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RecensioniClassicAllevare un cane di Taniguchi. Vivere con gli animali è possibile

Allevare un cane di Taniguchi. Vivere con gli animali è possibile

“Se un leone potesse parlare, noi non potremmo capirlo” Ludwig Wittgenstein (Ricerche filosofiche, a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 1974)

allevare un cane jiro taniguchi manga fumetto

Allevare un cane e altri racconti è una raccolta di cinque storie brevi di Jiro Taniguchi scritte tra il 1991 e il 1992, pubblicata in Italia da Panini Comics nel 2011. Si tratta di storie che si concentrano sulla relazione tra l’uomo e gli animali; in particolare, le prime quattro sono collegate fra loro e raccontano la relazione tra una coppia e i loro animali domestici: prima il cane Tam e poi la gatta Boro e i suoi cuccioli Kuro, Goma e Kiki. La quinta, invece, racconta l’ossessione di un uomo per la montagna, il cui ambiente selvaggio è in incarnato nella figura del leopardo delle nevi.

L’ultima delle cinque storie rappresenta un contrasto forte proprio per la sua ambientazione selvaggia, che si allontana molto dall’ambientazione domestica delle vicende raccontate nelle storie precedenti. Il concetto di ‘animale domestico’, infatti, è molto importante nelle prime quattro storie. Lo stesso Taniguchi descrive, al termine del secondo racconto, la relazione che nel corso dei millenni si è instaurata tra gli esseri umani e alcune specie animali. Tra gli umani e gli animali, quindi, possono esistere delle relazioni (di volta in volta diverse) basate su scambi: di affetto, di aiuto, di comunicazione.

Ed è su questa realtà, ma anche sui suoi paradossi, che Taniguchi riesce ad offrire suggestioni e idee particolarmente acute, con una sensibilità che sembra fare di questa raccolta un libro in qualche modo speciale.

Quello che gli animali ci dicono degli uomini

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La prima frase di questa pagina, invece, sottolinea come gli animali ci ricordino aspetti della nostra vita e del nostro essere nel mondo di cui altrimenti ci dimenticheremmo nella routine delle nostre giornate. Tra questi ci sono temi fondamentali, come la morte nel primo racconto, la nascita nel secondo e il distacco da chi abbiamo amato nel terzo.

Tutti coloro che hanno vissuto con un animale domestico durante l’infanzia sanno bene di cosa stiamo parlando: la vita media di gatti e cani è molto più breve di quella umana, ed è perciò molto frequente che questi animali rappresentino il nostro primo contatto con la morte. E prima di questo momento, nello spazio di dieci o quindici anni, ci mostrano la crescita, la vita adulta e l’invecchiamento, in un processo accelerato rispetto al nostro, ma comunque abbastanza lungo per permettere che si creino profondi legami di affetto. Nonostante la coppia di protagonisti dei racconti sia già adulta, questo processo di rivelazione vale in qualche modo anche per loro, perché, oltre a non avere figli, nessuno dei due aveva mai vissuto con un animale domestico prima dell’arrivo nella loro casa del cane Tam.

Questa capacità degli animali di rappresentare passaggi fondamentali della vita (anche) umana è espresso esplicitamente dalla voce del protagonista, che ha anche il ruolo di narratore interno (in questo caso, il racconto è al passato, e l’uomo parla a partire da un momento successivo, in cui ha già in qualche modo elaborato le esperienze vissute). In vari momenti, per esempio, la vecchiaia di Tam è collegata alla vecchiaia umana. In particolare, una signora anziana si identifica completamente nel Tam ormai anziano, che deve essere trasportato quasi di peso a fare i suoi bisogni nel parco.

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Proprio questa tavola, tuttavia, presenta una vignetta, la quinta, che è emblematica per capire un altro aspetto della raccolta di Taniguchi. In questa vignetta, infatti, vediamo soltanto Tam e la sua risposta, ovviamente canina, all’anziana signora.

In tutto il fumetto, Taniguchi ci mette di fronte agli animali: ai loro volti espressivi disegnati in maniera precisissima e al loro linguaggio. Un linguaggio che è spesso espressamente rivolto agli esseri umani, che però non lo capiscono, o lo capiscono solo in ritardo. E questo senso di spaesamento viene trasmesso anche a chi legge.

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Tutto Allevare un cane e altri racconti si regge su questo delicatissimo equilibrio: gli animali domestici sono quasi uguali a noi, tanto da poter vivere con loro e da poterli amare, e questo è diventato possibile dopo un lungo processo di addomesticazione. Tuttavia, nessun animale sarà mai abbastanza uguale a noi da poterlo comprendere e da poter essere compresi totalmente da loro, o da poter comunicare chiaramente con loro. Queste due condizioni vengono espresse nella loro tragicità nella pagina dedicata alla morte di Tam (p. 43), in cui il narratore dice: «Un animale muore senza poter dire addio. È una cosa che spezza il cuore. Vivere, morire. La morte di un cane. La morte di un uomo. Sono la stessa cosa».

Il passaggio dal cane Tam alla gatta Boro, in questo senso, segna un passaggio, si potrebbe dire quasi un’accettazione di questa condizione. Per i due protagonisti, avere un altro cane è fuori discussione: nonostante la stessa gatta Boro arrivi in maniera un po’ imprevista, è evidente fin da subito che quella appena iniziata è una relazione molto diversa, caratterizzata da una maggiore indipendenza dell’animale e quindi da un diverso scambio.

