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Comics"Barrier", la fantascienza militante di Vaughan e Martin

“Barrier”, la fantascienza militante di Vaughan e Martin

La miniserie sci-fi Barrier affronta la complessità della questione migratoria attraverso un processo di semplificazione funzionale, che ne costituisce il maggior punto di forza e allo stesso tempo il più grande limite.

barrier

Pubblicato sulla piattaforma di self-publishing Panel Syndicate, il fumetto di Brian K. Vaughan, Marcos Martin e Muntsa Vicente utilizza infatti i meccanismi analogici della fantascienza – e in particolare del sottogenere che tratta il contatto con entità extraterrestri – per veicolare un generico messaggio di empatia come antidoto alla retorica xenofoba, che spersonalizza l’immigrato come elemento pericoloso di una massa infraumana.

Gli autori si propongono di contrastare l’istupidimento (dumbing down) del discorso socio-politico statunitense ed europeo attraverso un messaggio altrettanto semplice ed immediato, e suggerire così una contro-narrazione basata sulla comprensione e rispetto della diversità. Volemose bene.

Fino a qui tutto ok, anche se bisogna considerare che tale operazione comporta almeno due pericoli. Per prima cosa, si corre il rischio di indugiare in didascalismi che trattano il lettore come uno scemo. In secondo luogo, si è portati – un po’ necessariamente, ça va sans dire – a sovrasemplificare specificità e ripercussioni etiche, economiche, politiche, sociologiche, you name it. E Vaughan/Martin, per quanto animati dalle migliori intenzioni, non riescono a evitare del tutto di cadere in queste due trappole.

La tendenza a sfociare in riduzionismi didattico-prescrittivi è insita in molta fiction militante. Per rimanere nell’ambito dei comics statunitensi, mi viene in mente l’Animal Man di Grant Morrison, in cui l’autore ricorre al gioco postmoderno, metatestuale e autoreferenziale per stemperare i predicozzi animalisti.

barrier

In Barrier non abbiamo simili forme di consapevolezza, bensì dei personaggi che spiegano a chiare lettere come «il diverso non è sempre un male». Semmai, direi che l’aspetto più interessante del fumetto non si estrinseca nella mera tematizzazione della questione migratoria, ma nel rapporto intertestuale con la tradizione ‘aliena’ della fantascienza, e nell’utilizzo – questo sì – metatestuale del linguaggio per amplificare gli effetti di identificazione e straniamento.

Come suggerito nella recensione dei primi due numeri (qui e qui), Barrier si rifà in maniera aperta a quella branca del fantastico che utilizza il contatto con forme di vita aliene per portare avanti un preciso discorso di tipo antropologico, sociologico e politico.

I modelli più lampanti sono H.P. Lovecraft e H.G. Wells, che agli albori della letteratura pulp hanno utilizzato orrori cosmici e pittoreschi mostri tentacolari per inscenare l’ansia culturale scaturita dal contatto con realtà altre. Le creature di Barrier, in particolare, riportano alla mente i marziani de La guerra dei mondi, forse la più famosa e brillante intuizione di Wells, che nel 1898 filtrò le formule del romanzo bellico di invasione con le preoccupazioni darwiniane e imperialiste della fin de siècle.

Vale la pena soffermarsi un attimo sull’ipotesto wellsiano, per capire le modalità in cui Barrier ne riprende lo spunto immaginifico al fine di sovvertirne gli statuti ideologici.

barrier vaughan martin

La tesi de La guerra dei mondi è tanto semplice quanto agghiacciante: così come l’uomo europeo ha esercitato una violenta prerogativa evoluzionista con animali e popoli inferiori, extraterrestri più sviluppati hanno pieno diritto di portare l’uomo all’estinzione. Il processo cosmico che determina le relazioni tra specie, razze e popoli è uno solo: la sopravvivenza del più adatto.

Così come gli altri romanzi del primo Wells, La guerra dei mondi mette in scena la tensione latente tra questo universale darwiniano – o meglio, spenceriano –, e lo sviluppo all’interno delle comunità umane di sentimenti come l’empatia, l’altruismo, l’accettazione della diversità. Sentimenti che risultano in ultima istanza dannosi nel processo evolutivo, secondo un’ottica tardottocentesca, perché bloccano la selezione naturale e l’istinto di sopraffazione.

