Abitare nella profonda provincia nord milanese è questione di muscoli e resistenza. Per lavorare e per vivere nella città che amo, mi devo svegliare prima degli indigeni e devo essere molto più motivato di loro. Mi alzo in fretta al suono della sveglia, mi lavo, mi cambio, fendo il traffico, mi muovo al ritmo lento del semaforo e della rotonda e, soprattutto, so dove parcheggiare per prendere il mezzo che mi permette di ottimizzare i tempi. È questione di esperienza, di abitudine e, soprattutto, di alienazione.
Vivo nella provincia profonda. E sono schiacciato in quel posto da così tanto tempo da aver visto cambiare tutto: la viabilità stradale, le stazioni dei treni, le linee metropolitane, le carrozze e le locomotrici. Ho visto cambiare anche le edicole, perché quelle le ho sempre guardate con grande attenzione.
Per un periodo lunghissimo, il lettore di fumetti è stato un frequentatore assiduo dell’edicola. Era un tipo curioso che sapeva girare attorno ai chioschi, alla ricerca dei suoi amati giornaletti. Era anche un tipo abitudinario e faceva questo giro sempre nello stesso verso (orario o antiorario), muovendo lo sguardo ovunque, perché aveva capito che l’edicolante, abbracciando una logica personale e spesso arcana, avrebbe potuto piazzare fumetti lungo tutto il perimetro del suo punto vendita.
Poi, i chioschi hanno iniziato a farsi più rari, lasciando il posto a edicole con struttura da negozio: un ingresso, due o tre luci ed espositori più o meno ordinati. Poi – e questa è storia più recente – anche i negozi hanno iniziato a sparire.
Facendo leva sul mio quasi mezzo secolo (ne ho attraversato, con soddisfazione, un buon 90%), posso cercare di condividere i miei ricordi. Aspetta. Mi siedo sulla poltrona di vimini, mi copro le gambe con il plaid a quadri verdi e ti racconto, mentre sorseggio una tazza di brodo di gallina caldo.
Negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, andare in edicola in città era un’esperienza formativa. La schiacciante presenza di testate che non arrivavano nel mio chiosco di periferia si faceva sentire e mi costringeva a maledire la distanza. Tornato a casa e costretto a frequentare l’edicola dietro casa, venivo distrutto da una sensazione di incurabile inadeguatezza. E sul palato, il terribile sapore del provincialismo.
Il sopraggiungere del nuovo millennio ha segnato un’impredicibile inversione di tendenza. Dapprima le edicole meneghine si sono svuotate di quasi tutti i giornali e poi hanno iniziato a scomparire. Sulla modifica del prodotto venduto ha influito la cosiddetta “resa a specchio”, cioè la restituzione al distributore dei pezzi che l’edicolante reputa ingombranti e invendibili: molto meglio riservare spazio ad altro. Poi gli edicolanti hanno capito la lezione che i produttori di collaterali hanno cercato di inculcargli a forza.
Per anni, le adorabili direzioni marketing hanno spiegato che il modo migliore per vendere un giornale è allegandogli un film, un gioco da tavola, un cucchiaio, una bambola, un violino, una scatola di cachi, una radio a transistor, i dischi di Little Tony…
Col tempo gli edicolanti, che non sono più tardonetti degli altri esseri umani, hanno capito la lezione. I giornali non vendono e producono redditività ridicole: molto meglio trasformare il negozio in un incrocio tra la cartoleria e il rigattiere.
Lo sai. In provincia le innovazioni arrivano con passo di bradipo. Dalle mie parti, le edicole vendono ancora qualche giornale. Spesso, hanno addirittura pubblicazioni che a Milano non si trovano più. Lo dico perché, in questo modo, forse la noncuranza che vado a dimostrare nelle righe che seguono è giustificata almeno un po’.
Entro nella mia edicola di provincia e inizio a spulciare tutte le pubblicazioni con calma: compro “Mucchio”, “Orfani” e “Historica: Piuma al vento”; scopro che un tipo simpatico con cui ho lavorato per un po’ ha vinto il premio “Urania”; valuto se “Juxtapoz” di questo mese merita la spesa; mi accorgo che quello che sembra un numero doppio del mensile “Mondo Nuovo” è, in realtà, una raccolta dei primi due numeri; leggiucchio a scrocco un po’ di “Indice dei Libri”…
Sono così preso dalla mia ricerca che non mi accorgo della vita che mi scorre accanto. E riuscirei a non prestarci attenzione se non fosse che, quando vado a pagare, si è formata una coda lunghissima.
È il guaio di andare in un’edicola vicina a una chiesa, la domenica mattina. “Ite, missa est” e i fedeli sciamano nella “mia” edicola, rallentando i “miei” acquisti. Mi tocca fare la fila e curiosare tra i giornali altrui.
Sorpresa.
Nessuno, in edicola, compra più giornali. Neanche in provincia. Il prodotto che va per la maggiore è il biglietto della lotteria istantanea.
Mi pare istruttivo che, oggi, un “gratta&vinci” faccia sognare più di un albo Bonelli.