Il nostro immaginario geografico si orienta a partire da due assi fondamentali. Quello Nord-Sud è l’asse della tensione, del rapporto più o meno dialettico tra realtà che mantengono una stretta relazione. L’asse Ovest-Est, invece, è l’orizzonte che esprime la distanza: fin dall’antichità l’Oriente rappresenta per noi l’Ignoto, costituendo il modello dell’esotico e dell’estraneo.
Come Edward W. Said ha sostenuto nel suo saggio più famoso, con lo sviluppo delle relazioni tra Europa e Asia e la crescita dell’interesse scientifico nei confronti delle culture orientali, la situazione non è necessariamente migliorata: dopo secoli di relazioni, scambi e conflitti l’Oriente rimane per noi un mistero, un luogo distante e relegato, nella coscienza collettiva, in una posizione oscillante tra la curiosità distratta e il sospetto timoroso.
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Il piano orientale di Zeina Abirached racconta la storia di questa distanza, e degli sforzi che sono stati fatti per superarla. Lo fa attraverso due storie che si intrecciano senza continuità: la prima, che dà il titolo all’opera, è la vita del libanese Abdallah Kamanja – nome fittizio di Abdallah Chahiné, creatore negli anni Cinquanta del “piano orientale”, ovvero di un pianoforte capace di riprodurre i quarti di tono necessari a suonare la musica mediorientale. La seconda storia è la vita di Zanzoun, pronipote di Abdallah e alter-ego dell’autrice, che vive divisa tra Parigi e Beirut oggi, e sperimenta il mescolarsi delle sue due identità.
L’opera si fonda dunque su un doppio intreccio, dei tempi e dei luoghi, in una storia che ci porta a Parigi e Vienna ma trova il proprio centro a Beirut, una città la cui immagine ci viene restituita prima e dopo il suo periodo più buio, la guerra civile che per 15 anni l’ha tranciata in due. Il racconto di Abirached – già autrice del bellissimo Mi ricordo Beirut (BeccoGiallo, 2010) – è innanzitutto una celebrazione della città, della sua anima multiculturale e colta, dei suoi faraglioni e delle sue colline, così come di un passato che oggi sembra lontanissimo (fantastico il riferimento a un treno che cinquant’anni fa collegava direttamente Beirut, Aleppo, Damasco e Gerusalemme).
Da un lato l’invenzione di un pianoforte “bilingue”, capace di passare dal sistema ben temperato occidentale al sistema orientale senza alterare il proprio aspetto; dall’altro il percorso di naturalizzazione di Zanzoun, in cui l’arabo e il francese convivono dapprima come un’unica lingua e poi progressivamente si distinguono, mostrandole la trama di un’identità che non può essere ridotta a una semplice giustapposizione di parole, gesti o abitudini. Questo il tema centrale dell’opera, che riesce a tenere insieme i diversi registri e i diversi temi del racconto con una coerenza e un’unità davvero invidiabili.
Molto interessante anche il fatto che l’incontro interculturale sia guardato da un punto di vista extraeuropeo: dallo scontro con i cliché sul mondo arabo allo shock generato da alcuni usi nostrani, fino a un’idea di Francia costruita da bambina attraverso le immagini dei libri di scuola, Il piano orientale riesce anche a raccontarci una storia in cui è il punto di vista europeo a non essere affatto scontato.
Zeina Abirached si dimostra capace di dominare gli strumenti a sua disposizione, con disegni regolarissimi e dalla forte impronta geometrica, talvolta fortemente debitori di uno stile che richiama da lontano l’Art Nouveau. Se il tratto spesso e geometrico salta subito all’occhio, l’elemento davvero distintivo del disegno dell’autrice è il ritmo, la capacità quasi sinestetica di produrre una sequenzialità decisamente musicale.
Il fumetto riesce ad acquisire questa dimensione sonora trasportando il lettore tra i rumori della città, i suoni che accompgnano il lavoro quotidiano e i momenti casalinghi. Questo ritmo, questa cadenza dinamica della narrazione come delle vignette fa della lettura un’esperienza assolutamente particolare, e rivela una grande interdipendenza di testo e disegni. Semplicità geometrica e ritmo sonoro permettono all’autrice di lasciar fondere in una narrazione unitaria passato e presente, arabo e francese, oriente e occidente. Co-finanziato attraverso fondi pubblici francesi, il progetto di Zeina Abirached mostra le vere potenzialità del medium fumettistico nella ricerca interculturale.
Vale la pena sottolinearlo: immaginare Il piano orientale come un libro – o come un film – è impossibile, e questo perché sono proprio le caratteristiche proprie del fumetto a essere decisive per le esigenze espressive dell’autrice. Rispetto al trattato scritto, il fumetto è un mezzo decisamente più potente per rendere ragione delle differenze tra culture, e la ragione è semplice: queste differenze si esprimono attraverso una molteplicità di codici, stili e forme che si appiattisce facilmente se descritta in un testo, ma che può essere conservata con gli strumenti del disegno, del lettering, dell’impaginazione. Un’altra cultura non è solo un linguaggio, ma un intero sistema di comportamenti, gesti, segni, stili e credenze: qualcosa che non può essere semplicemente trasposto in un’altra lingua, ma che può essere mostrato.
In definitiva, Il piano orientale non è solo una storia divertente e piena di fascino. Si tratta di un’opera riuscita sul piano formale prima ancora che contenutistico, anche se in questo caso – come per ogni buon lavoro – è davvero difficile separare i due aspetti. Introdurre lavori del genere nelle accademie e nel dibattito pubblico sarebbe un ottimo modo di presentare l’alterità culturale con una sensibilità completamente diversa, e permetterebbe di riconoscere l’importanza e il ruolo fondamentale dell’arte fumettistica nel mondo contemporaneo.
Il piano orientale
di Zeina Abirached
traduzione di Roberto Lana
Bao Publishing
212 pagine in b/n, 21,00 euro