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Il premio Fahrenheit al ‘caso letterario’ Zerocalcare, e qualche riflessione

di Andrea Tosti e Tonio Troiani

Quella della ‘cannibalizzazione’ dei fumetti da parte dei premi letterari è una storia vecchia. Riguarda soprattutto l’estero, bisogna dirlo. Per quanto concerne l’Italia, con piglio profetico, già nel 2008 Renato Pallavicini su L’Unità auspicava che i fumetti venissero considerati da premi come lo Strega o il Campiello:

Esterno notte: Ninfeo di Villa Giulia a Roma, si assegna il Premio Strega e i cinque finalisti spiano la lavagna sulla quale, scheda dopo scheda, si fa la conta dei voti. Alla fine, dopo un paio d’ore di attesa, ecco il vincitore: il «romanzo grafico» La mia vita a fumetti di Hugo Crepax che ha sbaragliato concorrenti del calibro di Lidia Ravera, Niccolò Ammaniti, Ermanno Rea e Sandro Veronesi. Ovviamente ci stiamo inventando tutto (o quasi). Lo Strega esiste davvero ed è uno dei più blasonati premi letterari, uno di quelli che vale la fascetta sul libro premiato e qualche migliaio di copie in più; così come esistono i quattro concorrenti «battuti». Non esiste invece Hugo Crepax (che, l’avrete capito, è una pura invenzione: un po’ Hugo Pratt e un po’ Guido Crepax), né esiste il suo romanzo La mia vita a fumetti. E poi i fumetti non partecipano ai premi letterari. Almeno non ancora. Per carità, di premi per i fumetti ce ne sono anche troppi, però restano ancora confinati nel «genere». Che nel frattempo è uscito dal ghetto e non soltanto perché Hugo Pratt (quello vero) anni fa definì il fumetto «letteratura disegnata»; ma perché editori grandi e piccoli si sono accorti della sua dignità letteraria e hanno varato collane dedicate al graphic novel, al fumetto insomma. Del resto in un territorio affine come quello del cinema d’animazione, non mancano gli esempi di cartoon che partecipano (e vincono premi) ai grandi festival internazionali del cinema tout court, al di fuori della categoria-genere «cinema d’animazione»: dal pluripremiato regista giapponese Hayao Miyazaki a Marjane Satrapi con il suo Persepolis (che, guarda caso, in origine è un fumetto). Pratt, Crepax, Buzzelli, Micheluzzi, Pazienza (purtroppo tutti scomparsi) hanno scritto e disegnato fumetti di grande qualità letteraria e altri maestri li seguono su quella strada, come Vittorio Giardino e, tra i più giovani, Igort, Gipi, Gabriella Giandelli, Francesca Ghermandi, Davide Toffolo, Insomma: il fumetto è maturo per lo Strega, il Viareggio, il Campiello e qualsiasi altro premio letterario. Cari editori, critici e selezionatori, fateci un pensierino.

La trasmissione radiofonica Fahrenheit, in onda su Radio3 e da anni punto di riferimento per i lettori, ha attribuito – dopo consultazione popolare attraverso il voto degli ascoltatori e i lettori – il premio come miglior libro dell’anno a Dimentica il mio nome, ultimo graphic novel di Zerocalcare, pubblicato come sempre da Bao Publishing.

Zerocalcare Loredana Lipperini Premio Fahrenheit
Zerocalcare e Loredana Lipperini

La precedente inclusione in Italia di un fumetto in un premio letterario risale a non molto tempo fa, quando tra la rosa dei finalisti del famoso Premio Strega era saltato fuori il nome di Gipi, che dopo anni di “silenzio” era tornato alla pagina disegnata, pubblicando per il suo storico editore Coconino Press unastoria. Il fumetto aveva colpito tanto i giurati del premio quanto un buon numero di lettori, anche al di fuori di quelli che godevano di un’assidua frequentazione con il mondo delle “nuvole parlanti”. L’evento – se di evento si può parlare – aveva subito generato accese discussioni – ben sintetizzate da Matteo Stefanelli – molte delle quali vertevano sulla legittimità di una scelta del genere, poiché a detta di molti un premio letterario inseriva tra i papabili qualcosa che non rientrava a ragione nel dominio proprio della letteratura.