Barrier riprende questi assiomi e li capovolge. La conflittualità che caratterizza il rapporto tra l’americana Liddy, l’onduregno Oscar e gli extraterrestri viene superata nel momento in cui questi utilizzano i loro superpoteri per condividere – tra loro e con il lettore – la backstory di ognuno dei protagonisti. Quasi un’anamnesi, l’espressione del vissuto personale di alieni e umani, delle loro tragedie e delle motivazioni che hanno spinto a migrare diventa la chiave per lo sviluppo di un’empatia produttiva.

In maniera pragmaticamente conciliatoria, il finale della mini suggerisce che la comprensione reciproca può evitare il conflitto tra uomo e alieno, tra uomo e uomo. La sopravvivenza nasce dalla cooperazione. Lo dice a chiare lettere Marcos Martin nell’intervista a SyFy, quando spiega che come Barrier esplori «l’incapacità di capirci l’uno con l’altro e, ancora peggio, la completa mancanza di empatia [come] caratteristica costante nella storia dell’umanità».

barrier brian k vaughan marcos martin

Il nodo centrale della comprensione, con tutti i suoi risvolti etici, si riflette anche nella compresenza di lingue differenti: l’inglese di Liddy, lo spagnolo onduregno di Oscar, e l’intellegibile idioma cromatico degli alieni. La situazione babelica rappresenta una ‘barriera’ non solo per i personaggi, ma anche per l’ideale lettore anglofono (o ispanofono) che non è guidato da glosse o note nella codifica del testo.

A tale proposito, Barrier lascia aperti almeno due percorsi ermeneutici: da un lato, il lettore può proseguire nella lettura pur senza comprendere – o comprendendo in maniera solo parziale – le battute nella lingua che non conosce, affidandosi quindi al contesto e al linguaggio del corpo. Proprio come fanno i due protagonisti.

Come spiega Marcos, «non capire alcune porzioni di testo è una componente essenziale dell’esperienza di fruizione della serie». L’altra strada percorribile implica invece l’utilizzo di un dizionario per decodificare i dialoghi, e prendere parte in maniera attiva al processo di comprensione dell’alterità cui il testo invita. Un modo per creare legami solidali attraverso la partecipazione emotiva.

Barrier è un fumetto che offre risposte semplici a domande complesse. Riduce ai minimi termini la questione migratoria per invitarci a considerare i tratti che accomunano chi parte e chi riceve. Nelle parole di Vaughan, «abbiamo cercato delle modalità visuali per separare e allo stesso tempo connettere personaggi che non sono forse così diversi come pensano».

Una parte di me continua a ritenere che, a lungo termine, la sovrasemplificazione e lo slittamento sul solo asse emotivo possano essere controproducenti. Ma quando vedo che, in occasione di eventi come la crisi dell’Aquarius o del salvataggio di Josefa, la politica, i media tradizionali e i social danno voce a persone caratterizzate dall’assenza dei più basilari strumenti empatici, penso che la semplicità di Barrier sia proprio quello di cui abbiamo bisogno. Ci servono storie così. Per tornare a riflettere sulle caratteristiche ci rendono umani, prima di involverci nei mostri vampiri de La guerra dei mondi.

barrier vaughan

Osservazioni sparse

• La letteratura fantastica di fine ottocento-inizio novecento non è il solo deposito da cui attingono gli autori. L’altro grande universo immaginifico è il fumetto supereroistico della Silver Age, da cui Muntsa Vicente riprende il gusto lisergico per i colori saturi. A un certo punto fa persino una comparsa un alieno che ricorda Starro, pittoresco villain DC concepito negli anni Sessanta.

• Il terzo episodio della serie è interamente privo di dialoghi. «Dopo vent’anni che scrivo fumetti, è stato il mio primo tentativo di creare un numero senza parole, ed è stato sorprendentemente difficoltoso da scrivere, e penso ancor più da disegnare», ha commentato Vaughan.

• Fondata da Marcos Martin, la piattaforma Panel Syndicate permette ai lettori di scaricare i fumetti senza DRM in formato PDF, CBZ o CBZ attraverso un’offerta libera, che può essere pari a zero. Nella postfazione all’ultimo numero di Barrier, Vaughan spiega che i proventi della serie andranno interamente a Martin e Vicente, compagni anche nella vita.

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