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FocusOpinioniI ruggenti anni Rasputin. Dal diario (2)

I ruggenti anni Rasputin. Dal diario (2)

È il 24 gennaio 1998. Notte fonda.

Fa un freddo incredibile ad Angoulême. In mezzo a quel freddo il 25° Festival Internazionale del Fumetto sta volgendo al termine. Siamo nella stanza di un alberghetto di periferia, senza il bagno in camera. Il bagno è giù nel cortile. La scala per raggiungerlo è ghiacciata. Siamo Alberto, Massimo e io. Siamo sbronzi, di brutto. Abbiamo firmato con Trondheim per fare Monolinguisti e siamo in parola con quelli di Ego Comme X per fare Diario I di Neaud. Direi che siamo contenti; è per questo che siamo sbronzi, di brutto.

Stiamo finendo il cognac ed è notte fonda. Devo pisciare.

-Ragazzi – dico – fa troppo freddo la fuori, non ci arrivo vivo al bagno, posso pisciare nel lavandino?

-Fai pure – dice Alberto – tanto tra cinque minuti ci vomito.

Gallo (Massimo) quasi si strozza dal ridere. Racconterà questo aneddoto per anni, per spiegare a chi comunque non può capire qual era lo spirito della Rasputin.

Ci abbiamo messo un anno, tornati da quella Angoulême del 1997. Discussioni. Cene. Litigate furibonde. E poi riappacificazioni. È stato come chiudere un cerchio. Con un piano finanziario raffazzonato, avevamo stabilito in circa 30.000.000 di lire il capitale che ci serviva per iniziare l’avventura. Erano un sacco di soldi e non li avevamo. L’idea venne a Paolo, da subito entusiasta del fare una casa editrice: darle forma cooperativa e mettere insieme dieci soci con un bel tre milioni cadauno come quota capitale. Non ci credevo, ma da quattro diventammo dieci abbastanza in fredda. Mi perdoneranno se li nomino tutti. Ma in fondo ce lo meritiamo di essere ricordati, anche solo in queste tre righe. Paolo Oradini, appunto, che fu scelto all’unanimità quale presidente, e poi Alberto Ghidoli e Maurizio Mele e Roberto Bozzato e Camillo Gizzi e Alberto Brancolin e Gigi Rizzi. Ci muovevamo tra tre città, e molto prima di altri potevamo metterle sulla nostra carta intestata: Rasputin!libri Milano Cremona Mantova. Quando dico che ci muovevamo tra le tre città, non faccio metafora. La cooperativa aveva questa particolarità: il consiglio di amministrazione corrispondeva esattamente all’assemblea dei soci. Per mantenere questa forma assembleare dovevamo vederci tutti per ogni minima decisione, quindi si ruotava a turno tra le tre città.

Mentre Alberto Bonanni costruiva l’identità grafica della casa editrice, cominciavamo a stendere il piano editoriale. Altre discussioni. Altre cene. Altre litigate furibonde. E poi riappacificazioni.

Fino alla scelta dei primi quattro titoli. Due italiani, Maurizio Ribichini (le straordinarie avventure qualsiasi) e Lorenzo Sartori (ogni matto ha la sua fissa), e due francesi, ovvero Trondheim, un genio che dovevamo assolutamente far conoscere in Italia, e quel Fabrice Neaud che proprio nel ’97 aveva vinto l’Alphart.

rasputin

Eccoci quindi lì, felici e ubriachi, quella notte di gennaio ad Angoulême.

Adesso cerco di fartela breve, che sennò finisco a fare letteratura.

Fu un’estate, quella del 1998, caldissima (certo, niente in confronto a quella del 2003, ma fu comunque una bella eccezionalità) e insonne. Per noi, trascorsa a preparare i libri. A fine luglio avevamo i primi tre: Neaud, Trondheim e Ribichini (Sartori lo riusciremo ad avere a fine ottobre) e a settembre cominciammo a cercare i distributori.  Quelli che servivano le fumetterie facevano numeri irrilevanti. Non avevano diritto di resa e quindi ti compravano solo le copie che avevano già venduto a seguito della pubblicazione sul loro bollettino. Pagavano anche puntuali. Ma era una miseria trascurabile: qualche decina di copie per volume. La scommessa era da giocare altrove: nelle librerie di varia. Cercammo i distributori per quelle.

