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FocusProfiliTopolino: la fine della direzione De Poli e la sua eredità

Topolino: la fine della direzione De Poli e la sua eredità

Con il numero 3280 di Topolino, distribuito in edicola il 3 ottobre scorso, si è conclusa l’esperienza disneyana di Valentina De Poli, che lascia la direzione del settimanale dopo 11 anni.

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Valentina De Poli a Lucca Comics & Games 2016 | Foto di Niccolò Caranti via Wikipedia

De Poli entrò in Mondadori, allora licenziataria per i fumetti Disney in Italia, nel 1987. Lei stessa ha descritto in dettaglio, in un’intervista al sito Papersera, quel periodo:

In Mondadori cercavano ragazze giovani per rispondere alle famose «letterine» (non c’era internet, e le testate ricevevano tonnellate di posta di lettori di tutte le età che non doveva rimanere inevasa, questo è un insegnamento che si rivelerà fondamentale per la mia formazione nel mondo dei giornali) e poteva essere un buon modo per arrotondare. […]

Da lì a un mese Topolino sarebbe passato da Mondadori a Disney Italia… Ricordate la campagna martellante al ritmo di: «È lui o non è lui? Certo che è lui, più Topolino che mai»? Ha segnato una svolta per il topo e per la mia vita. Infatti dopo qualche settimana ecco squillare il telefono: era Elisa [Penna, ndr], dai nuovi uffici di via Hoepli che mi chiedeva di fare un colloquio per un posto da assistente della segretaria di redazione. L’incontro andò bene […] e a poco a poco ho cominciato a gestire la posta, a occuparmi dell’archivio, delle agenzie fotografiche e, soprattutto, a osservare e ascoltare tutto ciò che capitava intorno a me. […]

Nel 1994, l’anno della scelta: Topolino o le neo-testate femminili e prescolari di Elisa, Minni, Cip&Ciop, Winnie? Ho voluto fortemente rimanere al Topo, suscitando un po’ di risentimento da parte di Elisa, ma non mi sono mai pentita della scelta. Ed è stata la mia prima decisione per la vita, vera e difficile. Dopo aver fatto parte del mitico Pkteam, guidato da Ezio Sisto, nel 1998, da caposervizio, ho lasciato Topolino, che allora era sotto la direzione di Paolo Cavaglione grazie al quale ho capito fino in fondo che lavorare per Topolino era un fatto importante e non significava essere giornalisti di serie B e che il nostro settimanale aveva un ruolo importantissimo nel panorama culturale italiano.

In Gruner+Jahr/Mondadori sono rimasta tre anni da caporedattore e poi vice direttore. Nel 2001 sono tornata in Disney come direttore di W.I.T.C.H., dei giornali prescolari e degli specializzati. Da quel momento mi sono trovata a vivere un’esperienza totalmente nuova, calata in una dimensione internazionale, in una company profondamente mutata, dove il legame con la sede Usa si era fatto più importante, e dove la divisione Publishing aveva una grande e ambiziosa missione: far diventare Milano il polo creativo di magazine per ragazzi, a fumetti e non, più importante del mondo.

Valentina De Poli si è trovata quindi coinvolta in alcuni dei progetti più importanti e persino sperimentali promossi dalla Mondadori prima e da Disney Italia poi, arrivando a dirigere Topolino a partire dal numero 2681.

Per la prima volta dai tempi della gestione Capelli (1980/1994), una figura interna a Disney Italia saliva alla direzione di Topolino e, per la seconda volta dopo Claretta Muci (2000/2007), si trattava di una donna.

La linea editoriale della gestione De Poli

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La copertina di “Topolino” n. 2681, il primo diretto da Valentina De Poli

La gestione De Poli della testata, forse la più amata dagli autori – dopo quella di Capelli, quella dei grandi numeri, dell’oltre un milione di copie contro le circa 140mila, secondo gli ultimi dati pubblici comunicati dall’editore nel 2014 (LINK) – si caratterizza, quasi fin dal primo numero, per alcune precise direttrici:

1. un’operazione di riavvicinamento ai lettori allo scopo di fidelizzarli – anche attraverso un rapporto più diretto e personalizzato, veicolato dalle rubriche e dal sito – allo scopo di far diventare di nuovo, come negli anni Ottanta, Topolino un giornale per tutta la famiglia. Un appuntamento fisso, e non più una lettura episodica ed occasionale;

2. conseguentemente al punto 1 sulla rivista ricompaiono, in misura corposa, saghe e storie lunghe – diversamente dalla gestione precedente, che aveva operato in senso inverso – anche se organizzate in modo da permettere la fruizione autonoma dei singoli episodi;

3. la strategia della testata torna ad essere quella di ammiraglia delle pubblicazioni disneyane in Italia. A tale scopo molti progetti, come quello della serie Double Duck (DD), che in passato avrebbe conquistato una testata propria, magari dalla vita effimera, vengono lungamente lanciate su Topolino, prima della ripubblicazione in volume;

