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RecensioniNovitàLukas: di sicuro c’è solo che è un non-morto

Lukas: di sicuro c’è solo che è un non-morto

Il 16 Luglio 1950 appariva su “L’Europeo” un lungo articolo del giornalista Tommaso Besozzi dedicato a Salvatore Giuliano. Il bandito siciliano era stato ucciso una decina di giorni prima in circostanze misteriose, forse per impedire che potesse prima o poi rivelare il ruolo avuto nella strage di Portella della Ginestra. Il titolo dell’articolo era destinato a diventare famoso: “Di sicuro c’è solo che è morto”.

Si può dire quasi lo stesso per Lukas, il protagonista dell’omonima testata della Sergio Bonelli Editore, inventata dallo sceneggiatore Michele Medda e creata graficamente da Michele Benevento, anche copertinista di questa miniserie urban fantasy, divisa in due stagioni di 12 puntate l’una.

Tanto per chiarire l’aria che tira, quel che sembra un estemporaneo partouze…
Tanto per chiarire l’aria che tira, quel che sembra un estemporaneo partouze…
…si rivela un banchetto a base di carne umana. Disegni di Michele Benevento, dal primo episodio.
…si rivela un banchetto a base di carne umana. Disegni di Michele Benevento, dal primo episodio.

Dopo i primi quattro numeri, di sicuro c’è che Lukas è un non-morto, e poco altro. Pregio non da poco, vista negli ultimi anni la brutta abitudine di troppi albi bonelliani di spiegare e rispiegare ogni cosa.

Dopo la notevole e a suo modo rivoluzionaria Caravan, Medda torna per certi versi sui suoi passi e realizza una serie che a tratti sembra il negativo della precedente. Là avevamo un racconto di gruppo (primo caso del genere, in Bonelli) sottolineato da belle e inconsuete copertine che rinunciavano spesso a ritrarre i protagonisti per focalizzarsi sui personaggi secondari, o addirittura facevano completamente a meno della figura umana privilegiando l’atmosfera complessiva. Qui, invece, si torna all’eroe eponimo e a copertine tradizionali, che ritraggono il protagonista alle prese con ciò che rappresenta il fulcro dell’episodio, ben disegnate ma non particolarmente evocative (la migliore pare quella del terzo episodio; la peggiore forse quella del secondo, anonima e con il protagonista oltretutto irriconoscibile, più somigliante al Fukuda di Slam Dunk che a se stesso).

La copertina del secondo episodio
La copertina del secondo episodio
La copertina del terzo episodio
La copertina del terzo episodio

Lì c’era una cornice fantascientifica, al cui interno tanti personaggi normali, costretti da circostanze eccezionali, agivano e morivano da eroi. Qui personaggi eccezionali cercano di mimetizzarsi in un contesto quasi ordinario; anche Deathropolis, la città inventata che fa da sfondo alla serie, lungi dall’attingere all’immaginario americano, rimanda alle più familiari forme delle città europee, prima fra tutte Milano. Lì i personaggi raccontavano spesso il loro passato, come chiave interpretativa del misterioso presente; qui è il presente ad essere misterioso, perché del passato non c’è memoria.

 Nella prima tavola, Lukas si ridesta dalla morte in un loculo, e ne esce scalciando via la lapide. Sa poche cose, e come faccia a saperle, per ora, è anch’esso un mistero. Innanzitutto sa di essere un ridestato, sorta di terza via tra zombie e vampiro; del primo ha l’insensibilità al dolore, la resistenza e la voglia di carne umana, del secondo la forza e il raziocinio. Sa che sotto la patina di normalità, la città cela numerose stranezze: altri ridestati come lui, alcuni vampiri e altre bizzarrie assortite, più o meno mostruose (repellenti animali giganteschi, freak cannibali, specchi magici e chissà cos’altro in futuro). Sa soprattutto di non volersi cibare di carne umana, al contrario dei suoi simili, anche se sarebbe la cosa più facile.

Questa tensione tra l’imprinting comportamentale dovuto alla propria apparentemente ineludibile condizione e ciò che invece si decide razionalmente di essere, è il tocco tipico di Michele Medda. Perché Lukas non ricorda più chi era, ma ha in qualche modo coscienza di ciò che era. Ovvero un uomo (?) con un chiaro punto di vista morale.

