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Mondi POPCinema"Avengers: Infinity War", la recensione (no spoiler)

“Avengers: Infinity War”, la recensione (no spoiler)

La storia degli eroi Marvel, vere e complesse mitologie dei tempi moderni, è caratterizzata da due aspetti: la ricchezza e mutevolezza degli intrecci da un lato e la lunga, lunghissima storia dall’altro. Entrambi sono aspetti problematici per chi produce i film del Marvel Cinematic Universe.

Ci sarà da tornare a parlare, e farlo a lungo, sull’esistenza di un universo cinematografico così ampio come quello e sul suo senso, un maelstrom in cui si intrecciano esigenze narrative con la progressiva raccolta dei diritti cinematografici (dall’Uomo ragno agli X-Men) da parte della Walt Disney. Una strategia di fondo si trova con facilità nel tentativo di semplificare e rendere più omogeneo il ben più complesso mondo creato dagli autori dei fumetti Marvel in parecchi decenni di lavoro. Insomma, nel trasformare una costa frastagliata piena di fiordi, rientranze ed isolotti in una lunga e lineare spiaggia tropicale, degna di un atollo incontaminato.

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Non c’è altro modo per approcciare Avengers: Infinity War, punto di momentanea sintesi ed equilibrio del rutilante universo cinematografico Marvel. Se vogliamo fare un altro paragone, il lavoro nella produzione di questo nuovo film Marvel fa sembrare l’opera di citazionismo di Ready Player One di Steven Spielberg, vero e proprio omaggio “a tema” di tutti gli anni Ottanta e Novanta, una semplice marachella.

Avengers: Infinity War mantiene quello che promette: epocali scazzottate, alluvioni di effetti speciali, un personaggio (Thanos) totalmente in computer grafica, e morti a go-go. Oltre a una semplificazione dell’epica di Thanos e degli stessi Vendicatori, anzi per meglio dire, dello stesso universo Marvel, da far rabbrividire.

Adesso che tutti i personaggi dello star system Marvel stanno convergendo nello stesso spazio di celluloide, e che le storie assumono sempre più nettamente la forma di cross-over e di racconti articolati in saghe come siamo stati abituati nel mondo del fumetto Marvel fin dagli anni Settanta, è arrivato il momento di resettare le nostre aspettative. Per motivi di investimenti nella produzione, per esigenze di sintesi nella rappresentazione sul grande schermo, e per evidenti bisogni di palatabilità, le saghe dei supereroi Marvel, complesse e arzigogolate come le lotte dinastiche europee a cavallo tra il Rinascimento e l’Ottocento (perlomeno durante la guerra dei Trent’anni non avevano Terre alternative dove andare a parare, né manufatti mistici, né un Adam Warlock) sono state fortemente semplificate. E questo ha portato con sé alcuni problemi ma anche molte opportunità.

Gli appassionati di fumetti di lungo corso lo sanno da tempo: il vero grande cambiamento nell’universo Marvel è dovuto ai film, che stanno rimodellando molti dei personaggi sulla falsariga di quelli cinematografici. E alleggerendone altri in vista del passaggio sul grande schermo. Ora, se questo può essere un motivo di sbandamento – ma neanche poi tanto – per chi ama la carta stampata della Marvel, cosa accade invece per chi guarda solo o prevalentemente all’universo di celluloide della casa di Capitan America?

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avengers infinity war recensione film marvel

Diciamocelo: la complessità dei fumetti Marvel non può essere portata sul grande schermo. Deve essere rimodulata e rimodellata. Non c’è alternativa, piaccia o non piaccia. E proprio questo il compito di Avengers: Infinity War. È un film molto intenso, che consiglio vivamente di andare a vedere, ma solo dopo aver visto almeno gli altri film dei Vendicatori e, perché no, almeno l’ultimo Guardiani della Galassia. Altro? Forse non è necessario, anche se aiuta magari visionare Thor Ragnarok e forse, perché no, anche Spider-Man: Homecoming. Gli insetti per adesso non servono. Arcieri neanche. Inumani nemmeno.

Invece quel che conta qui è capire che lo sforzo per amalgamare mitologie che si stanno accumulando anche sul grande schermo fa parte di un’impresa narrativa che, con Avengers: Infinity War, cambia passo e accelera. Tutto deve avere un termine. Anche l’universo cinematografico Marvel: è previsto che giunga a conclusione e possa essere “riavviato” con altri attori. Pena, altrimenti, vedere Thor e Cap di mezz’età, con la pancetta, che si ritrovano a bere in qualche bar di periferia, assieme magari a un Bruce Banner pelato e a Tony Stark gonfiato dai lifting.

Prima che arrivi il trattamento di palingenesi alla Doctor Who, però, bisogna trovare sintesi. E questa sintesi, nelle intenzioni sempre più evidenti di Disney/Marvel, è un crescendo che inizia proprio con questo Avengers: Infinity War. E, credetemi, quando arriverete in fondo alle due ore e mezza di film, mentre rimarrete in sala a guardare l’esercito di animatori digitali (milioni di coreani e americani, ma anche parecchi italiani e francesi) in attesa della fondamentale scenetta finale (questa volta ancora più fondamentale del solito), avrete chiara una cosa. Se Avengers: Infinity War è l’inizio della fine, vuol dire che la fine inizia veramente con il botto. Uno di quei botti da chiedersi, quando uscirà la prossima puntata: “Ma questa volta come faranno?”.

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