4. sempre come implicazione del punto 1, De Poli tenta di riavvicinare i vecchi lettori alla rivista, che l’avevano abbandonata, con la pubblicazione di storie adulte, di ampio respiro e dai toni persino retro’ – scarpiani, barksiani, ciminiani – come le saghe di Casty (Topolino e il mondo che verrà) e Tutti i milioni di Paperone;

5. non si interrompe e anzi, si rilancia, l’attenzione verso temi ecologici consolidati, come risparmio energetico e rispetto dell’ambiente;

6. il core target della rivista, almeno negli obiettivi, viene ricentrato verso la fascia d’età scolare;

7. in relazione al punto 6 nei primi anni della gestione De Poli conquista spazio e rilevanza lo sceneggiatore Stefano Ambrosio e la linea editoriale da lui idealmente rappresentata, che porta alla produzione di storie infantili, talvolta semplicistiche e fin troppo legate alle nuove tecnologie e ai prodotti di merchandising della rivista;

8. si assiste inoltre a una rivisitazione nostalgica della testata, che cerca di ricollegarsi all’ultima gestione di grande successo della rivista, quella di Capelli. È una strategia evidente nel recupero di vecchie iniziative (Il bosco di Topolino) e di personaggi scomparsi, nel riutilizzo di formule tipiche del cinema d’animazione dell’epoca d’oro degli Studi Disney (attraverso serie come Le pillole di Pico) e nel processo di riscrittura di Topolino, che tende sempre più spesso ad assomigliare alla sua caratterizzazione originaria;

9. si investe nella multimedialità, per allargare il perimetro d’azione della testata, e i suoi canali di accesso, dal cartaceo al web;

10. una certa enfasi viene data al traino che importanti personaggi pubblici, dello sport o dello spettacolo (Roberto Bolle, Vasco Rossi, Francesco Totti, Gennaro Gattuso ecc.) offrono al settimanale attraverso le loro versione topolinizzate o, più frequentemente, paperizzate. In modo per certi versi speculare passa in secondo piano la gloriosa tradizione delle Parodie Disney. Le parodie sembrano quasi scalzate da questa pletora di personaggi, simboli talvolta di un successo effimero. Tranne rari casi, a differenza di storie passate come Paperino e l’iniquo equo canone, il mondo dello sport e dello spettacolo diventa il principale canale con cui il settimanale interagisce con la contemporaneità. Va specificato che una sprovincializzazione dei temi e delle narrazioni è dovuta anche al sempre più corposo numero di storie ripubblicate in altri mercati esteri.

Che De Poli voglia fare un giornale nuovo, nel solco della tradizione rispetto a quello ereditato dalla direzione precedente non solo è evidente, il cambio di passo è dichiarato programmaticamente. Non a caso, sulla copertina del già citato numero 2717 (25 dicembre 2007: Natale, ovvero una ricorrenza particolarmente significativa per l’immaginario disneyano) campeggia la scritta «Topolino è tutto nuovo, siete pronti per partire?», che sembra riecheggiare la campagna realizzata per il passaggio della rivista da Mondadori a Disney Italia.

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La copertina di “Topolino” n. 2717

All’interno, accanto al sommario, troviamo una delle più significative novità di questo nuovo corso. Un editoriale, presentato, con tanto di foto, dalla direttrice che introdurrà, da questo momento in poi, ogni nuovo numero. Vale la pena rileggere il testo:

Cari amici di Topolino, ci siamo finalmente! Stiamo per intraprendere insieme un nuovo viaggio fantastico, seguendo i binari di questa metropolitana da sogno, la «Topolitana», che collega Paperopoli a Topolinia passando proprio per casa vostra. Non ci limiteremo certo a guardare dal finestrino: ci prenderemo tutto il tempo necessario per leggere, ridere, sognare, partecipare, scrivere, imparare, rileggere, in compagnia di Paperi, Topi e tanti amici. Ogni sette giorni ci aspetterà un viaggio diverso dove vivremo avventure a fumetti, costruiremo insieme un mondo fantastico e daremo un tocco di meraviglia a quello reale. Se vi sentite già spuntare il becco e state lasciando impronte di zampe palmate, non preoccupatevi: da oggi, farsi venire la pelle di «papero» per l’emozione e la gioia non sarà cosa rara…

È chiara, da queste poche righe, l’importanza che il giornale darà da questo momento in poi al rapporto, anche in chiave confidenziale, con i lettori. Un rapporto che si era, durante la gestione Muci, irrimediabilmente compromesso, a favore di rubriche della posta riservate ad altre pubblicazioni specializzate e settoriali.