Gli esempi mossi per dedurre la presunta legittimità non mancavano. Tra questi, il più immediato e diretto era il premio Pulitzer conferito ad Art Spiegelman per Maus. In realtà, prima del Letters Awards, una sorta di menzione speciale – attribuita soltanto poche volte – la cui motivazione non era strettamente correlata alla natura “letteraria” dell’opera di Spiegelman, ma al suo peso “etico” nel raccontare il processo di appropriazione e di rielaborazione della Shoah da parte della generazione post-olocausto (termine questo inviso all’autore, per le sue connotazioni pseudo-giustificazioniste che hanno a che fare con l’origine religiosa e sacrale dello stesso), Maus aveva conseguito due nomination per il National Book Critics Circle Award, senza comunque riuscire a laurearsi vincitore.

Escludendo il Book Prize for Fiction del Los Angeles Times (la cui motivazione ha sempre lasciato interdetto l’autore, visto che di Maus, pur nella sua estrema complessità, tutto si può dire tranne che sia un prodotto finzionale), i restanti riconoscimenti hanno tutti a che fare con l’ambito eminentemente fumettistico, perché Maus è un fumetto – prima ancora che la categoria generica di graphic novel diventasse di largo uso e consumo – serializzato nel corso di una decina d’anni sulla rivista antologica Raw, e poi raccolto inizialmente in due tomi e solo in un secondo momento in un’edizione unica, che gli aveva consentito di acquisire formalmente lo statuto di “romanzo grafico”.

Così come Spiegelman, anche il fumetto di Gipi non ha conquistato lo Strega, pur ricevendo una nomina e quindi una sorta di menzione d’onore, nella sua qualità di forma narrativa in grado di gareggiare con la letteratura tout court.

La recente vittoria di Zerocalcare, invece, ha generato paradossalmente una scarsa eco tra coloro che si erano interrogati sulla natura della candidatura allo Strega di Gipi, suscitando piuttosto varie discussioni a latere da parte delle fazioni pro e contro questa stessa vittoria. Da un lato, gli oltranzisti della letteratura scritta che si sono chiesti come un forma di narrazione come il fumetto potesse strappare la palma del vincitore a romanzieri storici e storicizzati come Roth, dall’altro i lettori di fumetti entusiasti o palesemente disinteressati. Chi scrive è dell’opinione che nonostante la visibilità che possa derivare da un evento del genere, che acquista la sua natura di evento in virtù del fatto che il premiato si presenta e viene presentato in quanto ‘anomalia’ o – più precisamente – come una novità o un’irruzione che dovrebbe o potrebbe sancire un avvenuto riconoscimento del fumetto come forma “adulta” e non minoritaria di narrazione, in realtà investa e consacri più l’autore che il fumetto in quanto nuova forma romanzesca. Non di letteratura si tratta, nel caso del volume di Zerocalcare, perché in questo bisogna essere chiari: fumetto e letteratura sono forme in cui la narrazione si manifesta con una propria grammatica, una propria sintassi, ma soprattutto con logiche sistemiche e strutturali che non sono interscambiabili, anche se possono esercitare una reciproca influenza.

Questo premio, insomma, sancisce un’assodata vittoria personale di Zerocalcare, che ha saputo, grazie al proprio talento e ad un lavoro di promozione e passaparola, rinsaldare non solo uno zoccolo duro di fan che lo segue nelle sue pubblicazioni online, ma soprattutto una variegata pletora di lettori che l’ha supportato e ne ha diffuso, approvando le sue prove più lunghe – a dir la verità debolucce, in confronto all’irruenza delle sue storie brevi – con una crescita continua di consensi. Una pletora così variegata e numerosa, che certo allarga la platea dei fruitori che con assiduità segue i fumetti, ma che segue principalmente anche e solo il suddetto autore, portando anche a far collassare progetti come Zuda Comics. Quello assegnato da Fahrenheit è, e su questo le parti in causa sono concordi, un premio assegnato dai lettori. Un premio genuino ed entusiasta, che riflette il mercato, o per lo meno quella parte di mercato propositiva, partecipe e capace/desiderosa di mettersi in gioco in prima persona.

Ma da dove vengono questi lettori? Sono fruitori di letteratura che frequentano anche il territorio del fumetto? Oppure, al pubblico di Fahrenheit si è aggiunto l’abituale traino, rimpolpatosi nel corso degli ultimi anni, di fan dell’autore? Quanto il premio a Zerocalcare ha risentito dell’influenza esercitata dalla sua base, come già successo nel caso di Zuda Comics? Detto in altri termini: quanto si tratta, davvero, di una contaminazione di amanti della letteratura e di amanti del fumetto, che finalmente si scoprono simili e solidali e quanto, di un singolo e trasversale autore capace di crearsi un proprio pubblico autonomo? Non è una domanda peregrina.

