil – tornata un segreto per tutti da qualche tempo, con una supercazzola che Soule ha impiegato molto tempo a rivelare e che vedeva coinvolto l’Uomo Porpora e i suoi figli.

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In questo episodio 600 si arriva finalmente al faccia a faccia, non prima però che il piano di Matt riveli tutti i suoi limiti e gli eroi che hanno cercato di aiutare Daredevil finiscano per pagarne le conseguenze. Non si tratta infatti di una storia celebrativa, bensì di una pesante sconfitta per il protagonista, il cui peso però sembra purtroppo subito cancellato da un ulteriore rivolgimento. Un colpo di scena finale che si lega a un’altra delle sottotrame della serie: quella di Blindspot che ha recuperato la vista grazie alla Mano, ma proprio per questo ha fatto una specie di patto con la Bestia, le cui conseguenze saranno al centro della conclusione della gestione di Soule nei prossimi numeri.

Sebbene lo stile quasi da bozza appena schizzata di Garney, colorato da Milla, abbia energia e a tratti un gusto quasi sperimentale e dirompente, la trama di Soule si muove farraginosa, cerca di essere matura ma poi ricorre a soluzioni poco plausibili e da “fumettone”, tornando alle convenzioni che vorrebbe superare. In particolare per un personaggio come Daredevil, che è stato graziato da alcuni tra i migliori scrittori cimentatisi sui supereroi, questa medietà, pur se ambiziosa, non può bastare. Non resta che sperare che il Fresh Start porti davvero freschezza a questa serie, che sicuramente è tra quelle che ne ha più bisogno, visto che tra una cosa e l’altra Soule ha già scritto quasi 35 numeri e arriverà probabilmente a 40…

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