Una relazione confidenziale che non passa solo per Topolino ma anche attraverso il sito Topolino.it che, come viene pubblicizzato a pag. 7, è «tutto nuovo, zeppo di news e giochi. Ed è il punto di incontro virtuale dei lettori di Topolino dove potete paperizzarvi e topolizzarvi». Così come è chiara l’intenzione di riportare al centro del settimanale i suoi protagonisti più noti e amati. Operazione che potrebbe apparire scontata, o addirittura superflua, se la precedente direttrice non avesse avuto la bizzarra idea di far introdurre un settimanale dedicato a un topo a… un criceto. Il criceto Bruce, famigerato – per gli appassionati storici – protagonista anche di una manciata di tavole a fumetti sul numero 2332 dell’agosto 2000.

Passando alle storie pubblicate, si arriva subito a comprendere un altro dei capisaldi su cui si farà affidamento nel corso di questa nuova conduzione, quello della nostalgia. La prima, ottima storia pubblicata, Paperone in… un altro Natale sul Monte Orso (testi di Tito Faraci, disegni di Giorgio Cavazzano) è, dichiaratamente, un sequel e al tempo stesso un omaggio alla storia di esordio di Zio Paperone Christmas on Bear Mountain, ripubblicata sul numero precedente di Topolino.

Prima della storia, una pagina introduce sia il collegamento con il classico barksiano sia i due autori; operazione, questa, alquanto inedita per la rivista e che cerca di soddisfare sia appassionati che neofiti dell’universo disneyano. Purtroppo l’iniziativa ha avuto uno sporadico seguito, specie se rapportato al numero di recuperi, soprattutto di personaggi secondari, che contraddistingueranno la gestione De Poli.

In chiusura troviamo la nuova rubrica Family su cui, di volta in volta, una famiglia in carne e ossa, con tanto di servizio fotografico, dichiara il proprio amore per Topolino. Negli ultimi numeri questa rubrica ha ceduto il posto, dopo una serie di cambiamenti a Sgrunt, pagina in cui i giovani lettori (6-11 anni c.a.) raccontano cosa li fa davvero arrabbiare.

La scommessa sugli autori e la doppia strategia

Dal punto di vista delle storie è chiara, fin dai primi numeri, l’intenzione di alzare il livello qualitativo delle stesse, sia valorizzando i collaboratori abituali, sia recuperando alcuni nomi storici della rivista. Fra tutti Francesco Artibani e Fabio Celoni, che produrranno alcuni dei lavori migliori della testata, non a caso riproposti in pregiati volumi da libreria, e che durante la gestione Muci si erano allontanati dal settimanale. Lo stesso Artibani ricordò, piuttosto esplicito, le motivazioni del suo ritorno su Topolino:

Ho collaborato ininterrottamente per la Disney dal 1992 fino al 2004. In questi anni ho lavorato a Topolino e a tutti gli altri periodici della casa editrice: PK, MM, X-Mickey, Witch e Kylion, tanto per citarne i più importanti. Nel 2004 non mi trovato più d’accordo con alcune scelte editoriali che erano state intraprese e dunque ho deciso di dedicarmi ad altro. Quindi, non per recitare la parte del fidanzato puntiglioso (quello che dice “Sono io che ho lasciato lei e non lei che lasciato me…”) ci tengo a sottolineare che la scelta di interrompere la collaborazione è stata mia.

Sono dettagli ma in questo lavoro i dettagli contano. Dal 2004 al 2010, per sei anni, mi sono dedicato a tutto quello che facevo già prima: fumetti e cartoni animati. L’invito di Valentina De Poli di tornare a scrivere per Topolino l’ho accettato volentieri perché erano cambiate le condizioni: ora alla guida del settimanale c’era un direttore competente.

Senza estendere il giudizio di Artibani alla pletora di autori che gravita intorno a Topolino, possiamo dire che le manifestazioni di stima per De Poli espresse – via social – nei giorni del cambio direttivo, rafforzano l’idea che l’apprezzamento per il suo operato sia stato largamente condiviso, tra i colleghi.

La partita che la direttrice aveva affrontato, infatti, si giocava su due tavoli. Da un lato il consolidamento del pubblico adulto; dall’altro, come già detto, l’arresto della progressiva emorragia – un problema ormai antico, per la verità – di lettori giovani. Una strategia che non pare abbia dato grandi risultati, se si guarda ad una recente intervista rilasciata a Rivista Studio, di cui vale la pena citare alcuni passaggi, che assumono nuovi significati alla luce dei recenti avvenimenti:

RS: Direttore De Poli, ma Topolino oggi è un magazine per giovani o per adulti?