Ci sembra importante sottolineare, quindi, come il premio attribuito dalla trasmissione di Radio3 sia un premio dalla chiara natura popolare e che sia senza alcun ombra di dubbio una conseguenza del fenomeno editoriale legato al nome di Zerocalcare: un fenomeno questo tutto italiano, tanto da aver attirato l’attenzione giornalistica persino di Publisher Weekly’s. Zerocalcare è un fenomeno mediatico dall’ampia eco – film, programmi televisivi, eventi fieristici che si trasformano in disumane prove di resistenza per l’autore romano – che non ha bisogno di un premio come giustificazione. Anzi, a nostro avviso, Fahrenheit ha “solo” raccolto un consenso già largamente dimostrato dalle vendite dei fumetti di Zerocalcare.

Tra l’altro, Fahrenheit non si può proprio dire una trasmissione popolare, quindi non può essere considerata il grimaldello ideale per uscire allo scoperto e farsi vedere anche da chi non conosce il fumetto “di qualità”, qualsiasi cosa questo voglia dire. Fra i tanti libri premiati nel corso della storia del premio, non infrequentemente sono stati scelti titoli che non potevano essere considerati fra i bestsellers della relativa stagione. La prima volta che viene scelto un fumetto si tratta del caso editoriale più importante degli ultimi anni. Non è un particolare da poco.

WHEN IN ROMEZerocalcare, author of the graphic novel 'Dimentica il mio nome,' at the Bao Publishing booth at the Rome…

Publiée par Publishers Weekly sur Mardi 9 décembre 2014

Se a concorrere contro Zerocalcare o al suo posto ci fosse stato (anche) uno dei tanti fumetti di cui la trasmissione ha parlato – ad esempio Sinfonia a Bombay di Igort, cui è stata dedicata una bellissima puntata – è molto probabile che non l’avrebbe spuntata. Oppure sì, chissà. Il fatto significativo è che non sia successo. Ci si dovrebbe interrogare sul perché l’unica opera disegnata in forma libro portata a concorrere con opere di narrativa letteraria coincida con il caso del momento. E’ il libro, valido o meno che sia, di cui si deve parlare? E’ quello di cui è più facile parlare perché tutti lo conoscono? Chi conosce Zerocalcare frequenta abitualmente il fumetto o frequenta solo questo fumetto? Le opere letterarie sue concorrenti nel contesto di questo premio popolare sono, alla stregua di Dimentica il mio nome, “casi” editoriali e/o di vendita?

Zerocalcare, inoltre, non rappresenta un caso all’interno dei confini del mondo del fumetto. I suoi numeri farebbero la felicità di più di un editore di varia. Così come i numeri di un evento come Lucca Comics & Games devono risultare molto interessanti per qualsiasi organizzatore di eventi culturali. Ed infatti, negli ultimi anni, la platea di eventi come Lucca così come di altri simili si sta allargando, non ancora marginalizzando il fumetto ma affiancandolo ad altro. C’è interesse, insomma, c’è movimento. Viva Dio!

Come si è detto nel corso delle varie e vivaci discussioni che sono seguite all’evento, il fumetto (o graphic novel) rappresenta una fetta importante del mercato editoriale italiano – e non da oggi – se i fruitori sono numerosi, se le opere sono vitali e trasversali, perché se ne parla così poco? Lo spazio riservato alla cultura sulle testate e nelle reti tv generaliste italiane è sempre più piccolo, ma spesso di non piccola qualità. Se intorno al fumetto c’è tutto questo fermento, questo interesse consolidato, se il medium non è ghettizzato ma si autoghettizza (ma l’ottimo lavoro che gli uffici stampa delle case editrici stanno facendo negli ultimi anni sembra suggerire il contrario)… se tutto questo è vero, perché se ne parla ancora così poco? Perché non ci sono trasmissioni, rubriche o quant’altro che affrontino, magari periodicamente e non occasionalmente, questo linguaggio? Se il premio a Zerocalcare, al netto delle diffidenze che suscita, sarà capace di smuovere questo stato di cose, avrà conseguito un risultato, e tutti i “se” e i “ma” avranno davvero poco valore. Ma se non sarà così, si confermerà ancora una volta il fatto che del fumetto si parla a gran voce solo quando si configura come “caso”: il caso editoriale Zerocalcare, l’icona Tex Willer, il fumetto che di volta in volta affronta temi caldi dell’attualità (vedi Dylan Dog: Mater Morbi) etc.