Ne trovammo tre, regionali, che coprivano a grandi linee il Nord e il Centro Italia. Erano entusiasti: l’idea di portare libri a fumetti nelle librerie di varia sembrava interessante e poteva funzionare. Presero un bel po’ di copie. Non ne hanno mai pagata una.

Intanto che cercavamo di farci pagare le copie distribuite, abbiamo fatto anche un sacco di altre cose. Come andare in giro a presentare i libri per tutta Italia. Come passare al festival di Lucerna a tampinare Julie Ducet e David Mazzucchelli per vedere se ci lasciavano fare i loro libri, e vederli fuggire imbarazzati (come andarono le cose, magari te lo racconto un’altra volta). Come partecipare al festival di Lucca Comics, nel novembre ‘98. E te lo devo dire com’era, perché magari credi che quel festival avesse qualcosa a che vedere con quello odierno: no. Era triste il festival, allora. Mica c’erano i cos player. E poi noi non contavamo niente rispetto alle antiche clientele e ci avevano rifilato uno spazio infelice, in un angolo in cui non passava nessuno. Vendemmo niente, quasi nemmeno da ripagare lo stand. E intanto i distributori non pagavano.

Lucca Comics1998
A Lucca Comics, anno 1998

E ancora: come stendere il piano editoriale per il ’99. Decidemmo di fare David B., Baudoin, Marco Corona, Diario II di Neaud e – se fossimo riusciti a convincere la Casterman (che stramaledetto osso duro: andai almeno tre volte a bussare alla loro porta, senza risultati) – magari Léon la Came di De Crécy oppure il Tardi di C’était la guerre des tranchées. Guarda, mi diceva il responsabile diritti esteri di Casterman, quei due lì sono autori simbolo per noi, voi siete piccoli, sconosciuti, perché non cominciate con il prendervi un Baru, per esempio? Si, gli rispondevo io, e chi cazzo ce li da i soldi per fare L’autoroute du soleil, eh? Vabbè. Almeno offrivano un’ottima birra al cognac.

Oppure: come tornare ad Angoulême a gennaio ‘99, per comprare appunto i diritti per fare Il grande Male di David B. e Veronica di Baudoin. E poi farli. Ad aprile li avevamo in mano. Non sapevamo ancora che sarebbero stati gli ultimi. Anche se avremmo dovuto sospettarlo, visto che intanto i distributori non pagavano.

A novembre ’99 tornammo a Lucca. Ora immaginati: siamo la casa editrice più giovane , interessante, agguerrita che ci sia nel mondo dei fumetti italiano; abbiamo sei libri fichissimi e David B. finisce nelle selezioni per il premio. Non mi ricordo come si chiamava allora il premio, se era ancora lo ‘Yellow Kid’ o se Traini se e lo era già portato a Roma…

ah… su Romics, era proprio aprile, dovrei raccontarti di come invitarono Fabrice Neaud e di come fu trattato… ti darebbe l’idea della cialtronaggine contro cui ci si batteva (e quasi quasi, lo faccio un’altra puntata di questa rubrica).

DAVIDB

Torniamo a Lucca. Dicevo. Se non mi aspettavo il premio come miglior casa editrice, almeno mi aspettavo un premio a David B. Bene. E invece: un cazzo.

Sono arrabbiatissimo. Vado là, alla villa dove si svolgeva la cena con tutti i famigli che hanno avuto una medaglia. Non mi fanno entrate. Gli piscio nella limonaia. Vedi che il cerchio si chiude? Mi corcano di botte e mi sbattono fuori. In sovrapprezzo, i distributori continuavano a non pagare.

Gli sgoccioli della storia si protraggono fino a metà del 2000. Cominciamo a lavorare alla traduzione di Diario II e a trattare con Corona sul contenuto del libro (peccato che i fax scambiati si siano tutti cancellati, sarebbe stato un campionario interessante). Ma i distributori insistono a non pagare. A questo punto due strade: o ci si mette di nuovo tre milioni a testa o si getta la spugna.

Indovinate qual è stata la scelta dell’ultima assemblea?

Mi piace ricordarlo così, quel pomeriggio d’autunno quando usciamo dallo studio del notaio dopo aver messo in liquidazione la Rasputin, che ce ne andiamo a bere fino a stordirci, sicuri che non mancheranno ancora “un’occasione ladra, un infinito, un ponte per ricominciare”.

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