VDP: I 2/3 dei nostri lettori sono adulti, ma il core target sono appunto i ragazzi tra gli otto e gli undici anni. Quindi la sfida è trovare il giusto equilibrio. A me piace pensare di fare un giornale per bambini e con i bambini. Per questo abbiamo rilanciato iniziative per coinvolgerli direttamente. Ad esempio la rubrica Sgrunt in ultima pagina o i Toporeporter, che ci sono sempre stati ma ora abbiamo in un certo modo “istituzionalizzato”. Giovani lettori, under 13, che diventano giornalisti per un giorno […]

RS: Una sfida alla semplificazione e alle strade facili che sul mercato editoriale può avere un prezzo da pagare.

VDP: Ma non possiamo sempre avere paura di essere complessi. È vero che in parte corriamo il rischio a volte di non essere capiti dai più giovani, soprattutto nelle storie che hanno diversi livelli di lettura, di fruibilità. Non c’è niente di male se un bambino alla prima lettura di una storia non comprende tutto. Magari capirà meglio o scoprirà aspetti che gli erano sfuggiti quando gli capiterà di rileggere quella storia dopo una settimana o un mese. Anche a me succede di ritrovarmi tra le mani vecchi numeri e di accorgermi che alla prima lettura non avevo compreso di cosa si stava parlando.

Senza conoscere i motivi alla base dell’uscita della direttrice – diverse indiscrezioni hanno riferito di licenziamento, dunque di una scelta aziendale (come peraltro ha facilmente lasciato intuire l’inusuale, per certi versi sibillino, comunicato del Comitato di Redazione apparso nel n. 3280) – resta però un dato: la sfida (complessità adulta & semplicità infantile) di cui si discuteva anche nell’intervista di pochi mesi fa, sembra sia stata perduta.

Sugli aspetti artistico-narrativi alla base di questo (parziale) fallimento, torneremo a breve. Ma innanzitutto va notata una débacle puramente commerciale, che peraltro non ha a che vedere con il nodo delle vendite: basta sfogliare qualche annata del settimanale per rendersi conto del drastico calo delle inserzioni pubblicitarie. Se è vero, infatti, che i 2/3 dei lettori di Topolino sono composti da adulti, è ai bambini che le pubblicità presenti sulla rivista si rivolgono.

Forse non è un caso che l’altra poltrona ad essere saltata è quella di Emanuela Peja, senior marketing manager della rivista, storica collaboratrice di De Poli, ovvero «la mia compagna di viaggio più stretta di questi 10 anni», come la definì nel 2017 in un’altra intervista. Così come potrebbe non essere affatto un caso che le “partenze impreviste” delle due manager siano avvenute a pochi mesi dal restyling della testata, datato aprile 2018. Un restyling che potrebbe non aver portato i risultati sperati e che si è accompagnato anche al lancio di una nuova testata, Topolino Junior, esplicitamente dedicata ai lettori in età infantile.

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La copertina del primo numero di “Topolino Junior”

Ancora una volta le parole della direttrice, qui tratte da un editoriale pubblicato sulla rivista trade Anteprima, possono suonare come inquietantemente profetiche:

Storicamente ogni “tot” anni le pagine dei periodici, soprattutto quelle dei magazine settimanali, vengono sottoposte a un lavoro di rinnovamento estetico e dei contenuti. Anche Topolino non si sottrae da questa cura periodica. La parola “restyling” fa tremare i più, sia dalla parte degli addetti ai lavori sia da quella dei lettori che per natura diffidano dei cambiamenti che coinvolgono le cose a cui si è affezionati. Ma il processo di rinnovamento di un giornale è necessario perché costringe chi lavora nel backstage a fare il punto della situazione, a comprendere meglio chi sono i lettori e come si sono trasformati, ad analizzare i macro e micro cambiamenti avvenuti nel mondo della comunicazione e a fare un bilancio di ciò che funziona e quello che, invece, non funziona più. E, se è il caso, come insegna il grande Troisi, si ricomincia da… tre (non da zero perché è regola preziosa quella di fare tesoro del passato, soprattutto se è un passato da “novanta” come quello del nostro Topo…).

Mentre ci leggete dovete immaginarci nel momento più frenetico degli ultimi 5 anni, intenti a ricercare una sintesi e un senso nel mare di informazioni in cui abbiamo nuotato per i due mesi appena trascorsi tra analisi del passato, focus group con grandi e piccoli, tra lettori strong e quelli più distratti, ma anche i super impallinati ed esigentissimi. Quello che a oggi posso anticipare ai lettori di Anteprima, che so essere particolarmente interessati alla tradizione del fumetto disneyano, è che per il numero che segnerà il nuovo corso, datato mercoledì 11 aprile, si riunirà la coppia Faraci & Cavazzano, partirà una nuova saga dedicata al Giro del mondo in 80 giorni siderali di Vitaliano & Pastrovicchio, Archimede sarà alle prese con Sio e Paperoga vi inviterà a partecipare ai suoi famigerati corsi… Visto? Vi ho tranquillizzato? Perché so benissimo che moltissimi tra voi alla parola cambiamento si sono messi in… trincea. Ci rendiamo conto che i fantastici autori di Topolino non hanno bisogno di alcuna cura “ricostituente”. Semmai sono loro, con le loro tavole, a regalarci ogni settimana una dose straordinaria di un toccasana di cui non possiamo fare a meno. Straquack, Valentina.