È interessante notare, quindi, come con la gatta la distanza comunicativa aumenti: in particolare, se le espressioni di Tam nelle vignette a lui dedicate erano sempre in qualche modo intellegibili (almeno in parte), la mimica facciale della gatta Boro è rappresentata spesso come un mistero (cui contribuisce il fatto che Boro è una gatta persiana, quindi dotata di un muso molto particolare). Boro tiene dentro di sé ciò che prova, molto di più di come faceva Tam, e la sua fiducia verso gli umani non è mai totale.

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Boro non ha solo il muso strano, ma si comporta anche in un modo molto pacato, molto calmo, poco usuale per una gatta, che stupisce e coglie impreparati il narratore e sua moglie. Il momento di massima incomprensione, in particolare, si ha quando Boro partorisce i suoi tre cuccioli. Sia durante il parto che immediatamente dopo, i due protagonisti non sanno cosa fare e non riescono ad interpretare il comportamento apparentemente distaccato della gatta nei confronti dei gattini appena nati.

Ma la verità è che sono loro a sbagliarsi: si ricrederanno presto sulle doti di mamma di Boro. Ancora una volta, vivere con un animale permette loro di assistere da vicino a un’esperienza unica come la nascita di nuovi esseri viventi.

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Che i due protagonisti sentano il non aver avuto figli come una mancanza è qualcosa che si percepisce nel corso delle prime tre storie, ma che viene chiaramente espresso solo nella quarta, quando una nuova presenza estranea irrompe improvvisamente nella loro vita: la loro nipotina Akiko, che appare inaspettatamente verso la fine delle vacanze estive.

Dopo Tam e Boro, quindi, la coppia fa esperienza di una nuova alterità, contemporaneamente più simile a loro (in quanto umana) e ancora più enigmatica, perché dentro la dodicenne Akiko si agita una miriade di emozioni inespresse.

Quello che gli uomini (e gli animali) non dicono

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Da un lato, come con la gatta Boro, la relazione con Akiko si dimostrerà più semplice e più arricchente del previsto. D’altra parte, però, Akiko dimostra chiaramente qualcosa che già in precedenza era percepibile, ossia che gli esseri umani non possono comunicare perfettamente nemmeno tra di loro: anzi, a volte è proprio all’interno della stessa specie che la comunicazione si fa più difficile. Un margine di incomprensione, insomma, esiste sempre, spesso anche tra due persone così vicine come la coppia di protagonisti, tra le quali scorre un fiume di sentimenti e riflessioni inespresse.

Quest’opera di Taniguchi, quindi, riesce a rappresentare l’incomunicabilità in moltissimi livelli e varianti, in un modo che solo un fumetto poteva permettersi di fare. Abbiamo già visto i volti degli animali, e la loro volontà di esprimere ciò che noi umani possiamo capire solo in parte. Ma è interessante anche notare come moltissime vignette sarebbero mute se non fosse per la voce fuori campo del narratore.

Taniguchi fa, inoltre, un uso estremamente frequente della nuvoletta vuota, che contiene solo tre puntini. Come a dire: il personaggio sta provando qualcosa ma né chi legge, né chi lo ha inventato, e forse nemmeno il personaggio stesso potranno mai capire bene cosa.

Si tratta, insomma, di un’opera che spinge il fumetto ad esprimere alcune delle possibilità che lo rendono una forma d’arte unica, provando a comunicare ciò che il linguaggio non può comunicare, e sfruttando a pieno le potenzialità dell’immagine ferma (quindi non cinematografica) creata dalla mano di chi disegna (quindi non fotografata).

Taniguchi, tuttavia, ci mostra anche che, nonostante non potremo mai capirci fino in fondo, c’è un modo per vivere insieme, che si basa sulla delicatezza e sul rispetto della dignità altrui.

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In questa tavola vediamo come, ancora una volta, la protagonista non riesca ad esprimere a parole ciò che sente essere giusto. Tra lei e la signora che insiste sul fatto che Tam andrebbe portato in braccio la comunicazione è solo parziale, perché da parte di quest’ultima non c’è la volontà di ascoltare. Pur non essendo espresso chiaramente a parole, tuttavia, il rispetto per la dignità di Tam è praticato nello sforzo quotidiano dei due protagonisti.

Uno sforzo molto simile è compiuto dalla moglie del protagonista dell’ultima storia, che decide di rispettare il desiderio profondo, il bisogno del marito di riprovare la scalata dell’Annapurna. Anche in questo caso, però, solo una parte di tutto questo può essere espresso a parole. In questo senso, il leopardo delle nevi, espressione di un’alterità lontanissima dall’uomo, sembra riconoscere chi è disposto a rispettare quest’alterità.

Il linguaggio verbale, insomma, rimane fondamentale, ma molte delle interazioni più importanti non sono espresse a parole. A volte ciò è semplicemente impossibile, perché l’interazione avviene tra uomo e animale. Ma anche gli umani spesso preferiscono altri modi per comunicare. Modi che richiedono delicatezza, attenzione e impegno, nella consapevolezza che tra noi stessi e il resto degli esseri viventi (umani e non) rimarrà sempre una distanza incolmabile, che non ci impedisce, però, di provare lo stesso a capirci e rispettarci.

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