Lukas: sguardo assente, ma coscienza in tumulto. Disegni di Michele Benevento, dal primo episodio.
Lukas: sguardo assente, ma coscienza in tumulto. Disegni di Michele Benevento, dal primo episodio.

Tra il bene e il male, tra il prendere la parte dei deboli e il tirare diritto per quieto vivere, Lukas opta sempre per la prima soluzione. È il frutto di una riflessione, forse in parte fatta inconsciamente, solo per decenza nei riguardi di se stesso. Non conta che cosa sei per nascita, se un uomo o un mostro, ma quello che vuoi essere. Non per caso, come contraltare, compaiono normali esseri umani che si macchiano di realistiche, ordinarie mostruosità, spie di un generale decadimento etico: il pirata della strada che fugge dopo avere investito un pedone, il politico che scarica sui cittadini ignari e incolpevoli il (terribile) prezzo della propria inadeguatezza, il marito dedito alla violenza domestica.

Medda non è uno sceneggiatore che compiace il lettore, non gli dà certezze o sviluppi che sarebbe lecito attendersi, quanto piuttosto quel che ancora non sapeva di volere. Oppure gli dà esattamente quel che vuole, ma nel momento in cui non se lo aspetta più.

È allora vietato affezionarsi troppo a personaggi magari interessanti, ma che porterebbero la trama in una direzione diversa da quella imboccata dall’autore. Basti vedere cosa accade a Janko, il co-protagonista del primo episodio, che è stato salvato da Lukas e ne è anche diventato una sorta di amico. Jarno spiega a Lukas alcune caratteristiche del mondo in cui il protagonista si è ridestato, gli dà alloggio e lo aiuta a cercare lavoro, per poi essere ricompensato con una pallottola in testa, come si fa con gli zombie. Ma Janko è stato disgraziatamente contagiato da Kaplan, un altro ridestato (fieramente malvagio, in questo caso), e ha subito ceduto alla fame di carne umana, divenendo un cannibale assassino. E mentre lo fredda per impedirgli di uccidere ancora, Lukas gli spiega con dolente ironia che quella “non è vita”.

Lo stile di Medda non prevede trucchi, o smargiassate del protagonista condite da qualche frasona a effetto, o inutili volgarità spacciate per modernità. Piuttosto uno story-telling che procede con freddezza da entomologo e dialoghi asciutti, nei quali sbuca qua e là l’umorismo glaciale dell’autore, se non proprio il sarcasmo.

LUKAS 6

Tipici esempi di umorismo alla Medda. Notare la vignetta-didascalia che sigilla, pragmatica e beffarda, la breve sequenza. Disegni di Luca Casalanguida, dal secondo episodio.
Tipici esempi di umorismo alla Medda. Notare la vignetta-didascalia che sigilla, pragmatica e beffarda, la breve sequenza. Disegni di Luca Casalanguida, dal secondo episodio.

E colpi di scena che si palesano in modo a prima vista banale, e per questo efficaci. Basti vedere nel quarto episodio come giungono al pettine i nodi del triangolo Lukas-Kaplan-Bianca: con una semplice telefonata di Lukas a Kaplan, alla quale risponde Bianca, per puro e naturalissimo caso, come potrebbe accadere a chiunque.

Un aspetto notevole è infatti il procedere casuale e spontaneo (in apparenza) della narrazione, con il protagonista che sembra rispondere agli stimoli dell’ambiente circostante, più che impegnarsi nello scoprire chi era e come è diventato ciò che è. Lukas a tratti è un everyman “agito”, più che un eroe che agisce, e sembra anzi volersi acquietare in un simulacro di vita normale, con un appartamentino e un lavoro da tinteggiatore (!), non fosse che gli spasmi improvvisi della fame (di carne umana!) gli ricordano lo scopo vero della sua ricerca: sottrarsi alla bestialità inscritta nel suo essere un ridestato.