Topolino, come contenitore di fumetti adulti, esplicitamente o quasi pensati e creati per quella fascia di pubblico con maggiore potere di acquisto, sotto la gestione De Poli ha raggiunto, certo non senza ombre, vette davvero molto alte, come abbiamo già fatto notare con piacere in molte recensioni (ad esempio QUIQUIQUI), grazie anche a quel “ritorno all’inquietudine” che ha rappresentato un importante cambio di rotta rispetto alla visione limitata, ristretta e persino censorea del settennato guidato da Muci (abbiamo riflettuto più approfonditamente su questo punto QUI).

Eppure, storie spesso di ottimo se non eccellente livello, realizzare da autori come Francesco Artibani, Giorgio Cavazzano, Fabio Celoni, Bruno Enna, Paolo Mottura, Fausto Vitaliano, Radice&Turconi ecc. hanno dato l’impressione di essere parzialmente inadatte, in primo luogo graficamente (così come serie dal taglio innovativo per la rivista come Double Duck o le nuove avventure di PK, personaggio non a caso nato per il formato comic book), per i ristretti confini della tavola formato libretto tipica del Topo.

Sembrano, quelle citate – e molte altre – storie destinate a formati editoriali più ampi. E infatti sono state spesso ripresentate in altre collane o proposte dai nomi significativi: Definitive Collection, Limited Deluxe Edition, Super Deluxe Edition ecc. Formati di lusso, dal prezzo importante, evidentemente destinati a chi se li poteva permettere. Fenomeno, va detto, andatosi incrementando dopo l’acquisizione della licenza Disney da parte del gruppo Panini, nel 2013, che ha riorganizzato il presidio nelle librerie di varia e nelle fumetterie.

La logica della piattaforma di pre-pubblicazione

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La “Limited De Luxe Edition” del Moby Dick di Artibani e Mottura

Che alcuni fumetti Disney possano e debbano essere riproposti in edizioni degne, che li strappino via dalla corrente tumultuosa e amnesica del fumetto seriale da edicola è indubbio. Non si tratta peraltro di una pratica del tutto inedita (sicuramente non lo è nei prezzi, se ricordiamo alcune strenne già nel Secondo dopoguerra). Ma l’organicità, insistenza e dunque aggressività commerciale della politica ‘deluxe’ è un fattore nuovo che, per la prima volta, rischia di mettere in secondo se non in terzo piano la testata ammiraglia, grazie anche alla massiccia riproposta di raccolte e ristampe.

Ecco dunque delinearsi i due capisaldi che caratterizzano la gestione Panini del catalogo di storie Disney:

1.  la creazione di un mercato di volumi di lusso rivolto agli adulti (se non ai collezionisti veri e propri) dotati, a differenza dei loro figli e nipoti, di un elevato potere di acquisto, di cui una buona (e preparatissima) rappresentanza si raccoglie intorno al forum di Papersera.net;
2. la nostalgia usata in maniera importante, e forse anche un po’ spregiudicata, come strumento di marketing.

Che queste modalità abbiano portato i risultati sperati in campo commerciale è per lo meno dubbio, vista la gestione disordinata delle troppe testate che affollano gli scaffali (come ben analizzato da Andrea Bramini in questo articolo). Sicuramente però hanno avuto l’effetto di ridurre il settimanale di punta dei periodici Disney italiani a una sorta di piattaforma di pre-pubblicazione in cui sperimentare storie già progettate per la formule del volume. Una evoluzione che, unita all’inarrestabile allontanamento dei lettori più giovani, ha finito per marginalizzare la testata.

La strategia infantile e la fragile tecnofilìa in Q-Blog

Questo perché se De Poli ha contribuito, spesso grazie anche alla libertà concessa alle intuizioni dei suoi autori, alla creazione di ottime storie di successo certo fruibili su più livelli e a diverse età ma principalmente dirette ad un pubblico di lettori adulti, non ha saputo, d’altro canto, impostare parallelamente una linea editoriale che soddisfacesse i mutati appetiti di quelli più giovani.

I tentativi, quando sono stati fatti – ed è la stessa direttrice ad ammettere che tale fascia di acquirenti è stata a lungo trascurata – sono risultati piuttosto goffi, fuori dal tempo e dalle tendenze o, peggio ancora, alla ricorsa tardiva delle stesse.

