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RecensioniNovità"Leggere i fumetti", di Claudio Calia: quasi come Bignami

“Leggere i fumetti”, di Claudio Calia: quasi come Bignami

Di solito, nella vita normale, quella vera, evito di infilarmi in discussioni sui fumetti. Anche perché la maggioranza della gente che frequento quando parlo di fumetti mi guarda, nel migliore dei casi, con condiscendente superiorità. Sono due le categorie in cui si divide questa maggioranza: quella con cui tutto sommato mi trovo più a mio agio, dei “lettori superficiali” del ricettario Carli e della Gazzetta dello Sport (intendiamoci: niente contro questi due capisaldi della cultura italiana; il ricettario Carli l’ho praticamente consumato e la Gazza la sfoglio tutte le mattine al bar), e quella, con cui sono spesso a disagio (alcuni mi fanno addirittura paura), dei “lettori forti” convinti della superiorità etica della lettura (che poi nella realtà riducono sempre e solo a romanzetti) su ogni altra attività umana.

Entrambe queste categorie credono (visto che preti e maestre gli hanno purtroppo insegnato che si deve sempre credere obbedire e combattere) che il fumetto sia roba per gli sciocchi. Per loro i fumetti sono letture stupide, alle volte insipide: perdite di tempo. Tranne quando poi gli capita di leggerne uno, di fumetto – di quelli “mascherati da libro”, diciamo – e allora, in particolare i lettori forti, sono tutti gridolini di sorpresa e li spediscono in finale a premi letterari in cui non c’entrano un cazzo.

Tempo fa era stato Sergio Brancato nel suo saggetto “La malinconia della voce fuori campo” (in AAVV, La linea inquieta, Meltemi 2005) a tentare di elencare alcuni elementi di riflessione sul perché il fumetto è rimasto, per lo meno in Italia, il parente culturalmente povero ed emarginato nella grande famiglia della comunicazione d’intrattenimento. Perché è difficile leggerlo: fosse anche solo Tex o Topolino (dove pure aiuta tantissimo la reiterazione, l’abitudine e, per il bonellide, le lunghe didascalie a spiega del disegno; e comunque il fumetto popolare italiano ha una tipologia di lettore tutta sua: per dire, il lettore medio di Diabolik è lettore di Diabolik e basta).

Data la sua natura composita –>

[INCISO PER LETTORI NON FRETTOLOSI]

Eh già, ma esattamente: quale natura? Io credo che interrogarsi sull’ontologia del fumetto non sia un esercizio retorico, non significhi cercare gli attributi dell’essere o moltiplicare inutilmente gli enti, ma semplicemente cercare e sperare di trovare – come ci insegna Aristotele – il complemento oggetto, il predicato se si preferisce, di un nome – una cosa, un ente – di cui il verbo essere è congiunzione, copula: synthesis per dirla con il greco, letteralmente cioè “appiccicare insieme due cose”. Oh! Ma guarda un po’: il fumetto non è forse proprio questo “mettere insieme” due cose come scrittura e disegno?

[FINE INCISO; FRETTOLOSI, E’ IL VOSTRO MOMENTO]

–> il fumetto richiede al suo fruitore competenze ben più complesse di quelle del semplice fruitore di testo scritto o di quelle del semplice fruitore d’immagini. Il pubblico pigro dei romanzetti e del cinema natalizio non ha nessun interesse a provarsi a gestire i due diversi ordini di comunicazione (scrittura e disegno) che originano il fumetto. Intendiamoci, non sto teorizzando, né lo fa Brancato, una superiorità intellettuale dei lettori di fumetti; Brancato sostiene che il fumetto sia molto più complesso di tanta letteratura d’occasione e di tanto cinema di confezione, eppure molto meno considerato. Io, invece, sono convinto di altro (ormai è quasi un tormentone: i fumetti si guardano anche se hanno parti scritte, come si guardano i film anche se hanno il sonoro).

Mi sembra però che il libro che Claudio Calia ha appena pubblicato, Leggere i Fumetti (Becco Giallo) voglia iscriversi, già dal titolo, nel solco tracciato proprio da questo saggio di Brancato. Nelle intenzioni, perché poi nella pratica, essendo un fumetto, fa una cosa ben diversa.

Leggi l’anteprima di Leggere i fumetti.

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Il pubblico ideale cui il volume vorrebbe indirizzarsi è sicuramente quello di persone attente alle varie manifestazioni della cultura popolare (cinema, musica, letteratura) ma che non sono lettori di fumetti. Convinto che il motivo per cui persone che comunque fruiscono storie in ogni forma, non lo facciano con la forma del fumetto per il motivo spiegato da Brancato, Calia prova a convincerli ad affrontare la lettura dei fumetti partendo da quelli con cui questi lettori dovrebbero fare meno fatica conoscendone già personaggi e trame grazie al cinema.

Tralascia quindi il fumetto popolare italiano, che è uno dei più codificati (come si diceva ha una categoria di lettori a parte); tralascia anche il fumetto popolare d’oltralpe, perché i migliori risultati al cinema li ha avuti nell’animazione, cosa che probabilmente quel pubblico cui vuole rivolgersi considererebbe “per bambini”, e comincia (dopo una brevissima panoramica che ha un po’, sia detto con tutta la stima che ho sempre portato alla sua opera, del Bignami) da quei fumetti che hanno avuto i migliori risultati al cinema. X-Men e Batman.

Basandosi su questa premessa che costruisce tutta su un tema emotivo, assolutamente ben strutturata con il climax che dalla morte di Jean Grey, passando per la disfatta del Cavaliere Oscuro e che piomba nella nera disperazione di DevilMan, Calia tenta una forzatura (perché probabilmente la ritiene indispensabile allo scopo di convincere il non lettore cui si rivolge): intellettualizzare il fumetto portandolo alla dignità del libro. Così transitando dal ventennio delle riviste si arriva, con un’operazione narrativa che sacrificando tanto scorre decisamente fluida, all’incoronazione del Graphic Novel e del Comics Journalism. Spiegelman, Mazzuchelli-Auster, Sacco e, non certo uguale tra pari, Zerocalcare.

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Poi il tocco più bello. Riportare tutto alla vera natura del fumetto: il divertimento bambino. Come a dire a quel non-lettore da convincere, che dopo questo percorso, se vorrà farlo, scoprirà il vero valore del fumetto: il puro divertimento. L’arte ‘bimba’ di scozzariana memoria. Il libro chiude su una tavola molto bella in cui Claudio-papà legge i Teen Titans a sua figlia.

Buio. Fine.

Solo che non è vero che finisce così.

Perché sin dalla prima tavola del volumetto, ciò che Claudio sostiene sul piano “enciclopedico” o “didattico”, lo nega sul piano iconico.

E lo fa, un po’ paraculo, fingendo di non rendersene conto. Riassemblando, tavola per tavola, tutti i codici stilistici degli autori di cui parla, sbatte in faccia al lettore il paradosso del fumetto, quello di sembrare una cosa che non è. Non è un insieme di scrittura e immagini. Il fumetto è ciò che si mostra in modo autoevidente: una dannata tautologia. È questo che scoraggia tanti lettori. Perché non c’è introduzione possibile al fumetto. Lo devi ‘sapere’ subito il fumetto – appena lo guardi. Ed è questa la chiusa del libro. Le due tavole con il papà e la bimba che leggono un fumetto. Solo che, piccolo particolare, lo fanno al buio. Ma al buio non si legge. Nel buio si scruta.

Leggere i fumetti
di Claudio Calia
BeccoGiallo Editore
132 pagine,  b&n – 15€

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