Questa casualità quasi naturalistica si applica anche agli altri personaggi: Kaplan sembra essere l’antagonista, si rivela poi una pedina secondaria in un gioco più grande di lui e sembra anzi finire ai margini della trama, infine torna al centro della ribalta per vivere una scena madre che potrebbe essere esiziale, ma che si conclude con la sua morte, inaspettata ma necessaria. Anche Bianca, donna in carriera e cliente dell’imbianchino Lukas, ma legata da passione amorosa a Kaplan, sembra uscire di scena assieme all’amante, per rientrare in gioco come personaggio chiave al termine del quarto episodio. Episodio che sublima questo procedere a zig-zag del racconto, con il continuo vicendevole scambio tra plot e sub-plot, con Lukas che saltabecca di qua e di là per stare dietro agli avvenimenti, e con la teorica vicenda principale che termina inaspettatamente fuoriscena, trovando spiegazione (visiva) con un’unica semplice vignetta, l’ultima.

Nel mondo di Lukas, i vampiri si sono decisamente (e inaspettatamente) imborghesiti. Disegni di Luca Casalanguida, dal secondo episodio.
Nel mondo di Lukas, i vampiri si sono decisamente (e inaspettatamente) imborghesiti. Disegni di Luca Casalanguida, dal secondo episodio.

Al contrario, i disegni della serie vanno tutti nella stessa direzione, con una linea grafica abbastanza compatta: i quattro disegnatori visti all’opera finora (oltre a Benevento, autore del primo numero, ci sono Luca Casalanguida, Massimiliano Bergamo e Frederic Volante, in ordine di apparizione) si muovono con ottimi risultati in un perimetro di influenze che va dalla scuola salernitana (De Angelis in primis) a Giuseppe Palumbo, con un tocco del Bacilieri di Barokko.

Ma non mancano nemmeno i punti deboli. Per esempio la “spiega” che chiude il terzo episodio è un passo indietro rispetto all’impianto generale della serie, che per ora sembra preferire la via mostrata da Hitchcock ne Gli uccelli, con l’orrore che si palesa improvviso, senza spiegazione alcuna, e proprio per questo fa ancor più paura (si vedano la macabra farcitura di cadaveri del primo episodio o l’orripilante zanzarona del secondo).

Oppure, passando all’aspetto visivo, il lettering tipografico che fa brutta mostra di sé nelle didascalie. Con la loro narrazione onnisciente in terza persona, le didascalie enfatizzano la letterarietà della serie e approfondiscono egregiamente la psicologia del protagonista, altrimenti nascosta dallo sguardo quasi atarassico e privo di emozioni. Non guasta nemmeno il tocco straniante che viene dall’utilizzo di un inedito (almeno per la prassi bonelliana) testo bianco su fondo nero, oltreché dall’occupare a volte intere vignette, anche a chiusura di tavola, come dei punti fermi. Ma quei caratteri senza anima sono davvero un pugno nell’occhio, tanto più in quanto stridono con i dialoghi, ben letterati a mano da Luca Corda.

Lo scopo principale delle didascalie è comunque quello di agevolare l’identificazione con il personaggio principale, e infatti appaiono solo nelle sequenze in cui lui è in scena. Perché il lettore assume il punto di vista di Lukas e non sa nulla più di quello che lui enuncia o scopre pian piano. Eccetto il fatto che al protagonista si sta interessando, e non per scopi umanitari, il Convito, l’organizzazione di ridestati che nell’ombra determina i destini della città in cui si svolge l’azione principale, tra uno spezzatino di carne umana e l’altro.

La donna a capo del Convito assaggia i piatti che vengono serviti nel suo ristorante…
La donna a capo del Convito assaggia i piatti che vengono serviti nel suo ristorante…
lukas bonelli
…e poi verifica le scorte di carne nel congelatore. Disegni di Massimiliano Bergamo, dal terzo episodio.

Ora, è molto probabile che lo scontro tra Lukas e il Convito avvenga a breve, vista l’accelerazione impressa agli eventi dal quarto numero. Ma forse proprio perché è probabile, non accadrà. Occorre continuare a leggere e lasciarsi servire da Medda. In attesa che qualcosa, prima o poi, inizi davvero a farci sapere.

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