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Mondi POPAnimazione"Mary e il fiore della strega" è un duplice fallimento

“Mary e il fiore della strega” è un duplice fallimento

Distribuito al cinema per un periodo limitato (dal 14 al 20 giugno) tramite Lucky Red, Mary e il fiore della strega di Hiromasa Yonebayashi conferma almeno due cose, entrambe non propriamente positive.

Il lungometraggio ha per protagonista la piccola Mary Smith, che si ritrova a vivere dalla prozia in attesa dei genitori impegnati in città per lavoro. Non conosce nessuno ed è molto impacciata. Quando scopre casualmente un fiore che si rivela magico, inizia un’avventura che la porta a vivere nei panni di una strega (con tanto di poteri e scopa volante) e ad affrontare Madama Mumblechook e il suo aiutante Dottor Dee, nel tentativo di salvare il suo unico amico Peter.

Yonebayashi ha due esperienze alle spalle in veste di autore e regista. Infatti, dopo aver lavorato come animatore per lo Studio Ghibli (Princess Mononoke, I miei vicini Yamada, La città incantata, Il castello errante di Howl, I racconti di Terramare e Ponyo sulla scogliera), ma anche al di fuori di esso (il notevole Jin-Roh – Uomini e lupi), ha esordito sotto il patrocinio dello stesso Miyazaki con Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento, un’opera deliziosa ma evidentemente ristretta all’interno dei confini imposti dal maestro Miyazaki.

Quattro anni dopo ha firmato Quando c’era Marnie, decisamente un passo in avanti, film in cui è riuscito ad allontanarsi parzialmente dall’estetica e dal corpus miyazakiano per dar vita a qualcosa di emozionalmente intenso, con uno specifico contesto letterario e culturale di riferimento e comunque senza abbandonare definitivamente la traccia imposta dal duo Miyazaki-Takahata.

Poi lo Studio Ghibli ha chiuso (temporaneamente?), e Miyazaki e Takahata hanno deciso di ritirarsi (anche se il primo non lo ha mai fatti). Forte della sua esperienza, e che esperienza, Yonebayashi ha deciso che era arrivato il momento di intraprendere un proprio percorso, di generare una frattura che gli permettesse di evolversi come autore in una forma più indipendente e libera. Addirittura, proprio per dare un segnale chiaro di questa scelta, ha fondato un proprio studio di produzione, lo Studio Ponoc, assieme al produttore cinematografico Yoshiaki Nishimura.

mary e il fiore della strega film animato ponoc ghibli

Il primo film dello Studio Ponoc è per l’appunto Mary e il fiore della strega (Meari to Majo no Hana) e, di fatto, è l’assoluta e definitiva negazione del percorso fin qui intrapreso da Yonebayashi. Perché, se con Mary e il fiore della strega il regista nipponico doveva dimostrare di essere autore tout court con un proprio precipuo percorso autoriale, è chiaro che il fallimento in tal senso è stato duplice.

Chiariamolo subito: Mary e il fiore della strega non è un brutto film. Scorre perfettamente per tutti i suoi 102 minuti di durata, alterna sequenze adrenaliniche di forte impatto con altre più evocative, a fargli le pulci si poteva lavorare meglio sui fondali ma nel panorama delle produzioni animate giapponesi dedicate al cinema è una pellicola che merita la sufficienza abbondante. Alla fine, però, il film è un meraviglioso, spettacolare, affascinante involucro vuoto.

L’influenza dell’immaginario ghibliano – di cui è evidentemente figlio – è così forte, immanente e assoluta da depauperare qualsiasi altro discorso. In Mary e il fiore della strega c’è davvero di tutto: c’è Kiki con il gatto nero Jiji, c’è il contesto visuale di Il castello errante di Howl, ci sono personaggi che richiamano palesemente La città incantata e persino Marnie e Arrietty.

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A volerci intravedere un discorso sull’uso inappropriato della scienza ci sono Nausicaä della Valle del vento e Laputa – Castello nel cielo, ma anche l’antesignano Conan il ragazzo del futuro. Ci sono le creature magiche a cui siamo stati abituati in anni di Ghibli. Insomma, inutile girarci intorno, Mary e il fiore della strega è un film intrinsecamente miyazakiano.

Non è facile, sia chiaro. L’impatto dell’opera di Miyazaki è stato talmente cruciale e assoluto da aver risucchiato potenziali forme cinematografiche alternative. Anche uno come Makoto Shinkai, da sempre dichiarato ammiratore di Miyazaki, è caduto nella trappola e con il suo Viaggio verso Agartha ha davvero sfiorato il plagio, cosa a cui non si sottrae questo Mary e il fiore della strega.

Ma non è tanto il fatto di non avere la forza di proporre un universo visivo e narrativo inedito a deludere, quanto il fatto di avere solo la superficie dell’universo miyazakiano. Mary e il fiore della strega, complice uno scarso approfondimento dei personaggi e soprattutto un inesistente sviluppo nel percorso della protagonista (che di fatto non ha punti critici né risalite), risulta un “viaggio dell’eroe” che non ha senso di esistere sin dalle sue prime battute.

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Il film di Yonebayashi non ha la delicatezza sottesa dei grandi film a cui ha partecipato in veste di animatore, non ha la forza di presentare personaggi femminili con l’articolata complessità di una Chihiro o di una Kiki. E questo limitandoci ai paragoni con l’universo Ghibli, perché l’opera saccheggia anche da Harry Potter, dallo Steamboy di Katsuhiro Otomo o da Princess Arete di Sunao Katabuchi.

Tornando all’inizio, questo film ci dà due conferme: la prima riguarda, per l’appunto, l’enorme difficoltà di svincolarsi da quel contesto immaginifico che è lo Studio Ghibli. La seconda è un pochino più triste e riguarda il fatto che questo ha, giustamente, esaurito ormai il suo iconico percorso artistico.

Insomma, a Mary e il fiore della strega mancano l’anima, lo spirito e soprattutto manca il coraggio di porsi come alternativa credibile. Mancano il desiderio di costruire un immaginario inedito ma anche la voglia di rischiare e, magari, fallire. E ricominciare a sognare.

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