La conduttrice della trasmissione di Radio3, Loredana Lipperini, che da sempre e con competenza si occupa di fumetti, ha accolto con stupore alcune critiche mosse riguardo alla legittimità dell’operazione, prima commentando l’accaduto in un (assai) dibattuto post sul proprio profilo Facebook, e poi riassumendo la propria posizione sul proprio blog personale:

«Strano, no? Un fumetto vince il premio dei lettori di una trasmissione sulla lettura e ci si aspetta, sospirando un po’ sui tempi che non cambiano, che siano i lettori che giudicano il fumetto medesimo “non degno” a protestare. Invece no. Protestano i lettori (o meglio, alcuni addetti ai lavori) di fumetti. Perché, sostengono, noi e loro non dobbiamo mischiarci. Perché, sostengono, il riconoscimento significa sdoganamento, e noi non si ha bisogno di essere sdoganati, vogliamo restare fra noi, per piacere, questa è una festa privata, il fumetto non è letteratura ed è brutto e sporco, via quel cashmere.»

«Cosa dire? Una sola cosa: fatevi un dono. Leggete (o rileggete) le Risposte a un questionario sulla fantascienza di Antonio Caronia. Sono, garantisco, un sollievo e naturalmente NON si applicano solo alla fantascienza.»

Essendo stati fra i principali contributori della discussione nata in origine su Facebook, ci sembra di poter dire che questa presa di posizione sia faziosa sotto molti aspetti. Innanzitutto perché ogni contaminazione (di generi, di stili, di lettori, di energie) è, oltre che auspicabile, in atto praticamente da sempre. Il fumetto ruba dalla letteratura, la letteratura dal cinema, il cinema dal fumetto e via dicendo, in un tourbillon che ha prodotto spesso ottimi risultati e ha fatto progredire le diverse strategie narrative. Cosa ben diversa è quando, cavalcando il successo del graphic novel, scrittori, registi e cantautori si sono improvvisati sceneggiatori di fumetto, producendo, nella stragrande maggioranza dei casi, quando non pesantemente coadiuvati da professionisti del settore, risultati di dubbia qualità. Questo perché? Perché fumetto e letteratura sono due cose diverse. Applicano codici diversi, attuano strategie diverse. Cosa succede quando scrittori e operatori dello spettacolo di vario genere si improvvisano registi? Lo sappiamo bene.

Lo stupore che è seguito alla richiesta da parte di alcuni, al netto della gioia per il riconoscimento, di riconoscere che il fumetto è almeno un qualcosa di distinto dalla letteratura viene giustificato attraverso accuse di auto ghettizzazione. L’adozione stessa del termine graphic novel si basa a nostro avviso su di una fallimentare – ma non sotto il profilo economico – strategia di assimilazione alla letteratura, che in realtà non fa altro che generare confusione, falsi storici e fenomeni surrettizi.

dimentica il mio nome Zerocalcare Premio Fahrenheit

Dipende inoltre da che punto di vista si affronta la questione. Ad autori ed editori fa comodo che si parli più possibile di fumetto, che lo si sdogani presso platee sempre più ampie al di là di come questo sdoganamento venga messo in atto (e resta comunque il sospetto che lo sdoganamento riguardi Zerocalcare e non il fumetto tutto, così come il successo decennale dei Peanuts resta solo dei Peanuts e si allarga poco al di fuori del proprio centro). Dal punto di vista di chi con il fumetto ci campa è un atteggiamento legittimo, anzi, meritorio. Anche chi scrive pensa che sia meglio parlarne il più possibile, di fumetto, in tutti gli ambiti.

Non si tratta, come si è ipotizzato, di un rifiuto a priori. Si vuole solo puntualizzare che anche il come, il dove e il perché se ne parla non sono questioni secondarie. Di fumetto, in molte occasioni passate, si è parlato molto. Cosa è cambiato? Non si tratta solo di quantità ma di qualità. E preparazione, che non vuol dire partecipazione ad un segreto rito alchemico. Loredana Lipperini i fumetti li conosce bene, ci sono altri giornalisti e critici che li frequentano da molto tempo, se non da tutta la vita. Tanti altri, magari, i fumetti li leggono ma non lo dicono, se non a mezza bocca. Ma tutto questo interesse, tutta questa passione, non diventa attenzione costante, non diventa norma, non diventa mai normalizzazione all’interno del nostro sistema critico-culturale. Perché?