Questi tentativi hanno inoltre disatteso quella sfida “alle semplificazioni e alle strade facili” di cui si parlava pocanzi. Tutto ciò nel contesto storico di una testata che è stata quasi sempre capace di commentare con originalità la contemporaneità quasi in presa diretta, rivolgendosi ad una platea variegata, dal punto di vista anagrafico e sociale. A ciò si aggiunge il gran numero di autori esordienti portati a creare storie riempitive – quelle cioè che accompagnano il pezzo forte presente sul settimanale – non ancora abbastanza maturi per proporre qualcosa di realmente interessante, anche se su sezioni secondarie della pubblicazione.

Se nei decenni precedenti le storie pubblicate su Topolino commentavano con brevissimo scarto, con risultati certo alterni, fatti di cronaca, abitudini sociali e mode, mostrando, in alcuni specifici casi, anche notevoli capacità anticipatrici o per lo meno interpretative, negli ultimi anni si sono trovate a rincorrere, e con un certo affanno, una contemporaneità fluida e molto più permeabile a cambiamenti repentini sotto il profilo delle tendenze, delle opinioni e delle modalità comunicative. Mentre le nuove generazioni di nativi digitali migravano in massa su altri media, la risposta della rivista sul tono di quella proposta arrivò, ad esempio, con Q-Blog, una serie non regolare esemplare di quella che ho definito la “linea Ambrosio”.

q-blog topolino
Una tavola di “Q-Blog”

In Q-Blog (primo episodio su Topolino n. 2702, del 2007), i tre nipoti di Paperino narrano le loro imprese quotidiane come se fossero state trascritte sul loro blog. La grafica della serie rimanda appunto… a un blog. Sulla prima pagina, per esempio, vediamo dei bottoni attraverso i quali scegliere le varie sezioni. Naturalmente l’operazione è impossibile, ma risulta chiara l’intenzione di «mimare» il linguaggio di internet a favore dei lettori più giovani. Non è la stessa cosa di vedere un’astronave al cinema e immaginare di pilotarla in prima persona. Non si tratta di aumentare il livello di credibilità di un’azione impossibile da compiersi e quindi solo immaginata. Si tratta di diminuire il livello di realtà di un’azione che per molti dei lettori di allora era probabilmente già quotidiana.

L’operazione, in sé, è infatti abbastanza deludente. La qualità delle storie, davvero minimali, è ampiamente sotto la media, ed è evidentemente destinata a un pubblico di età molto giovane, probabilmente più interessato, presuppongono gli autori, a vedersi (pur malamente) rappresentato che a uno sviluppo narrativo interessante e a un uso del linguaggio stimolante e innovativo. I tre nipotini devono partecipare a un’audizione per fare da gruppo spalla a una delle loro band preferite. Naturalmente riusciranno nel loro scopo, superando qualche lieve difficoltà. Fra i provinanti che si sottopongono alla selezione dei tre paperotti c’è anche un certo Rascal (presenza ricorrente nella serie) che canta un rap. Ecco il testo: «Non so niente di Manzoni, di Petrarca o di Dante. Il mio vero soprannome è Rascal l’ignorante!».

I tre paperotti, da troppo tempo relegati nel ruolo di studenti modello, devono, nelle intenzioni degli autori, essere riscattati da uno schema che non è più vendibile. Nel corso di tutta la storia si fa spesso riferimento ai moderni strumenti di comunicazione, in un tentativo di modernizzare i personaggi che però risulta ruffiano e che, in fin dei conti, diventa il centro della sceneggiatura, a scapito dell’intreccio, che è davvero molto povero.

I tre nipotini comunicano via webcam con un loro amico giapponese, suscitando le ire dello zio, spaventato dalla spesa di una chiamata intercontinentale (Paperino qui rappresenta l’adulto pretecnologico con cui le nuove generazioni non possono avere un dialogo, e che anzi è ridicolizzato per la sua scarsa confidenza con la modernità). I tre giovani protagonisti, nel corso della storia, vengono messi alla berlina attraverso alcune foto fatte con un telefonino e scoprono l’inganno di un componente della loro band, che aveva dato forfait adducendo come scusa una slogatura al polso, perché lo trovano a giocare con un joypad senza fili.

Anche i loro problemi trovano una rapida soluzione grazie alla tecnologia. Impossibilitati a tenere il concerto, registreranno un video della loro performance per poi pubblicarlo su internet. Inutile dire che, grazie a questa operazione, saranno scelti per suonare con i loro idoli. La storia è preceduta, inoltre, da un articolo che mette a confronto le due band più in voga (allora) fra adolescenti e preadolescenti: Tokio Hotel e Finley. Il quadro, a questo punto, sembra più che completo.

La strategia infantile e il patchwork effimero di Wizards of Mickey

Se da un lato serie come Q-Blog, ma anche altre simili quali Q-Galaxy ed E-Blog (con l’eccezione di quelle con protagonisti Paperotto&Co, di Bruno Enna ed altri) spingono sull’identificazione da parte dei lettori ottenni o poco più, serie dal grande battage pubblicitario come Wizards of Mickey, sempre di Ambrosio, ammiccano alla moda del fantasy (inserendosi nella scia del successo cinematografico del Signore degli Anelli, oltre che di molti romanzi per ragazzi) e dei trading games (e infatti verranno creati mazzi di carte collezionabili a marchio WoM).

