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Fumetti e Guerra fredda. Intervista a Elfo

“Sono parte di quella generazione arrivata al mondo fumetto da fuori, dai circuiti della politica. Negli anni ’70 in molti si sono messi a fare fumetto, a volte anche senza saperlo troppo fare, solo perché era un linguaggio semplice e immediato per comunicare, per dire le cose che volevamo dire e per descrivere ciò che circondava. Anche Mattotti ha cominciato raccontando il quartiere Ticinese a Milano. E poi non si è più fermato. Si trattava di usare il fumetto per raccontare il presente, anche politicamente. Una modalità di narrazione poi esplosa con Andrea Pazienza”.

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Un estratto da “Quelli che Milano”, di Elfo e Matteo Guarnaccia (BUR Rizzoli)

Tra il primo libro di Elfo (vero nome: Giancarlo Ascari) Lo statuto dei lavoratori illustrato (Gammalibri, 1977 ) e il suo secondo, Love Stores (Coconino, 2005) sono passati trent’anni. Nel frattempo, ha pubblicato fumetti, scritto, collaborato con molte riviste: “Alter Linus”, “Linus”, “Il Corriere dei Piccoli”, “Alfabeta”, “Linea d’Ombra”, fino all’esperienza di “Diario”, a cavallo tra gli anni ’90 e i primi 2000. La maggior parte dei suoi fumetti degli anni ’70 e ’80 non è mai stata raccolta all’interno di volumi unici e molte di quelle storie sono rimaste praticamente inedite (su Fumettologica ne pubblicheremo due settimana prossima).

Dopo aver pubblicato per Garzanti un magistrale saggio storico a fumetti sulle utopie più celebri della storia (titolo: Sarà una bella società), Elfo sta lavorando a un nuovo libro per Rizzoli Lizard, di cui oggi presentiamo in anteprima assoluta alcune tavole.

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L’arte del complotto, Elfo

“Nel lavorare a questo libro – mi racconta nel suo piccolo studio all’ultimo piano di una vecchia casa di ringhiera in Corso di Porta Ticinese a Milano – mi sto divertendo molto. Si tratta di un romanzo ambientato negli anni ’60, a New York. L’atmosfera risente dell’influenza di certi romanzi di Thomas Pynchon, nei quali si mescola la meccanica del complotto a vecchi telefilm in bianco e nero, con una buona dose di iniezioni fantascientifiche. Una storia di agenti segreti e pittori del Greenwich Village. Il protagonista, detto “il prete”, è un misto tra William Burroughs e Hunter Thompson.

Guardando le tavole si percepisce qualcosa di alcuni film di Godard tipo Alphaville. O di serie come Ai confini della realtà

Esatto. Come struttura assomiglia a un fotoromanzo, dove le componenti realistiche si mescolano a quelle del fantastico di genere. È ambientato in quel “plot” che conosciamo bene pur senza esserci mai stati. Mi sono reso conto che è paradossalmente più facile ricostruire una storia ambientata a New York in quel periodo piuttosto che in Italia. Se volessi fare una cosa del genere per Milano, non avrei a disposizione tutto quel materiale su cui è possibile lavorare. C’è un libro su cui mi sono basato molto, come fonte documentale: “Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale” di Frances S. Saunders. Un saggio che spiega quanto il ruolo della CIA nella cultura e nell’arte occidentale degli anni 50 fosse fondamentale e cioè, in pratica, quanto la CIA pagasse direttamente una serie di intellettuali ed esponenti di correnti dell’espressionismo astratto e della pop art. In Italia, per esempio, scopriamo che uno come Ignazio Silone veniva ampiamente finanziato, così come molti altri.

Che cosa ci guadagnavano? Silone era pur sempre un uomo di sinistra…

Anche la CIA era un organizzazione considerata di “sinistra”, ma in chiave antisovietica. Sostentava gli intellettuali anti comunisti e pagava riviste culturali in tutto il mondo. Questo almeno fino al 1967, quando arriva Lyndon Johnson, che poi blocca le cose. Ho immaginato la storia di un pittore che non riesce a lavorare perché si trova invischiato in questo ambiente. È tutto giocato sulla teoria del complotto.

Gli anni ’60 ricorrono da sempre nelle tue storie.

In quell’epoca è nato un tipo di immaginario di cui ancora oggi ci nutriamo. In questo libro cerco di fare un lavoro di scavo all’interno di quel mondo, alla ricerca di determinati archetipi visuali. Sugli anni ’60, sono tendenzialmente ispirato dal genere della nouvelle vague, rispetto per esempio al mio amico e collega Matteo Guarnaccia, che riprende invece la parte più “psichedelica” di quel tipo di arte visiva. Si tratta comunque, in entrambi i casi, di un ritorno al periodo di creazione dell’immaginario moderno. Il “dramma” di oggi è che da allora non ci sono più stati salti così grandi in avanti…

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Oggi come vedi la situazione, anche rispetto alla rivoluzione della rete?

L’immaginario è diventato un “fai da te”. E questo ha conseguenza sia positive che negative. Siamo sia produttori che consumatori di immaginario, ma così tutti hanno -o pensano di avere- ragione. E se incocci in quelli sbagliati puoi passare ore a spiegare cose ovvie. Insomma, apre a derive che dire populiste è dire poco…Poi ovviamente, la cosa meravigliosa è che puoi fare delle ricerche molto approfondite. Per esempio, ho scoperto che il New York Times ha messo online tutti i suoi archivi dalla fine dell’800. Lì ho trovato molti documenti per il mio libro sull’utopia (Sarà una bella società – ndr). L’altro lato della medaglia, in questo caso, è che bisogna fissare canoni di ricerca che non sono dati a priori. Voi, per esempio, potete farlo, anzi dovreste fornire canoni di giudizio sul fumetto…

Ci proviamo…Chi ti piace degli autori di fumetto di oggi?

Gipi ovviamente. Marco Corona, che ha una visionarietà quasi ottocentesca. Igort ma non tutto… Mattotti anche se non fa più fumetti, purtroppo. Dell’epoca, penso che Carpinteri fosse il più bravo di tutti. Tra gli stranieri: Adrian Tomine e Daniel Clowes, per fare due nomi. Ma va detta una cosa: oggi, per fortuna, il fumetto non è più solo “fumetto”. C’è il linguaggio dell’illustrazione e quello del design, per esempio, con i quali si sta mischiando. Il fumetto italiano tradizionale, Lucca, il museo del fumetto…non mi piacciono tanto. Credo sia meglio puntare sui giovani, quelli che vogliono “usare” il fumetto e non solo innamorarsene o pensare di “essere” il fumetto. Ci sono giovani artisti che non sono incasellati, una nuova generazione che abita all’estero e che non ha fatto scuole (non c’è niente di peggio delle scuole di fumetto e di design).

Quando uscirà il libro?

A Settembre, nel corso del festival di Mantova. Si intitolerà “L’arte del complotto” .

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