Loredana Lipperini sembra ridurre una, crediamo, legittima puntualizzazione, a un arroccamento su posizioni minoritarie, portato avanti allo scopo di preservare chissà quale purezza. La purezza è un qualcosa che il fumetto non ha mai conosciuto, proponendosi da sempre territorio bastardo e contaminato. Certo, bisogna riconoscere che una parte importante della base di fan condivide questa posizione settaria, ma perché confondere un appunto argomentato con un atteggiamento generalizzato? Il dono che offre la Lipperini – l’intervento di Caronia – è di certo prezioso, ma non serve a sciogliere la questione, anzi. Caronia parla di un un genere (anche) letterario, da ricondurre alla letteratura. Il parallelismo proposto dall’autrice e conduttrice sembra suggerire che il fumetto è un genere della letteratura.

Non è così, e non si tratta di una questione di lana caprina. Ricondurre il fumetto alla letteratura non è solo sbagliato perché ne disinnesca alcune fra le sue più specifiche peculiarità, ma anche perché suggerisce, sottotraccia, che l’unica tipologia di fumetto ammessa nel novero della letteratura è, appunto, quella più letteraria. Dopo anni di ghettizzazione, solo in piccola parte auto imposta, perché ci si stupisce che, in quei pochi casi in cui la cultura ufficiale si accorge delle qualità del fumetto, chi lo ha sempre seguito e amato vorrebbe dire che c’è molto altro e che vederlo riconosciuto solo come paraletteratura non è solo svilente ma castrante?

Qui si mette in evidenza un atteggiamento che non abbiamo riscontrato. Nessuno si lamenta per la vittoria di ZeroCalcare. Il libro è piaciuto, è un’opera di grande successo commerciale, se ne discute. Questo è un bene. Ci si può lamentare, semmai, del fatto che dall’altra parte di questa fantomatica barricata ci si lamenti quando si cerca di allargare la discussione oltre i confini del mi piace/non mi piace, volendo penetrare nelle differenze e, perché no, anche nelle similitudini che contraddistinguono i due codici. Dire “l’importante sono le belle storie”, “dobbiamo occuparci delle storie che portano emozioni” non basta. Le belle storie sono nei libri, nei film, nei racconti orali, praticamente dappertutto.

Ridurre la questione alla narrazione significa spostare il focus e non affrontare il problema posto Si vorrebbe aggiungere che nel momento in cui qualcosa viene sdoganato è scontato presupporre che prima non lo fosse. Accettare che lo sdoganamento sia unilaterale, e che vada accettato senza se e senza ma è un poco arrogante. Forse lo sdoganamento serve solo a chi i fumetti non li legge. Quelli che li assiduamente li frequentano e li leggono già lo avevano già applicato da tempo. Ci si chiede – tutto sommato – qual è la necessità di accettare una definizione, come quella di “letteratura a fumetti”, derivativa e  per certi aspetti un po’ sottomissiva, senza almeno discutere della sua legittimità storica e logica?

Il tono della Lipperini e di quelli che sostengono la sua posizione sembra essere quello di chi si lamenta di un’accresciuta attenzione. No, magari di un’attenzione che non sappia di avanzi e che sia consapevole della storia e delle potenzialità del mezzo. La legittimazione concessa dall’alto è sempre, per forza di cose, monca.

Il premio con cui i lettori hanno omaggiato Zerocalcare è un fatto positivo? Sicuramente sì. Conferisce visibilità e allarga – potenzialmente – la platea del fumetto, un allargamento però che rischia di essere “monetizzato” solo da Zerocalcare. Inoltre, queste discussioni che nascono intorno a singoli casi, e che raramente si allargano a una riflessione sul (mezzo, genere, linguaggio, chiamatelo come vi pare), non necessariamente allargano i confini della gabbia. Semmai li ridefiniscono attraverso inclusioni parziali. Tacendo il fatto che di un premio letterario conferito ad un fumetto si parla e si straparla e si discute a lungo, dei molti premi fumettistici no. Basterebbe fare la prova inversa: premiare un romanzo di Roth in un festival di fumetto, con un premio che in precedenza è stato storicamente pensato per il fumetto. Lì sì che ci sarebbe scandalo.

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