Wizards of Mickey
Una raccolta in volume della serie “Wizards of Mickey”

Fa sorridere leggere nel comunicato stampa redazionale che questa saga, poco più che modesta e spesso anche poco meno, venga definita «l’equivalente fumettistico dei grandi capolavori della letteratura fantasy del ’900». WoM è un perfetto esempio della direzione che la testata è andata prendendo negli ultimi anni.

La storia si svolge in un Medioevo fantasy. Topolino, ancora una volta apprendista stregone, deve partecipare a un torneo di maghi per recuperare un cristallo, chiamato «diamagic», rubato da Gambadilegno. Ha bisogno, quindi, di una squadra (qui anglicizzata in «team») per partecipare alla competizione. La storia si arricchisce via via di molti altri personaggi (spesso versioni fantasy di characters già esistenti, altri invece creazioni originali) e di situazioni, a dire il vero abbastanza ripetitive, fino alla conclusione della prima parte, con Topolino incoronato Re dal proprio maestro.

La seconda parte della saga (WoM II: L’età Oscura, a dire il vero quella più riuscita) si apre dove la prima si chiude. Il regno è ormai felice, reso tale dall’impegno altruistico del suo nuovo sovrano. Il peso del potere e della responsabilità opprime però il generoso Topolino che, mal consigliato da un’ombra malvagia (che si scoprirà essere Macchia Nera, l’antagonista della prima serie), si trasforma in una sorta di versione dark e malvagia di sé stesso che non trova idea più originale di organizzare un altro torneo, speculare a quello di WoM.

Il riassunto qui, vista la mole dell’opera, è molto sintetico ma dovrebbe rendere bene la scarsa originalità della costruzione della serie. In realtà gli aspetti che al fine di questa analisi ci interessano sono altri.

Innanzitutto la strutturazione in episodi che, a differenza per esempio di un classico fantasy disneyano come La spada di ghiaccio, preferiscono una narrazione di tipo verticale a una di tipo orizzontale e tendono a offrirsi come racconti isolati e autonomi, quasi a voler venire incontro ad una incapacità di seguire una storia complessa da parte del lettore. L’uso insistito di gag brevi sembra confermare questa ipotesi. Ciò potrebbe essere sintomo di una precisa volontà editoriale.

Siamo lontani dagli anni in cui la testata era la leader assoluta del mercato, nella sua fascia d’età di riferimento, e WoM è strutturata in maniera tale che anche il lettore occasionale può cominciare a leggere la saga da uno qualsiasi degli episodi senza il «disturbo» di trovarsi smarrito. Questo sospetto, molto forte a dire il vero, viene confermato dal fatto che ogni episodio è introdotto da alcune tavole, da una a quattro, che hanno lo scopo di riassumere gli eventi precedenti e che sostituiscono le sintetiche didascalie di raccordo di solito usate su Topolino in occasione della pubblicazione di storie divise in più episodi. Sono questi tutti elementi che sembrano concorrere allo scopo di rincorrere il lettore disattento.

Altro elemento importante da sottolineare è il continuo e superficiale ammiccamento all’oggi. L’ambientazione fantasy, che dovrebbe caratterizzare il racconto, si rivela ben presto come una scelta di comodo, un gigante con i piedi di argilla, un ulteriore riferimento a una moda coeva che però non ha troppa ragion d’essere. Si pensi solo al fatto che una delle caratteristiche del genere è, appunto, la creazione di un mondo pretecnologico.

In WoM la tecnologia non è eliminata ma sostituita dalla magia, non come un ritorno a un’ancestralità in cui forze primordiali si scontrano ma esclusivamente per motivazioni di facciata. Compaiono infatti «amuletofonini», e «Magicstation3». Sembrano essere tutti sintomi, questi, tipici di una rivista che per conquistare i propri lettori non può o non riesce più a creare dei modelli di riferimento ma è costretta a inseguire mode che, muovendosi su media diversi e con tempi di ricambio più veloci, rischiano di essere già passate al momento della pubblicazione. Una strategia che, sul medio-lungo periodo non può che rivelarsi fallimentare.

Questo tipo di approccio, forse a causa di un disperato colpo di coda, è lo stesso che contraddistingue l’ultima serie che chiude la gestione De Poli, la saga dei Whizz Kids in cui Qui Quo e Qua acquisiscono incredibili capacità per sconfiggere il gruppo di cattivi (bambini) di turno, sostituendo di fatto il fantasy con la “nuova” moda del momento, quella dei supereroi che colonizzano, ma per quanto ancora, l’immaginario, purtroppo esclusivamente cinematografico, degli spettatori anche di più tenera età.

Quel che resta di Topolino

Cosa rimane, in ultima analisi, degli ultimi undici anni, di un’era che si è chiusa da poco più di una settimana? Sicuramente un grandissimo numero di bellissime storie, create grazie alla capacità concessa agli autori di esprimersi con il massimo della libertà possibile nei confini dei paletti posti dal contenitore stesso. E poi molte sperimentazioni, alcune persino ardite. Insomma a pesare è il ricordo di un giornale fatto non sempre per contentare o sedendosi sugli allori della gloriosa storia passata, ma per piacere in primo luogo a chi lo fa. E non è certo poco.

topolino 3280 alex bertani
La copertina di “Topolino” n. 3280, il primo diretto da Alex Bertani

Ma l’eredità De Poli non si ferma naturalmente solo a questo e incamera anche una sconfitta, i cui contorni abbiamo descritto e che forse è stato il principale motivo della chiusura del rapporto. Se queste supposizioni fossero giuste non sarebbe da escludere un riassetto dell’intero comparto Publishing della Disney, da anni nettamente minoritario nell’assetto complessivo della multinazionale e di cui l’Italia rappresenta il centro di eccellenza. Anzi, più che minoritario, per dirla con la stessa De Poli, che commentò così la cessione delle licenze a Panini: «per una grande multinazionale il business dei fumetti era diventato di fatto irrilevante».

Eppure non sarebbe giusto caricare di troppe responsabilità la direttrice uscente, che ha affrontato, non sempre con successo, un periodo di enorme travaglio che coinvolge l’editoria tutta. De Poli, inoltre, ha dovuto probabilmente affrontare tutto questo facendo i conti con importanti tagli al budget, desumibili, oltre che dalla minore presenza di pagine pubblicitarie, dalla ricomparsa, non sporadica, delle storie di produzione estera (della Danese Egmont), qualitativamente inferiori a quelle prodotte in Italia ma probabilmente più economiche.

La questione fondamentale però, che comprende tutto quanto detto finora, è un’altra: è possibile prevedere se nei prossimi anni Topolino avrà ancora un ruolo che ne giustifichi la presenza nelle edicole e nelle nostre case? La nuova direzione saprà dare una risposta a questa domanda? E allargando lo sguardo, c’è ancora un futuro, sul lungo periodo, per una produzione importante, popolare, periodica, di storie a fumetti legate all’immaginario disneyano classico, e cioè non quello, ad esempio, dei film animati? Ce lo dirà soltanto il tempo.

Perché non è solo è il contesto ad essere cambiato ma lo è, conseguentemente anche il pubblico. E si tratta di un cambiamento che coinvolge non solo l’editoria e il fumetto nello specifico, ma tutti i vecchi media. Compresa quella televisione con cui Topolino dovette combattere e a cui, in passato, riuscì a strappare, spesso attraverso la complicità, un dignitosissimo spazio di sopravvivenza. È utile riportare, in chiusura di questo articolo, la riflessione di un veterano disneyano come Massimo Marconi, che ragiona su come il rapporto fra pubblico e testata sia cambiato. Topolino riuscirà ancora ad essere cool o, per lo meno, una lettura di nicchia o d’élite?

Io ricordo quando un fascicolo di Topolino aveva 7 milioni di lettori, di cui 4 al di sopra dei 15 anni, e quindi considerati adulti. Allora si diceva «Topolino lo leggono tutti», ma non era esatto: Topolino lo leggevano, e lo leggono, tutti quelli che hanno qualcosa in più, non dico che necessariamente fossero più intelligenti, ma più orientati alla lettura, e poi considera che era un giornale un po’ più da fighetti, non ti facevi vedere in giro a leggere Topolino se avevi 14 o 15 anni. Ed infatti il merchandising Disney non è mai andato bene in quegli anni, stranamente va più adesso che il fumetto vende di meno: in quegli anni c’era il boom economico, ma ci si sarebbe vergognati ad avere qualcosa col marchio Disney, solamente i collezionisti acquistavano cose del genere.

Credo che comunque sia cambiato tutto il pubblico: se prendi un Topolino degli anni Cinquanta, ti chiedi: «ma come faceva un bambino a capire queste storie? A capire questi servizi?»… ed invece si interessavano, evidentemente, viste le vendite; poi magari qualcuno saltava i redazionali, però in molti li leggevano. Era un po’ quello che succedeva nei cinema: se la nostra generazione fosse andata a vedere solo film per ragazzi avremmo visto sì e no 10 film in una vita. Invece noi li vedevamo tutti, vedevamo qualsiasi cosa: io mi ricordo di aver visto «Rebecca», cosa avrò capito a 7-8 anni di quel film? Comunque lo guardavo, e qualche cosa in testa mi sarà rimasta, forse.

Chi legge, oggi, Topolino; e chi lo leggerà?

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